Com’è Srebrenica oggi
Adriano Sofri ha raccontato su Repubblica i molti problemi e i primi cambiamenti della città della Bosnia dove nel 1995 i serbo-bosniaci uccisero più di ottomila musulmani
Adriano Sofri ha scritto per Repubblica un reportage da Srebrenica, la città della Bosnia dove l’11 luglio 1995 le milizie serbo-bosniache cominciarono una strage durata tre giorni che avrebbe portato all’uccisione di più di ottomila musulmani. Sofri racconta come la strage continui a dividere la popolazione locale: da un lato i cristiani serbo-bosniaci, gli autori della strage, dall’altro i bosniaci musulmani. Ancora oggi, scrive Sofri, è quasi impossibile trovare una coppia mista, un musulmano e un cristiano, ma tra le nuove generazioni alcune cose stanno lentamente cominciando a cambiare.
Nemanja Zekic ha 27 anni, è il presidente del Centro Giovanile di Srebrenica, ed è, con suo fratello Zarko, un volontario dell’Associazione “Adopt Srebrenica”, ispirata ai pensieri e alle azioni di Alexander Langer. È nato a Srebrenica, ma non c’era nel luglio del 1995, perché dal 1991 la sua famiglia era riparata in Serbia, e quando tornò tutto era successo. Infatti Nemanja è serbo-bosniaco, ed è cresciuto nel culto nazionalista che insegna a esaltare le violenze vittoriose contro il nemico e a negare i crimini troppo orrendi per essere rivendicati.
Non c’era fonte serba che non negasse lo sterminio di Srebrenica come una montatura e una cospirazione contro il popolo serbo. Ancora all’università Nemanja partecipava di questo sentimento, e tuttavia si disponeva ad ascoltare quelli che avevano perso la famiglia, a interrogarsi sulle prove. La propaganda, dice, non cede il passo, da ogni versante, e bisogna fare da soli, o quasi. Perfino in famiglia, all’inizio, è difficile venir fuori: si dà scandalo, si provoca dolore. Fra i propri connazionali si passa per traditori.
A Srebrenica alcuni superstiti, giovani anche loro, diventarono suoi amici e interlocutori, come Muhammed Avdic, 32 anni. Una volta erano stati invitati insieme a raccontare Srebrenica a Bolzano, ma Muhammed all’ultimo non potè venire. Mentre parlava, Nemanja si accorse di stare raccontando la Srebrenica di Muhammed, che è musulmano osservante, e che ci aveva perso il padre. Di essere entrato nei suoi panni, salvo tornare nei propri.
Nevena Medic, 26 anni, anche lei serbo-bosniaca, fu sfollata con la famiglia a Sarajevo, e sperimentò insieme la città assediata e il rancore dei vicini musulmani. È diventata una studiosa di diritti umani, sa che torti e ragioni non sono tutti sullo stesso piano, ma tiene a che siano ricordate tutte.
Il “tradimento” di questi giovani è diventato via via meno isolato. Chiedo: c’è qualche ragazzo serbo che si è innamorato di una ragazza musulmana, o viceversa? Un po’ di silenzio, poi: «Almeno uno c’è: Nemanja ». Che è innamorato della sua Jasmina. Io alla fine sono un uomo migliore, dice Nemanja, ma è un cammino da fare insieme, bisogna fare la pace con la storia del proprio popolo. Fare la pace, senza invitare a scordare il passato.
Domani, dicono, guarderemo a Belgrado, dove è stata indetta una manifestazione senza precedenti davanti al parlamento: in 7 mila si sdraieranno per terra a fare il morto per ricordare Srebrenica. Ci riusciranno? Glielo lasceranno fare? Nel pomeriggio arriva la notizia che il governo serbo ha vietato tutte le manifestazioni legate a Srebrenica.
Anche in “Adopt”, dove impegno e amicizia sono tutt’uno, la parola genocidio, pronunciabile, pronunciata, è il punto più delicato. Fuori, per i grandi e i piccoli della terra che oggi gremiranno Srebrenica, la Republika Srpska ha costellato la strada di manifesti con la faccia di Putin: il Grande Amico, che tutti lo vedano. Alla vigilia, è stato il suo veto a impedire che le Nazioni Unite chiamassero le stragi di Srebrenica col loro nome. Il nome di genocidio scava un fossato incolmabile –una infinita fossa comune- tra il popolo bosniaco-musulmano e il popolo serbo.