Il governo Tsipras traballa
Un gruppo di deputati di Syriza ha detto che non voterà l'accordo, così come il suo principale alleato al governo: nel frattempo ci sono scioperi e proteste
Dopo l’accordo raggiunto lunedì con i creditori internazionali, il primo ministro greco Alexis Tsipras è tornato ad Atene dove lo attende un compito altrettanto impegnativo: convincere il suo partito a sostenerlo. Il parlamento di Atene dovrebbe approvare quattro riforme entro la prossima settimana e altre due entro la successiva, secondo il calendario stabilito ieri per soddisfare i creditori e porre le basi “minime” – così si legge nel documento – per proseguire i negoziati e dare mandato alla Commissione europea, alla Banca Centrale Europea e al Fondo Monetario Internazionale per sbloccare un terzo piano di aiuti. Oggi sono previste riunioni del gruppo parlamentare di Syriza, degli altri partiti che fanno parte della coalizione di governo e del Parlamento, per valutare le nuove misure economiche previste dall’accordo di ieri.
Syriza e il Parlamento greco
Il piano dovrà essere votato dal Parlamento della Grecia, dove diversi esponenti del partito di Tsipras, Syriza, hanno già detto di essere contrari a nuove misure di austerità. Si tratta dei parlamentari che già la scorsa settimana, dopo la vittoria del No al referendum, non avevano votato il piano proposto da Tsipras ai creditori: rappresentano una parte minoritaria ma consistente di Syriza e non ritengono che le condizioni imposte siano compatibili con quanto promesso in campagna elettorale.
Il ministro dell’Energia e della Riorganizzazione produttiva, Panagiotis Lafazanis (esponente della “Piattaforma di sinistra”, che rappresenta circa il 35 per cento del totale di Syriza), ha detto che non voterà per l’accordo ma che non si dimetterà dal governo. Il ministro del Lavoro, Panos Skourletis, ha detto che potrebbero essere convocate elezioni anticipate entro la fine dell’anno (forse a novembre, in concomitanza con il voto in Spagna). Il portavoce di Syriza in Parlamento, Nikos Filis, ha chiesto le dimissioni dei deputati che non hanno votato la proposta di Tsipras la settimana scorsa. L’altro partito della coalizione di governo, i Greci Indipendenti di ANEL rappresentati dal ministro della Difesa Panos Kammenos, hanno adottato una linea simile ai dissidenti di Syriza lasciando intendere che non voteranno per l’accordo ma dicendo anche che avrebbero continuato a sostenere il governo.
L’accordo dovrebbe essere invece votato da parte dell’opposizione. La cosa più probabile a questo punto è un rimpasto di governo: Tsipras proverà a ricompattare la maggioranza, chiedendo ai parlamentari che hanno espresso il loro dissenso di rispettare il codice etico del partito e di presentare le dimissioni. Se questo non dovesse accadere – Tsipras non ha una maggioranza parlamentare larghissima – di fatto si andrebbe avanti con una nuova maggioranza. Il quotidiano greco Kathimerini sostiene che l’obiettivo del primo ministro è far votare i primi quattro progetti di riforma al Parlamento mercoledì 15 luglio (tra questi le prime misure sulle pensioni e l’aumento dell’IVA) e poi affrontare il rimpasto con una possibile nuova coalizione. Tsipras potrebbe continuare con un governo di minoranza e con il sostegno esterno di Nuova Democrazia, To Potami e PASOK, attualmente all’opposizione.
Se invece nei prossimi giorni le cose dovessero rivelarsi ancora più complicate, si andrebbe a elezioni anticipate. Facendo i conti: i “dissidenti” di Syriza che non hanno votato o si sono astenuti la scorsa settimana sul piano Tsipras al Parlamento greco sono 17, compreso l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis che era assente. Syriza dispone di 149 seggi e il governo in totale (con i 13 deputati di coalizione di ANEL) ha 162 seggi. Il parlamento è composto da 300 seggi e per ottenere la maggioranza sono necessari 151 voti. Kathimerini dice anche che i “dissidenti” dentro Syriza saranno più di 17: parla di circa 30 deputati del partito di Tsipras che sono propensi a votare contro il governo e che si sono riuniti già giovedì sera.
Il primo sciopero contro Syriza
Syriza affronterà presto anche il suo primo sciopero dei dipendenti pubblici da quando è salito al potere alla fine di gennaio. Il sindacato greco ADEDY (che rappresenta gli impiegati comunali e le amministrazioni locali) ha infatti indetto uno sciopero di 24 ore il prossimo 15 luglio, in risposta alle riforme promesse dal governo greco in cambio di un terzo piano di aiuti internazionali.
Inoltre, nel tardo pomeriggio di lunedì 13 luglio, qualche ora dopo l’annuncio a Bruxelles di un accordo tra la Grecia e i suoi creditori, alcune centinaia di persone si sono radunate in piazza Syntagma ad Atene per protestare contro le condizioni del nuovo accordo e le nuove misure di austerità che il Parlamento greco dovrà votare nei prossimi giorni. La manifestazione, che poi si è trasformata in una sorta di picchetto davanti al palazzo del Parlamento, è stata organizzata dai sostenitori del governo che si erano impegnati per la campagna a favore del No nel referendum di domenica 5 luglio e che percepiscono il nuovo accordo raggiunto da Tsipras con l’Europa come un tradimento della decisione popolare.
Gli altri parlamenti
Oltre al Parlamento della Grecia, l’accordo con i creditori dovrà essere votato da almeno altri 7 paesi: Finlandia, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Austria, Francia e Germania. La Francia organizzerà un voto sia all’Assemblée nationale che al Senato: voteranno a favore il Partito Socialista e anche la maggioranza controllata da Sarkozy. In Germania il Bundestag voterà venerdì. Ci vorranno almeno due settimane per completare i voti nazionali sull’accordo e iniziare il negoziato sul terzo piano di aiuti.
Banche e prossime scadenze
Nonostante l’accordo raggiunto dal governo greco con i creditori internazionali, la situazione finanziaria del paese è piuttosto complicata. Se le cose andranno bene da qui in poi – se cioè il Parlamento greco approverà l’accordo e le nuove misure concordate e se l’accordo sarà accettato e votato anche dai diversi parlamenti dei paesi dell’area dell’euro – il nuovo prestito da parte del Meccanismo europeo di stabilità (MES) non arriverà in brevissimo tempo.
Il ministero delle Finanze greco ha confermato che le banche in Grecia resteranno chiuse almeno fino a mercoledì 15 luglio compreso: lo sono già da due settimane. Rimangono anche il controllo sui capitali e il limite massimo di prelievo di 60 euro. La Grecia tra l’altro deve far fronte nelle prossime ore a una serie di scadenze. Oggi scade un cosiddetto “Samurai bond”, obbligazione internazionale emessa dallo stato greco nel 1995 e denominata in yen per un controvalore pari a 146 milioni di euro. Un default verso creditori privati si potrebbe aggiungere al default verso il Fondo Monetario Internazionale del 30 giugno pari a 1,6 miliardi e a quello per altri 456 milioni saltato nelle ultime ore (il limite per il rimborsi era il 13 luglio). Ieri la Banca Centrale Europea si è rifiutata di alzare il tetto dell’ELA, il meccanismo di emergenza per fornire liquidità alle banche greche. Il prossimo 20 luglio la Grecia dovrà restituire alla BCE una rata relativa a un precedente prestito che ammonta a 3,5 miliardi di euro, ma senza l’erogazione di nuovi aiuti non sarà in grado di fare il pagamento. Poi, il 20 agosto scadono 3,2 miliardi ancora alla BCE, 1 miliardo di bond e 182 milioni al FMI.
Nelle prossime ore l’Eurogruppo dovrà quindi discutere di un prestito-ponte per affrontare l’emergenza finanziaria del paese a brevissimo termine: nel documento ufficiale pubblicato dopo l’incontro di ieri si dice che le necessità finanziarie della Grecia sono di 7 miliardi entro il 20 luglio e di altri 5 miliardi entro metà agosto.
Tsipras e Varoufakis, le due versioni
Cercare di interpretare che cosa è successo in Grecia nelle ultime settimana non è semplice. Le dichiarazioni e le versioni del primo ministro Tsipras e dell’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis (che si è dimesso subito dopo la vittoria dei “No” al referendum, pur avendo sostenuto quella posizione) potrebbero essere d’aiuto.
Subito dopo la conclusione dell’accordo con i creditori, Tsipras ha detto:
Abbiamo lottato duramente per sei mesi, fino alla fine per ottenere il miglior risultato possibile, un accordo che consentirà alla Grecia di rimettersi in piedi e al popolo greco di essere in grado di continuare a combattere. Abbiamo affrontato decisioni difficili e difficili dilemmi. Ci siamo assunti la responsabilità di una decisione per evitare l’attuazione degli obiettivi più estremi portati avanti dalle forze conservatrici più estreme dell’Unione europea.
Questo accordo prevede misure severe. Tuttavia, abbiamo impedito il trasferimento di proprietà pubbliche all’estero, abbiamo impedito l’asfissia finanziaria e il crollo del sistema finanziario — che erano già stati pianificati nei minimi dettagli e alla perfezione — che erano in corso di attuazione. Infine, in questa battaglia dura, siamo riusciti a ottenere la ristrutturazione del debito e un processo di finanziamento a medio termine.
(…) La decisione di oggi manterrà la stabilità finanziaria della Grecia e getta le basi per una potenziale crescita. Tuttavia, come si sapeva da prima, l’accordo sarà difficile da attuare. Le misure comprendono quelle che il parlamento ha votato.
Sono misure che inevitabilmente alimentano tendenze recessive. Tuttavia sono fiducioso che il «pacchetto sviluppo» da 35 miliardi di euro che abbiamo concordato insieme alla ristrutturazione del debito e al finanziamento per i prossimi tre anni, potrà creare un clima di fiducia in modo che gli investitori si renderanno conto che i timori di un «Grexit» sono una cosa del passato, alimentando investimenti che compenseranno eventuali tendenze recessive.
(…) Coloro che hanno portato sulle proprie spalle il peso degli ultimi anni non pagheranno il conto una volta di più. Questa volta, coloro che finora hanno evitato di pagare — protetti dai precedenti governi — inizieranno a pagare.
Infine, voglio impegnarmi in questa promessa: da adesso in poi dobbiamo combattere sodo, come abbiamo combattuto finora, per ottenere il miglior risultato in Europa, per liberare gli interessi di questo paese. La Grecia ha bisogno di riforme radicali a favore delle forze sociali, e contro l’oligarchia che ha portato alla situazione attuale del paese. L’impegno per questo nuovo sforzo inizia domani.
Il settimanale britannico New Statesman ha pubblicato la prima intervista a Yanis Varoufakis dopo le sue dimissioni dal governo greco, realizzata prima dell’accordo di domenica notte. Varoufakis racconta le complicate dinamiche all’interno dell’Eurogruppo dicendo anche che i negoziati sono durati tanto «perché i creditori non volevano assolutamente negoziare», che fin dall’inizio aveva valutato e lavorato all’ipotesi di un’uscita del paese dalla zona euro e che nel momento in cui l’Eurogruppo ha chiuso le banche il governo avrebbe «dovuto dare più forza a quel processo». Poi c’è stato il referendum:
«Il referendum ci ha dato una grandissima forza che poteva anche motivare una dura reazione contro la BCE. Ma quella stessa notte, mentre il popolo faceva esplodere il suo No, il governo ha deciso di non adottare un approccio energico. Al contrario, il referendum ci ha portati a fare maggiori concessioni alle controparti: l’incontro del primo ministro con i partiti di opposizione aveva stabilito già che qualunque cosa fosse accaduta, qualunque cosa gli altri ci avessero fatto, noi non avremmo mai risposto in modo da sfidarli. E quindi essenzialmente avremmo iniziato a seguirli, senza più negoziare».
Alla domanda sui suoi rapporti su Tsipras e sulle sue possibili dimissioni, Varoukakis ha spiegato:
«Non mi stupisce più niente in questi giorni. L’eurozona è un posto estremamente inospitale per le persone integre e oneste (poco prima aveva definito “integro e onesto” Alexis Tsipras, ndr). Non mi stupirebbe nemmeno se accettasse un accordo molto brutto. So che lo farebbe per il senso di responsabilità che sente verso il suo popolo. So che non vuole che la nostra nazione diventi un paese fallito. Ma non posso tradire le mie opinioni elaborate già dal 2010: questo paese deve smetterla di chiedere prestiti e aumentare il debito pensando di risolvere i propri problemi. Non ha funzionato finora e non funzionerà. Stiamo semplicemente rendendo il nostro debito ancora meno gestibile, generando condizioni di austerità che metteranno ancora più in crisi la nostra economia e trascineranno il peso della crisi sulle spalle di chi non ha, generando una vera e propria crisi umanitaria. Non lo accetto e non voglio farne parte».