Cosa fare con Trump?
Le redazioni americane tormentate dall'imbarazzo tra una candidatura reale e un personaggio poco serio
Donald Trump è un miliardario americano che vuole diventare presidente degli Stati Uniti: almeno così dice. Poco più di un mese fa si è candidato alle primarie del partito Repubblicano e poi ha cominciato un’intensa campagna elettorale fatta di annunci esagerati, comportamenti sopra le righe e, per adesso, sondaggi molto favorevoli. Il problema è che Donald Trump – diventato ricco nel settore immobiliare e famoso per il reality show The Apprentice – non è considerato da nessun esperto un serio candidato alla presidenza: questa non è la prima volta che si candida alle primarie per poi ritirarsi, e in pochi credono che lui stesso voglia davvero fare il presidente. Però i giornali parlano quasi solo di lui e nell’ultimo mese ha dettato l’agenda della campagna elettorale tra i Repubblicani.
Questa situazione, come ha raccontato il New York Times, sta creando qualche problema in tutte le redazioni degli Stati Uniti. Cosa è meglio fare: non occuparsi di Trump e delle sue uscite esorbitanti, col rischio però di non raccontare una grossa parte delle primarie Repubblicane, o trattarlo come un candidato qualsiasi, rischiando però di dover parlare per lo più di cose strampalate, frasi assurde e iniziative surreali? La questione è familiare anche a chi ha poca dimestichezza con la politica americana, vista dall’Italia: il giornalismo politico italiano da anni maneggia quotidianamente dichiarazioni e personaggi in cui la distinzione tra rilevante e ridicolo spesso non esiste.
Da quando il 16 giugno Donald J. Trump ha annunciato la sua candidatura alle primarie dei Repubblicani, il suo nome è apparso nei titoli dei più importanti giornali con una media di 22 volte al giorno, secondo il database Nexis, circa tre volte di più di Jeb Bush, uno dei candidati favoriti per la vittoria finale. Dietro ognuno di quegli articoli su Donald Trump c’è un oceano di angoscia che molte organizzazioni giornalistiche provano quando devono decidere se occuparsi di lui o no.
È una star dei reality show che si diverte con la politica? O una parte vitale di una sana democrazia? È un indicatore di profondi cambiamenti nell’elettorato? O un comico con una strana acconciatura? Donald Trump, ha detto Cameron Barr del Washington Post, «non si presta a facili etichette».
Qualche esempio. Donald Trump ha iniziato la sua campagna elettorale con un discorso tenuto alla Trump Tower di New York: è arrivato sul palco accompagnato da una musica trionfale scendendo su una scala mobile e per questa cosa è stato subito preso molto in giro.
Qualche settimana dopo, parlando di immigrazione dopo una molto discussa visita al confine tra Stati Uniti e Messico, Trump ha detto che gli immigrati messicani sono gente con problemi gravi, spacciatori e stupratori, e che forse solo alcuni di loro sono brave persone: ha poi cercato di ritrattare e chiarire il suo pensiero, ma ha comunque mostrato di non sapere o non volere fare il politico. I voti degli immigrati sono fondamentali per qualunque candidato presidente, anche tra i Repubblicani. In un’altra occasione, durante un comizio, Trump ha letto pubblicamente il numero di telefono privato di un altro candidato Repubblicano alle primarie che lo aveva criticato. Un’altra volta ancora ha insultato il rispettato senatore repubblicano ed ex soldato John McCain, dicendo che lui preferisce chi non si fa catturare dai nemici (facendo riferimento ai cinque anni di prigionia in Vietnam di McCain).
Queste esagerazioni non sono una cosa nuova per chi segue abitualmente la politica o la carriera di Donald Trump, che già nel 2011 aveva fatto parlare molto di se dicendo di volersi candidare alle primarie, ma rinunciando prima che le cose si facessero davvero serie. Questa volta, però, le cose sono un po’ diverse: se prima era stato possibile in qualche modo trattare Trump come un “matto” in cerca di visibilità, ora è più difficile.
La decisione se occuparsi o no di lui è complicata dal fatto che Donald Trump, che ha spesso flirtato con la politica nazionale, quest’anno si è spinto più in là che mai. A parte aver formalmente dichiarato la sua candidatura, ha compilato i questionari sulla sua situazione economica (necessari per l’ufficializzazione della candidatura, ndr), togliendo così l’ultima ragione che i giornalisti avevano per non parlare di lui come un candidato serio.
Inoltre, come ha spiegato Francesco Costa sul suo blog, anche se in molti continuano a considerare Trump un fenomeno mediatico destinato a finire e senza reali possibilità di vittoria finale, il suo primo mese di campagna elettorale ha avuto effetti molto concreti su tutta la campagna elettorale per le primarie Repubblicane. Secondo i sondaggi – che valgono poco, a molti mesi dall’inizio delle primarie, ma vengono comunque letti e commentati moltissimo – Trump è in testa tra i candidati Repubblicani. Aiutato dalla grande attenzione che gli riservano i giornali, fin qui ha sostanzialmente deciso i temi di cui parlare e ha costretto tutti gli altri candidati sulla difensiva. Non parlare di Trump in questo momento vuol dire non parlare delle primarie dei Repubblicani.
(Donald Trump durante un comizio a Phoenix l’11 luglio 2015 – Charlie Leight/Getty Images)
Secondo Ryan Grim, capo della redazione di Washington dell’Huffington Post, Trump non sta costruendo una macchina organizzativa finalizzata alle elezioni, ma sta cercando solo di ottenere pubblicità e attenzione mediatica. Seguire Donald Trump in tutte le sue sciocchezze e continuare a parlarne, dice Grim, può ingannare i lettori e fargli pensare che si tratti di un vero candidato alla presidenza: per questa ragione il suo giornale, da qualche settimana, si occupa di Trump nella sezione di intrattenimento e non in quella di politica. Anche Rupert Murdoch, propietario del Wall Street Journal e del New York Post, ha espresso opinioni simili e i suoi giornali hanno nei confronti di Trump un atteggiamento simile a quello dell’Huffington Post.
Su posizioni opposte a quelle di Grim, invece, c’è il Washington Post, uno dei più antichi e rispettati giornali americani. Sentito dal New York Times, il giornalista Cameron Barr ha spiegato che è un loro dovere «prendere sul serio chiunque vada così forte nei sondaggi, come fa lui tra i repubblicani», aggiungendo che il lavoro dei giornalisti del Washington Post non è predire il risultato delle elezioni ma di «fornire un servizio ai lettori nel modo migliore». Questo nelle ultime settimane ha significato occuparsi di tutte le uscite esagerate di Trump, compresa quella sui migranti stupratori. Come ha detto anche Matthew Purdy, vicedirettore del New York Times: «Almeno per il momento, Donald Trump è passato da essere un marginale fenomeno estivo a essere una notizia. E noi ci occupiamo delle notizie».
Anche Susan Glasser, direttrice di Politico, ha spiegato di non avere grossi problemi a occuparsi di Trump. Secondo lei Trump fa parte della radicata tradizione della politica americana di produrre personaggi esagerati e sopra le righe: non è una novità ed è uno dei tanti aspetti della politica di cui bisogna occuparsi negli Stati Uniti. Come ha detto Katherine Miller, capo della redazione politica di BuzzFeed: «questa è la politica: le cose strane succedono».
(Due veterani contestano Donald Trump al suo arrivo in Texas: il cartello a sinistra dice “i capelli di Trump sono illegali” – AP Photo/Darren Abate)
Un altro aspetto da considerare è che l’attenzione del pubblico nei confronti di Trump, per il momento, è molto alta: citando dati raccolti dal sito di analisi statistiche FiveThirtyEight.com, il New York Times ha spiegato che oltre il 60 per cento delle ricerche collegate alle primarie Repubblicane effettuate su Google tra giugno e luglio hanno avuto a che fare direttamente con Trump, mentre solo il 9 per cento, per fare un paragone, hanno riguardato Jeb Bush. Questo fa sì che molti giornali online, per assecondare note dinamiche di ricerca dei lettori su Internet, sono ulteriormente spinti a occuparsi di Trump e della sua strampalata campagna elettorale.
Le ragioni che rendono così popolare un candidato così poco credibile sono legate proprio quelle alla base della sua scarsa credibilità. Trump è un uomo che conosce i media, sa come farsi seguire: non si comporta come i politici normali, ha detto Cameron Barr, «non ha filtri, e da questo punto di vista diventa una persone interessante di cui occuparsi e di cui scrivere». Come ha osservato Susan Glasser, in una certa misura è come se stessimo guardando il suo reality show.