In Catalogna si va alle elezioni anticipate
Si voterà il 27 settembre e sarà di fatto un'altra consultazione indiretta sull’indipendenza della comunità autonoma dalla Spagna
La sera di lunedì 3 agosto il presidente della Catalogna, Artur Mas, ha firmato un decreto per convocare le elezioni il prossimo 27 settembre. Si tratta di elezioni anticipate, dato che la scadenza naturale del mandato del governo sarebbe stata nel 2016. Le votazioni arrivano dopo che Mas non è riuscito a indire un referendum sull’indipendenza della Catalogna, come aveva promesso.
Artur Mas, uomo della coalizione conservatrice che fino a qualche tempo fa si chiamava Covergencia y Unió (ora non più, ma ci arriviamo), era stato eletto nel 2012 basando la propria campagna elettorale sul referendum per l’indipendenza della comunità. Aveva promesso che avrebbe cercato sul tema un largo consenso politico nel parlamento regionale e avrebbe costruito un contesto legislativo per il referendum che non contrastasse con la costituzione spagnola e il negoziato con il governo centrale. Dal 2012, scrive El País, Mas però ha perso sostegno al Parlamento (tanto che Unió Democràtica de Catalunya, il partito che si era federato con quello di Mas, si è diviso di nuovo), i quadri giuridici adottati per consentire lo svolgimento di una consultazione popolare sull’indipendenza sono stati impugnati e successivamente sospesi dalla Corte costituzionale (la parola “consultazione” al posto di referendum era stata scelta proprio per aggirare la Costituzione: una votazione ufficiosa si era svolta nel novembre del 2014 e i risultati non erano stati riconosciuti dal governo centrale di Mariano Rajoy). Infine, il dialogo a livello istituzionale «si è ridotto al minimo» e ora «è in un vicolo cieco» (Rajoy aveva incontrato Mas una sola volta, l’anno scorso, e senza il raggiungimento di un accordo). Mas ha dunque deciso di anticipare le elezioni per ottenere una nuova legittimità per il suo progetto, trasformando di fatto le elezioni stesse in una specie di consultazione indiretta sull’indipendenza.
Convergència, il partito di Mas, si è unito con gli indipendentisti di sinistra di Esquerra Republicana (ERC) per presentare una lista unica (“Junts pel sì”, “Uniti per il sì”) guidata dall’ex eurodeputato Raul Romeva: entrambi sono favorevoli all’indipendentismo, pur avendo posizioni politiche diverse. Uniò, che si è staccata da Convergència, presenterà invece una propria lista a favore del federalismo (una soluzione più morbida rispetto all’indipendenza). I conservatori del Partito Popolare e Ciudadanos, sono contrari a qualsiasi forma di indipendenza mentre Podemos (come già per le municipali di Barcellona) non presenterà una lista con il proprio nome ma darà il suo appoggio a una lista privilegiando però le questioni sociali rispetto a quelle sul referendum.
La Catalogna è una regione nordorientale della Spagna di quasi otto milioni di abitanti (circa il 19 per cento della popolazione del paese, che produce il 19 per cento del suo PIL): ha come capitale Barcellona e possiede una propria fortissima identità culturale e storica, a cominciare dalla lingua, il catalano. Dispone già di un proprio parlamento nell’ambito di un complesso sistema di autonomie, che da tempo lavora allo svolgimento di un referendum consultivo sull’indipendenza. Il parlamento catalano aveva annunciato il referendum alla fine del 2013 basandolo su una dichiarazione di sovranità approvata un anno prima, che però la Corte Costituzionale aveva in seguito dichiarato illegittima.
Nel novembre del 2014 si era dunque svolto un referendum “informale” e circa l’80 per cento dei votanti si era espresso a favore dell’indipendenza dal governo della Spagna. Gli organizzatori della consultazione avevano detto che avevano partecipato circa due milioni di persone, con un’affluenza stimata al 35,9 per cento. Il referendum proponeva due domande: “Volete che la Catalogna sia uno stato?” e, in caso di risposta affermativa, “Volete che che la Catalogna sia uno stato indipendente?”. Le risposte affermative a entrambi i quesiti erano state l’80,72 per cento, mentre il 10,11 per cento aveva votato sì solo alla prima domanda. I voti negativi a entrambe le domande erano stati il 4,55 per cento. La consultazione non aveva avuto comunque alcun valore legale.