Perché la gente vive ancora a Hiroshima e Nagasaki?
Mentre l'area intorno a Chernobyl resterà inabitabile per almeno i prossimi ventimila anni?
Settant’anni fa Hiroshima e Nagasaki furono bombardate da due bombe nucleari che uccisero in tutto circa 150 mila persone. Oggi entrambe le città sono state completamente ricostruite e sono abitate da più di un milione e mezzo di persone. Tranne per i monumenti dedicati agli attacchi, le tracce del bombardamento sono completamente scomparse; i livelli di radioattività sono nella media mondiale, così come il tasso di tumori. Dall’altra parte del mondo, a Chernobyl in Ucraina, dove nel 1986 esplose un reattore nucleare, la situazione è completamente diversa. Il suolo intorno alla centrale è tra i più contaminati al mondo e quasi tutti gli insediamenti umani che un tempo circondavano l’edificio sono stati abbandonati. Oggi l’accesso è proibito in un’area grande 2.600 chilometri quadrati e lo resterà ancora per migliaia di anni. La ragione di questa diversità si trova nella diversità tra le esplosioni che avvennero in Giappone e quella che avvenne in Ucraina.
Su Hiroshima e Nagasaki vennero sganciate bombe nucleari che contenevano poche decine di chili di materiale radioattivo. “Fat Man”, la bomba destinata a Nagasaki, ne aveva anche meno: poco più di sei chili di plutonio. Queste piccole quantità sono sufficienti a generare una fissione nucleare incontrollata, che a sua volte produce un’esplosione atomica. Gli effetti di queste bombe sono sostanzialmente tre; una potente onda d’urto che a seconda della potenza dell’esplosione è in grado di sbriciolare palazzi di cemento a centinaia di metri dal luogo dell’esplosione; un “flash” di radiazioni infrarosse che può incendiare il materiale infiammabile anche a decine di chilometri di distanza; infine una pioggia di neutroni, raggi beta e gamma: questo è il vero e proprio effetto “atomico” della bomba e quello che causa l’avvelenamento da radiazioni.
Questa pioggia di radiazioni si esaurisce in poche frazioni di secondo e nel caso di Hiroshima e Nagasaki causò un numero di vittime relativamente basso rispetto agli altri due effetti. Il vero pericolo a lungo termine di una bomba atomica è costituito dal materiale radioattivo contenuto nella bomba e dai prodotti della fissione nucleare, che restano estremamente radioattivi anche dopo essere stati vaporizzati dall’esplosione. Questi materiali quando ricadono a terra rischiano di inquinare il suolo e avvelenare le persone che si trovano nelle vicinanze: si tratta del famoso “fallout nucleare”. Nel caso di Hiroshima e Nagasaki questo tipo di inquinamento fu praticamente trascurabile: la quantità di materiale radioattivo nelle bombe ammontava a pochi chilogrammi. La nuvola di sostanze radioattive rimase in aria e fu dispersa dal vento, diluendosi con l’aria non contaminata e quindi perdendo la sua pericolosità.
A Chernobyl le cose andarono in maniera completamente diversa. Tanto per cominciare non ci fu un’esplosione nucleare. Per una serie di errori dei tecnici e difetti dell’impianto, il reattore nucleare della centrale cominciò a produrre moltissima energia. L’acqua utilizzata per raffreddare l’impianto si trasformò improvvisamente in vapore e causò un’esplosione simile a quella di una pentola a pressione. La forza del vapore era tale che scagliò in aria il tappo che sigillava il reattore, un blocco di cemento e acciaio pesante più di 2.000 tonnellate: insieme a lui furono disperse anche enormi quantità di combustibile che si trovavano nel nocciolo. A Chernobyl c’erano decine di tonnellate di uranio all’interno del reattore. Si calcola che il combustibile radioattivo scagliato nell’atmosfera dall’esplosione di Chernobyl sia stato circa 400 volte superiore a quello di Hiroshima.
Per quanto fosse stata forte, l’esplosione non era paragonabile a quella di una bomba atomica. Il carburante non fu completamente vaporizzato trasformandosi in una nuvola che poteva essere disparsa dai venti. Intorno alla centrale ricaddero pezzi di carburante estremamente radioattivo e abbastanza grandi da essere visti a occhio nudo. Questi frammenti, per niente diluiti, contaminarono enormi aree di suolo e rendendo l’intera area pericolosa per qualsiasi forma di vita. Ancora oggi i lavoratori impiegati nella zona proibita possono restarci per soltanto cinque ore al giorno per un mese, prima di doversi fermare per quindici giorni. Secondo le autorità ucraine l’area intorno a Chernobyl resterà pericolosa per i prossimi 20 mila anni. Le particelle radioattive più leggere furono trasportate dai venti anche a centinaia di chilometri di distanza prima di precipitare al suolo. Più si allontanavano dall’area dello scoppio, più finivano diluite dall’aria circostante, diminuendo la loro pericolosità, ma la quantità di materiale emesso era stata così grande che persino in Italia, a più di mille chilometri di distanza, ci fu un aumento della radioattività locale.
In altre parole, la differenza sostanziale tra Chernobyl e i bombardamenti nucleari sul Giappone si trova nella differente quantità di materiale radioattivo diffuso nell’atmosfera: pochi chili nel caso del Giappone, decine di tonnellate nel caso dell’Ucraina. Ma non tutte le bombe nucleari sono così “pulite” come quelle che furono sganciate sul Giappone. Un fattore importante che limitò molto la contaminazione di Hiroshima e Nagasaki fu che le bombe furono fatte esplodere a più di cinquecento metri di altezza, in modo da massimizzare il danno sulle città sottostanti (se la bomba fosse stata fatta esplodere più in basso avrebbe sprecato gran parte della sua energia nello scavare un cratere). La differenza la fa il suolo, o meglio: quanta terra e altri detriti vengono risucchiati all’interno dell’esplosione. Questi elementi vengono vaporizzati e si trasformano a loro volta in materiale radioattivo. A questo punto, la nuvola di materiale radioattivo non è più così leggera da essere dispersa e resa innocua dai venti. Diventa pesante e precipita al suolo, moltiplicando l’effetto contaminante della bomba: è l’effetto “fallout” di cui dicevamo. Questo effetto è molto forte nelle bombe più potenti, quelle all’idrogeno, che risucchiano enormi quantità di suolo fino al punto dell’esplosione. Si stima che il fallout di queste bombe sarebbe in grado di contaminare il suolo a livelli mortali per gli essere umani in un raggio di centinaia di chilometri dal luogo dell’esplosione.