La prima guerra del Golfo, 25 anni fa
Cominciò il due agosto del 1990 quando l'Iraq invase il Kuwait: è ricordata come la prima guerra trasmessa in diretta televisiva
Nel tardo pomeriggio del primo agosto del 1990 il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Brent Scowcroft, raggiunse il presidente George Bush con un messaggio molto importante: il regime iracheno di Saddam Hussein si stava preparando a invadere il Kuwait, uno stato confinante con l’Iraq. La situazione era tesa da settimane e l’Iraq aveva schierato delle truppe vicino al confine, secondo l’intelligence nient’altro che una messinscena per ottenere concessioni diplomatiche. Ma le ultime informazioni arrivate quel pomeriggio mostravano che la quantità di truppe spostate era oramai troppo ingente per essere soltanto una dimostrazione di forza. Bush concordò con i suoi consiglieri che una telefonata a Hussein era l’unica strada per fermare le ostilità. Mentre cercavano un modo di mettersi in contatto con il governo iracheno, arrivò la notizia che le truppe irachene avevano oltrepassato il confine con il Kuwait. Nel Golfo Persico erano le due di notte del due agosto 1990.
Quel giorno cominciò quella che Richard Haas, all’epoca consigliere del presidente, ha definito sul Wall Street Journal l’ultima “guerra classica” e che è passata alla storia come il primo conflitto “in diretta TV”: una guerra le cui immagini per la prima volta furono mostrate sugli schermi dei televisori di tutto il mondo. Le prime immagini ad essere mostrate furono quelle di quasi mezzo milione di profughi kuwaitiani che attraversavano il confine con l’Arabia Saudita per scappare dalle truppe irachene. L’opinione pubblica mondiale fu immediatamente colpita da quella che era a tutti gli effetti un’aggressione gratuita di uno stato sovrano e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite impose immediatamente sanzioni economiche all’Iraq, con il voto favorevole sia della Cina che della Russia, due dei cinque membri permanenti con potere di veto.
L’invasione aveva colto gli Stati Uniti di sorpresa, ma già il 4 agosto, dopo una riunione con i capi dell’esercito, Bush decise di intervenire militarmente. Nel frattempo i paesi arabi cercarono di persuadere Hussein ad abbandonare l’Iraq mentre le Nazioni Unite emanavano una risoluzione dopo l’altra chiedendo all’Iraq di ritirarsi (ne avrebbero approvate 12 in tutto prima dell’intervento militare). La preparazione dell’invasione fu meticolosa e richiese sei mesi di lavoro. Temendo un attacco iracheno, re Fahd dell’Arabia Saudita chiese all’assemblea degli Ulema, la più alta autorità religiosa saudita, di emettere una fatwa in cui si autorizzava l’ingresso di truppe americane nel paese. Nel giro di pochi mesi mezzo milione di soldati americani ed enormi quantità di materiale bellico furono schierate lungo il confine iracheno (la decisione degli Ulema scandalizzò profondamente quello che allora era ancora un semi-sconosciuto rampollo di una ricca famiglia saudita, Osama Bin Laden).
La vera e propria “guerra in diretta TV” cominciò la notte del 17 gennaio, quando l’aviazione americana iniziò a bombardare l’esercito iracheno. Nuove tecnologie, come ad esempio le telecomunicazioni satellitari, permisero ai giornalisti aggregati alle truppe americane di trasmettere in diretta le immagini degli aerei che decollavano dalle basi in Arabi Saudita diretti in Iraq. I giornalisti a Baghdad ripresero l’altro lato, mostrando le immagini del cielo di Baghdad solcato dai proiettili traccianti e illuminato dalle esplosioni. Tre giornalisti di CNN – Bernie Shaw, John Holliman, e Peter Arnett – rimasero a Baghdad per quasi tutta la guerra e le loro trasmissioni dalla città sotto attacco sono entrate nella storia del giornalismo.
L’esercito americano contribuì con entusiasmo alla copertura del conflitto, permettendo a molti giornalisti di aggregarsi e distribuendo filmati e riprese delle azioni, compresi i primi video fatti con apparecchi per la visione notturna. Per la prima volta gli spettatori di tutto il mondo potevano osservare gli effetti della guerra dal punto di vista dei missili che montavano telecamere sul muso.
La campagna aerea durò cinque settimane e impiegò più di duemila aerei americani e degli altri alleati. Furono compiute più di centomila missioni e vennero sganciate quasi centomila tonnellate di bombe. L’esercito iracheno fu praticamente distrutto nel corso della campagna aerea, insieme a molte infrastrutture del paese, come ponti, strada e centrali elettriche. Almeno diecimila soldati iracheni furono uccisi nei bombardamenti, in particolare quando le colonne di soldati cominciarono a ritirarsi dal Kuwait e furono attaccate lungo quella che i piloti americano ribattezzarono “l’autostrada della morte”. Tra i due e i tremila civili furono uccisi negli attacchi aerei.
Gli effetti di un bombardamento americano su una colonna di soldati iracheni in ritirata (U.S. Air Force)
Il 24 febbraio cominciò l’operazione terrestre che durò soltanto cento ore. Gli iracheni si arresero in massa in tutto il Kuwait e nelle zone dell’Iraq attaccate e soltanto piccoli gruppi organizzarono delle disperate sacche di resistenza. Hussein diede ordine alle truppe in ritirata di incendiare i pozzi di petrolio del Kuwait, una misura disperata le cui conseguenze sulla salute dei kuwaitiani si vedono ancora oggi. Il 28 febbraio le truppe della coalizione terminarono la liberazione del paese e il presidente Bush proclamò un cessate il fuoco unilaterale. Dal suo punto di vista la guerra era stata un incredibile successo. Le perdite della coalizione ammontavano a poche centinaia di uomini tra morti e feriti, le perdite tra i civili iracheni erano state contenute e la stampa, in parte sedotta dal nuovo modo di raccontare la guerra con immagini e filmati, contribuì a dare del conflitto un’immagine più che positiva.
Bush decise di non avanzare oltre lasciando agli iracheni il compito di rimuovere Hussein. Curdi e sciiti, convinti che il regime fosse oramai al collasso e che la coalizione sarebbe presto arrivata in loro aiuto, iniziarono una rivolta che venne repressa sanguinosamente. Il regime di Hussein non collassò e sopravvisse per altri 12 anni, quando un secondo Bush invase di nuovo il paese causando una serie di eventi alle cui conseguenze assistiamo ancora oggi.