La “rivoluzione” delle stampanti 3D per il momento non si vede
Le aziende che le producono non sono messe bene e col passare degli anni non si capisce perché una persona normale dovrebbe usarle
Si parla ormai da alcuni anni di stampanti 3D, quelle che permettono di stampare oggetti tridimensionali: funzionano come le stampanti classiche, ma anziché depositare inchiostro su un foglio costruiscono strati di materiale, muovendosi su tre assi. Negli ultimi anni le stampanti 3D sono state descritte – anche con molta enfasi – come capaci di cambiare radicalmente l’industria, il settore medico, la vita domestica e addirittura l’edilizia. Già nel 2012 l’Economist aveva messo le stampanti 3D tra i principali protagonisti di quella che definiva la terza rivoluzione industriale, che avrebbe permesso a chiunque di progettare e stampare in poco tempo e in completa autonomia ogni tipo di oggetto.
Le stampanti 3D però fin qui non sono riuscite ad affermarsi come qualcosa di realmente dirompente e rivoluzionario. Alcune stampanti 3D sono usate con successo in specifici ambiti industriali e di design, ma molte delle loro altre applicazioni ipotizzate negli ultimi anni si sono rivelate inefficaci. Le buone stampanti 3D per uso domestico costano circa mille euro: hanno però lo svantaggio di essere molto lente nella produzione (si parla di ore anche per piccoli oggetti) e non permettono stampe di una qualità davvero soddisfacente. Esistono anche stampanti che costano poco meno di 200 euro: sono però ancora più lente e ancora meno precise. Il principale problema delle stampanti commerciali – destinate secondo alcuni a finire “una in ogni casa” – è la loro poco chiara utilità: “sono perfette per stampare piccoli oggetti e cianfrusaglie” ma poco utili per tutto il resto, scrive Quartz.
L’articolo di Quartz è intitolato “La stampa 3D non è il miracolo che ci avevano promesso” e spiega che i limiti tecnici delle attuali tecnologie di stampa tridimensionale sono troppi e troppo grandi: oltre a essere lente e poco accurate, le stampanti 3D “nella maggior parte dei casi possono stampare un solo materiale per volta, E tutto questo non sembra poter cambiare nel prossimo futuro”.
Quartz spiega che finché un’azienda non riuscirà a fornire soluzioni a questi problemi la rivoluzione promessa dai promotori delle stampanti 3D dovrà attendere, e il mercato delle stampanti 3D dovrà assestarsi su valori molto più bassi di quelli sperati solo alcuni anni fa. Alla borsa statunitense le azioni di due tra le principali aziende del mercato della stampa tridimensionale – Stratasys e 3D Print – hanno raggiunto il loro valore più alto nel gennaio del 2014 e negli ultimi mesi hanno avuta una costante e rilevante svalutazione.
3D printing stock prices peaked in 2014 http://t.co/M2RQsSuah5 via @atlascharts
— Gabriele Gargantini (@GGargantini) July 31, 2015
Negli ultimi mesi del 2014 Stratasys aveva acquisito MakerBot, una delle più promettenti aziende del settore, definita la “Apple delle stampanti 3D“. Quell’acquisizione sembrava poter aprire a una definitiva commercializzazione su larga scala delle stampanti 3D domestiche, ma così non è stato: negli ultimi mesi MakerBot ha licenziato un quinto dei suoi dipendenti, chiuso tutti i suoi negozi e iniziato a concentrare la sua attività sulle stampanti 3D per le scuole.
Fatta eccezione per le scuole e per le persone particolarmente appassionate di nuove tecnologie, le stampanti 3D sembrano al momento poter interessare solo alle aziende che hanno la necessità di “stampare” e “modellare” rapidamente le loro idee, i loro progetti, “il nuovo casco per un ciclista, la portiera di un’automobile o una ruota dentata”, scrive Quartz. Nella quasi totalità dei casi la stampa 3D in ambito industriale è però la fase iniziale di un processo che prevede poi dinamiche di produzioni più tradizionali: più che l’emblema della terza rivoluzione industriale, la stampante 3D è per ora – e sarà ancora per un po’ – un utile aggiornamento della seconda rivoluzione industriale.