Merkel, la bambina, la Grecia, tutti noi
Adriano Sofri studia i pensieri e le azioni della Germania e quello che se ne impara
Adriano Sofri ha scritto per Repubblica un articolo di commento sulla vicenda del confronto fra la cancelliera tedesca Angela Merkel e la bambina palestinese richiedente asilo in Germania. Dieci giorni fa, durante un dibattito televisivo fra Merkel e alcuni studenti, una bambina palestinese si è messa a piangere di fronte a Merkel dopo aver raccontato che la sua richiesta di asilo era stata rifiutata dalla Germania. Nei giorni successivi l’imbarazzata reazione di Merkel era stata molto criticata. Sofri però difende Merkel e la paragona al samaritano della famosa parabola contenuta nel Vangelo di Luca, spiegando inoltre che è necessario tenere lo stesso atteggiamento di accoglienza anche nei confronti della Grecia, che proprio come la bambina si trova in una situazione di difficoltà.
Continuava a girarmi per la testa: la bambina Europa. È il titolo di un romanzo autobiografia di Vittorio Sermonti, uscito nel 1954. Ma non c’entrava. Era per via di Angela Merkel, dell’Europa, della bambina palestinese Reem, e della Grecia. Sono scontento degli opposti commenti all’atteggiamento della signora Merkel con la ragazzina in lacrime. L’hanno deplorata per la sua ( tedesca, hanno detto i peggiori) brutalità. L’hanno lodata per la sua (tedesca, hanno detto i peggiori) franchezza. Ho riguardato il video: Reem è di una bella limpidezza, quando dice da brava le cose per cui è stata invitata all’incontro con la cancelliera, e poi quando, mutata d’improvviso nella destinataria di una lezione sulla Germania e il mondo in fuga, scoppia in lacrime.
E la cancelliera? Interdetta, ha cercato di rimediare, e l’ha fatto così goffamente da dare l’impressione di mancare di compassione. Mi pare invece che le sia successo un incidente di strada, di quelli per i quali non si è abbastanza pronti, né a Berlino né a Napoli. Lei, che non è priva di una vena pedagogica e piuttosto rigorosa, stava spiegando la politica del suo governo verso i migranti e i rifugiati con tale convinzione da scambiare il genere umano, o almeno una sua buona parte, con la bambina che aveva davanti, il suo prossimo. Reem era il suo prossimo.
Immaginate che il samaritano arrestasse la sua cavalcatura e illustrasse al tramortito le cose come stavano: «Vedi, questa strada fra Gerusalemme e Gerico è infestata dai banditi, è uno dei luoghi più insicuri della terra. Se dovessi caricare sul mio giumento ogni aggredito e svaligiato, versare olio e vino sulle sue ferite, fasciarlo, accompagnarlo a una taverna, pagare di mia tasca per le sue cure, i miei affari e la mia vita andrebbero in malora. Tu mi capisci, vero?». Immaginate che l’uomo bastonato e spogliato sulla via di Gerico, un palestinese anche lui del resto, con le poche forze che gli restavano fosse scoppiato in singhiozzi, e più tardi, ripresosi, avesse fatto sapere al samaritano pedagogico che comunque lo ringraziava per essere stato sincero con lui. Il vero samaritano non ignorava affatto che quella fosse una strada pericolosa — lo è ancora. Non ignorava nemmeno che gli altri, il levita, il sacerdote, i connazionali dello sventurato, passavano dall’altra parte della strada, fregandosene del comandamento, del pronto soccorso, del Libano, della Siria, dei rifugiati, del diritto d’asilo. Però al vero samaritano (uno straniero, e di una gente malvista) era capitato proprio quel poveretto lì. Era il suo poveretto. Il suo prossimo.
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