Il Portogallo ha una nuova legge sull’aborto
Prevede l'obbligo per le donne che vogliono abortire di pagare una tassa e parlare con psicologi e assistenti sociali: è stata molto criticata ed è molto restrittiva
Mercoledì 22 luglio il parlamento portoghese ha approvato una nuova legge molto restrittiva sull’aborto, reso legale in Portogallo solamente nel 2007 con un referendum. La nuova legge è stata proposta dal Partito Socialdemocratico – il partito di centrodestra attualmente al governo – ed è stata criticata da tutti i partiti di opposizione. Prevede l’introduzione di una “tassa” da pagare per l’interruzione volontaria della gravidanza – mentre in precedenza l’operazione veniva compiuta gratuitamente – e l’obbligo da parte della donna di consultare psicologi e assistenti sociali prima di decidere di abortire. La legge è stata fortemente contestata dalle associazioni per i diritti delle donne: secondo la parlamentare dei Verdi portoghesi Heloisa Apolonia, la nuova legge ha come scopo quello di «umiliare le donne portoghesi», mentre alcune attiviste hanno interrotto la sessione parlamentare durante la quale è stata approvata la legge urlando ripetutamente «vergogna».
Negli anni il tema dell’aborto ha continuato a essere molto dibattuto in Portogallo, un paese a forte maggioranza cattolica. Già nel 2011 l’allora neoeletto primo ministro conservatore Pedro Passos Coelho disse durante un’intervista che la legge approvata nel 2007 era andata «un po’ troppo oltre» e che andava aggiustata. Non è ancora chiaro a quanto ammonterà la nuova tassa. Secondo l’attivista portoghese Ana Stanco la nuova norma «renderà nei fatti inefficiente» la legge del 2007: l’obbligo di seguire un percorso affiancati da psicologi e assistenti sociali renderà molto complicato procedere all’interruzione di una gravidanza entro le dieci settimane, limite già previsto dalla legge del 2007 e mantenuto.
Prima del 2007 il Portogallo aveva una delle leggi sull’aborto considerate fra le più restrittive in Europa. L’aborto era consentito solamente in casi di gravidanza avvenuti dopo uno stupro, oppure in casi in cui la salute della paziente o del feto erano a rischio. L’interruzione volontaria di gravidanza che avveniva al di fuori di questi due casi veniva punita con un massimo di tre anni di carcere. L’11 febbraio del 2007 si tenne un referendum su proposta dal partito Socialista – che allora aveva la maggioranza di governo – riguardo la depenalizzazione dell’aborto. Il 59,25 per cento dei votanti approvò la depenalizzazione ma l’affluenza fu inferiore al 50 per cento, cosa che in Portogallo rende non vincolante la proposta referendaria. Con un gesto molto criticato, l’allora primo ministro José Sócrates decise di sottoporre una nuova legge sull’aborto al presidente della Repubblica senza discuterla in Parlamento (poteva farlo perché aveva vinto il sì, ma non era obbligato a farlo perché non si era superato il 50 per cento di affluenza): la legge fu firmata dall’allora presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva il 10 aprile 2007. La legge venne criticata anche dal sindacato dei medici, e ancora oggi sono numerosi i casi di obiezione di coscienza da parte dei medici portoghesi.
In Italia l’aborto può essere praticato entro i primi 90 giorni di gravidanza. Per abortire una donna può decidere di consultare sia il proprio medico che un consultorio, i quali la assistono nella sua decisione – nel caso non siano obiettori di coscienza – ed eventualmente contribuiscono «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» (senza però alcun “percorso” obbligatorio associato). Ciascuna gravidanza può inoltre essere interrotta per gravi motivi di salute o malformazioni del feto anche dopo il limite dei 90 giorni.