Molti paesi del mondo sono nel mezzo di un’enorme crisi che riguarda l’immigrazione, in cui il caos e le violenze hanno lasciato circa 60 milioni di persone senza casa e in condizioni di vita difficili. Queste persone non hanno un posto dove andare e molte di loro sono disposte a rischiare di morire per raggiungere dei posti dove la vita è migliore. Si tratta di una crisi con delle conseguenze terribili e gravi.
La scorsa settimana sono stato contattato da un membro di un team che lavora per un uomo che pensa di potere risolvere questa crisi. Non è un politico, e nemmeno un accademico o uno che lavora direttamente con i profughi per qualche organizzazione non governativa. Si chiama Jason Buzi, è un magnate del settore immobiliare e opera nella Bay Area, un’area metropolitana che circonda la Baia di San Francisco, in California. La sua soluzione è – a seconda di come la pensiate – incredibilmente semplice o assurdamente ingenua: i paesi del mondo devono collaborare per creare un nuovo stato in cui possano vivere i profughi. «Sono quasi scioccato che nessuno la consideri una soluzione», mi ha detto Buzi al telefono riferendosi a “Refugee Nation”, il suo piano di creazione di un nuovo stato che ospiti i profughi di tutto il mondo. Buzi ha aggiunto: «Abbiamo molti individui senza stato in giro per il mondo. L’idea è che se possiamo dare loro uno stato almeno avranno un posto dove vivere in sicurezza e dove possono lavorare come tutti».
Può sembrare abbastanza ovvio il motivo per cui nessuno sta parlando della soluzione proposta da Buzi: creare un nuovo stato solamente per profughi è una cosa di fantascienza. E oltretutto la storia personale di Buzi rende ancora più difficile che ci siano attenzioni serie al suo progetto. È invece più facile che Refugee Nation sia considerata l’ultima di una serie di idee “tipiche della Silicon Valley” promosse da persone che per lo più ignorano la complessità del fenomeno a cui stanno cercando di trovare soluzione. Gli esperti di profughi che ho contattato, comunque, hanno reagito in un modo che ho trovato sorprendente: non si sono opposti all’idea, anche se questo non vuol dire che credono che la costruzione di un nuovo stato sia una via effettivamente praticabile. Alcuni pensano che Buzi abbia ragione nel credere che il modo in cui oggi il mondo sta trattando il problema dei profughi non sembra funzionare e che forse è necessario un nuovo approccio.
Dopo avere letto il manifesto di Buzi, James Hathaway, il direttore del programma che si occupa di profughi e richiedenti asilo della University of Michigan Law School, mi ha detto: «Quello che mi piace è il suo senso di sdegno morale riguardo a un problema che potrebbe essere risolto, ma che nessuno sta risolvendo». Nel suo lavoro di tutti i giorni, Buzi si occupa di comprare, vendere e occasionalmente costruire proprietà immobiliari alla Bay Area, attività che in passato gli ha fatto ottenere alcuni commenti poco positivi sulla stampa americana. Il suo nome, comunque, potrebbe suonare per altre ragioni. Lo scorso anno alcuni giornali americani ed europei si occuparono di Buzi per il progetto Hidden Cash, attraverso il quale Buzi organizzava delle cacce al tesoro in varie città del mondo in cui i premi erano dei soldi. Il progetto – che da diverso tempo si è fermato perché richiedeva troppo lavoro – aveva l’obiettivo di aiutare le persone con più difficoltà economiche.
Buzi ha detto di avere investito finora tra i 10mila e i 15 dollari per mettere in piedi un team che si occupi del suo progetto e un sito internet che promuova la sua idea. Buzi ha l’intenzione però di coinvolgere altre persone e di usare la popolarità (e i follower di Twitter) che ha ottenuto con il progetto Hidden Cash per aumentare la visibilità di Refugee Nation. «Non sono un miliardario. Ma mi posso permettere di spendere alcune delle mie risorse per provare e promuovere un progetto», ha detto Buzi.
Il suo obiettivo finale è quello di comprare una grande quantità di terreno per creare uno stato (si parla di decine di miliardi di dollari almeno), facendosi aiutare nell’investimento da qualcuno degli uomini più ricchi del mondo o da qualche governo. Buzi ha detto di sperare anche nel coinvolgimento di qualche personaggio famoso, come Angelina Jolie. Buzi ha ipotizzato che lo stato per i profughi possa essere costruito in qualche isola disabitata o in qualche paese con una popolazione molto ridotta che accetti di ricevere delle persone sul suo territorio in cambio di soldi. Non è chiaro però come questo possa poi essere messo in pratica. Anche se dovesse essere trovato il terreno, ci sarebbe da affrontare il processo di costruzione di uno stato. Buzi sostiene che i paesi con persone che hanno diversi background diventano spesso più tolleranti. Crede inoltre che dei progetti infrastrutturali di larga scala e il coinvolgimento di investitori stranieri potrebbero essere in grado di creare dei posti di lavoro. Altre questioni, come il sistema di welfare e le istituzioni politiche, verrebbero affrontate in un secondo momento.
Un’altra delle obiezioni al piano di Buzi riguarda il fatto che i profughi potrebbero non essere disposti a spostarsi nel nuovo stato. Alexander Betts, direttore del centro per gli studi sui profughi della Oxford University, ha detto: «In un mondo globalizzato, dove esiste la libertà di scelta, le persone vogliono potere scegliere dove vivere ed è più probabile che vogliano andare dove si trovano i loro amici, la loro famiglia e dove ci sono più opportunità». Betts ha aggiunto che spesso gli stati costruiti artificialmente sono diventati violenti e pieni di problemi: è difficile immaginare che le persone vogliano vivere in maniera permanente in un posto di questo tipo. Secondo James Hathaway c’è il rischio che uno stato solo per profughi diventi una cosa simile alla Striscia di Gaza, una specie di prigione molto grande. Allo stesso tempo altri esperti dicono che Buzi ha individuato i molti problemi del sistema attuale: paesi come Kenya, Libano e Giordania non sono quasi più in grado di accogliere profughi, mentre i paesi occidentali non stanno facendo abbastanza per risolvere il problema.
©Washington Post 2015