Il razzismo contro Adam Goodes
Uno dei più forti giocatori di football australiano è aborigeno e viene spesso fischiato e insultato dai tifosi avversari: ma non è un tipo che accetta in silenzio
Adam Goodes è un giocatore di football australiano (noto anche come Aussie rules o footy): uno sport inventato nell’Ottocento che si gioca in 18 contro 18 su campi ovali e con palloni ovali. Una specie di rugby – è uno sport in cui i contatti tra i giocatori sono duri e frequenti – ma con regole molto diverse e molto seguito in Australia, in certi casi anche più del rugby. Goodes ha 35 anni, è alto 1 metro e 91 centimetri, pesa 80 chili ed è uno dei più esperti e forti giocatori del campionato australiano. Goodes è anche il più famoso giocatore aborigeno di football australiano, oltre che quello con il maggior numero di presenze. Proprio a causa delle sue origini aborigene Goodes negli anni è stato spesso obiettivo di insulti e proteste razziste da parte dei tifosi australiani: è stato fischiato, insultato e spesso le sue partite sono state accompagnate da cori razzisti.
Negli ultimi giorni i siti australiani e internazionali sono tornati a parlare del razzismo nei confronti di Goodes perché Lewis Jetta – un compagno di squadra di Goodes nei Sydney Swans, anche lui aborigeno – ha esultato dopo una trasformazione con una danza di guerra aborigena. Durante l’esultanza Jetta ha mimato di gettare una lancia verso il pubblico, colpevole di aver costantemente fischiato Goodes durante la partita. Già a maggio Goodes aveva esultato in modo simile dopo aver segnato un punto durante una partita.
Il Guardian scrive che dopo l’esultanza di maggio sulla pagina Wikipedia di Goodes erano comparse immagini di scimmie e molti commentatori sportivi avevano criticato il suo gesto come eccessivamente violento: «Forse era meglio non farlo, di certo non fermerà i fischi», aveva detto l’ex giocatore Dennis Cometti. I fischi nei confronti di Goodes sono particolarmente frequenti e insistiti perché Goodes si è spesso esposto pubblicamente per difendere i diritti degli aborigeni e soprattutto per un episodio avvenuto più di due anni fa.
Durante una partita giocata nel maggio del 2013 Goodes si era fermato, si era girato verso il pubblico e aveva puntato il dito contro Julia, una ragazzina seduta in prima fila a pochi metri di distanza dal campo. Secondo lui Julia l’aveva chiamato “scimmia”: «È stato devastante sentire una ragazzina di 13 anni chiamarmi “scimmia”. Il razzismo ha un volto, ed è quello di una ragazzina di 13 anni», aveva commentato Goodes. La ragazzina fu poi accompagnata fuori dal campo da uno degli steward dello stadio. Dopo la partita Goodes chiese però pubblicamente ai media di non concentrare la loro attenzione su Julia e si rifiutò di sporgere denuncia nei suoi confronti. Il sito The Australian racconta che il giorno dopo Julia telefonò a Goodes, scusandosi con lui e dicendo che “non sapeva che quello che gli aveva detto allo stadio rappresentava un’offesa”.
Dopo la recente esultanza di Jetta e una nuovamente alta attenzione mediatica su Goodes la madre di Julia ha parlato di quella vicenda e ha detto: «Se lui non avesse indicato mia figlia, ora non avrebbe tutti i problemi che sta avendo. Penso che dovrebbe scusarsi perché forse avrebbe dovuto scegliere un po’ meglio il suo bersaglio». La madre della ragazzina ha detto che sua figlia «non aveva idea di quello che stava dicendo».
Negli ultimi giorni Goodes ha ricevuto alcuni giorni di permesso dalla sua squadra e molti siti sportivi parlano della possibilità che possa scegliere di ritirarsi a causa dell’eccessivo razzismo nei suoi confronti. La madre di Julia ha commentato questa possibilità dicendo che anziché ritirarsi Goodes dovrebbe continuare a giocare, accettando il fatto che possa essere deriso e preso in giro dagli avversarsi. L’implicita premessa della madre di Julia – condivisa da molte delle persone che in questi giorni hanno criticato Goodes – è infatti che i fischi nei suoi confronti non rappresentino fenomeni di razzismo, ma semplici manifestazioni di rivalità nei confronti di un giocatore di una squadra diversa da quella per cui si tifa (una tesi usata spesso anche in Italia per casi simili).
In Australia il razzismo nei confronti degli aborigeni è molto radicato. Il giornalista australiano Martin Flanagan ha sintetizzato il problema dicendo, riferendosi a come Nelson Mandela aiutò il rugby sudafricano a superare il razzismo: «Il momento-Mandela del football australiano è ancora lontano». Secondo i dati ufficiali dell’Australian Football League i giocatori aborigeni del massimo campionato australiano sono 71 (su 18 squadre, con 18 giocatori titolari a testa) e gli episodi di razzismo che li riguardano sono stati e sono ancora frequenti. Ci sono comunque stati dei progressi: dal 1906 al 1980 i giocatori aborigeni nel campionato di football australiano sono stati in tutto 18.
Sabato 1 agosto i Sydney Swans hanno giocato una partita: Goodes non c’era, ma la sua squadra ha mostrato di sostenerlo. Andrew Pridham, il presidente della squadra in cui gioca Goodes, ha paragonato i suoi gesti a quelli di Rosa Parks, l’attivista nera che nel 1955 si rifiutò di lasciare a un uomo bianco il suo posto sull’autobus. Pridham ha anche detto: «Sono convinto che gli eventi dell’ultima settimana rappresentino un momento fondamentale nella nostra storia, forse era un momento che la nostra nazione aveva bisogni di vivere». Durante la partita molti tifosi hanno ripetutamente celebrato Goodes con dei cori.
Fans come out in force to stand with #AdamGoodes http://t.co/v7TK5XOHNz pic.twitter.com/T7O3FnJzeZ
— SBS News (@SBSNews) August 1, 2015