Il piano americano anti-ISIS non funziona
I volontari per combattere lo Stato Islamico in Siria sono pochissimi, scrive il New York Times, e un importante reclutatore siriano è appena stato catturato da al Qaida
Giovedì scorso Nadeem Hassan, un disertore dell’esercito del presidente siriano Bashar al Assad, è stato rapito in Siria dal Fronte al Nusra, il gruppo che rappresenta al Qaida nella guerra siriana. Hassan, hanno scritto diversi siti di news internazionali tra cui il New York Times, è uno degli uomini che ha aiutato le forze statunitensi a reclutare i ribelli moderati per un programma di addestramento degli Stati Uniti finalizzato a combattere lo Stato Islamico (o ISIS) in Siria. Del piano di addestramento si era parlato parecchio anche nei mesi scorsi, citando soprattutto le molte difficoltà incontrate nel metterlo in pratica. Una delle più rilevanti è il fatto che il programma americano è stato pensato e diretto contro l’ISIS, ma non contro il regime di Assad: una condizione che molti combattenti siriani non hanno trovato accettabile, visti i continui massacri compiuti dai soldati siriani sulla popolazione civile in Siria. Il dipartimento della Difesa statunitense ha negato che gli uomini rapiti abbiano partecipato direttamente al suo programma di addestramento.
Il piano per addestrare dei ribelli in funzione anti-ISIS è stato annunciato lo scorso settembre ed è cominciato in alcune basi in Turchia a febbraio di quest’anno. I funzionari americani si riferiscono agli uomini addestrati dal programma come “New Syrian Force”. In tutto poco più di un centinaio di combattenti ribelli hanno avuto accesso al programma, mentre in migliaia sono stati respinti. Il processo di selezione è molto severo e alcuni funzionari del dipartimento della Difesa hanno detto alla stampa che la stragrande maggioranza dei candidati è stata esclusa per inadeguatezza fisica o perché sospettata di avere legami con gli estremisti.
Fino ad ora l’amministrazione statunitense ha detto che hanno superato l’addestramento soltanto 60 ribelli che ora si trovano a combattere nel nord della Siria. Non è stato rivelato a quale formazione si siano uniti: alcuni di loro potrebbero essere impegnati insieme alla “Divisione 30”, un gruppo di circa 1.200 uomini radunata proprio da Nadeem Hassan, rapito giovedì scorso. Nel corso di alcune interviste con il New York Times avvenute prima di essere catturato, Hassan aveva raccontato delle sue difficoltà nell’aiutare gli americani con il programma. Ad esempio soltanto 125 dei 1.200 uomini che aveva reclutato erano stati poi accettati nel programma.
Il problema più grande di una selezione così severa è che non ci sono molte potenziali reclute tra cui scegliere e da ammettere nel programma dell’amministrazione Obama. Le reclute che si sono offerte di partecipare sono in tutto settemila. L’esercito siriano, l’ISIS e le altri grandi formazioni di islamisti hanno agli ordini decine di migliaia di soldati. Hassan aveva raccontato che il problema principale è il modo con cui gli Stati Uniti stanno promuovendo il programma. Per molti ribelli la priorità è rovesciare il regime di Bashar al Assad e solo secondariamente sconfiggere l’ISIS. Il programma del dipartimento della Difesa americano è mirato esplicitamente contro l’ISIS, mentre l’appello che bisogna sottoscrivere per partecipare non fa nessuna menzione di Assad. Secondo Hassan il programma avrebbe più successo se gli americani dichiarassero che ha lo scopo più generico di “proteggere i civili”. Ad oggi, la maggior parte delle reclute provengono dalle zone orientali della Siria o da Aleppo, dove l’ISIS è la minaccia principale per la popolazione locale. Dal resto della Siria, invece, le reclute arrivate sono molto poche.
Il programma del Pentagono è diverso da quello segreto iniziato dalla CIA in Giordania due anni fa che ha lo scopo di addestrare e armare gruppi di ribelli per sconfiggere Assad. Ai ribelli usciti da questo programma viene richiesto di non combattere a fianco dei gruppi islamisti, ma per il resto sono liberi di affrontare il regime. Anche il programma della CIA ha incontrato parecchi problemi. Lo scorso anno due delle principali formazioni addestrate e armate dalla CIA sono state attaccate e distrutte dagli uomini del Fronte al Nusra che sono anche riusciti a impadronirsi di alcuni dei sofisticati missili anti-carro di fabbricazione americana.
Qualunque formazione ribelle addestrata dagli americani si trova ad essere un bersaglio degli islamisti, che siano fedeli ad al Qaida oppure affiliati all’ISIS. Questi gruppi spesso sono composti da uomini più motivati e dotati di risorse e armi migliori, catturate nel corso della guerra oppure ottenute grazie ai finanziatori nei paesi arabi. Il coinvolgimento diretto della Turchia nelle operazioni in Siria potrebbe in qualche misura cambiare la situazione attuale. Il primo obiettivo che dovrebbero ottenere i ribelli moderati con l’aiuto della “New Syrian Force” è controllare i circa cento chilometri di confine turco-siriano non ancora nelle mani dei curdi dell’YPG.
In questo modo l’ISIS e gli altri islamisti perderebbero accesso ai valichi del confine turco tramite i quali riescono a contrabbandare armi e “foreign fighters”, i combattenti stranieri che entrano in Siria per combattere con i ribelli. Fino a poche settimane fa l’obiettivo sembrava irrealizzabile e lo stesso Hassan aveva detto che i suoi uomini potevano a malapena controllare «200 metri di confine». Gli attacchi turchi contro l’ISIS hanno però riportato di attualità un piano di cui si sentiva discutere oramai da settimane: la creazione di una “safe zone”, cioè una zona sicura, lungo il confine turco-siriano. Non è chiaro che forma dovrebbe prendere questa “safe zone”, ma l’eventualità più probabile è che divenga un’area intensamente pattugliata dagli aerei turchi e americani dove i ribelli moderati possano organizzarsi al riparo dagli attacchi degli islamisti. Per molti ribelli siriani la domanda a questo punto è se la zona, una volta realizzata, li metterà al sicuro anche dai soldati del regime.