Uber è ancora legale in Italia?
Il servizio con le berline nere sì, ma solo a certe condizioni, dopo un'importante sentenza del tribunale di Milano; il contestato servizio UberPop invece è stato bloccato
Giovedì 9 luglio il tribunale ordinario di Milano ha deciso che UberPop è illegale e dovrà essere sospeso in tutta Italia. La sentenza del tribunale di Milano ha stabilito che sono illegali anche altri servizi di Uber – e quindi non solo UberPop – a meno che non vengano rispettate determinate regole. La sentenza di appello contro Uber arriva dopo due anni di proteste e forti confronti tra i tassisti (e i sindacati che li rappresentano) e i rappresentanti di Uber (e i vertici italiani e internazionali della società). Negli anni le vicende giudiziarie attorno a Uber sono state discusse sia come un segno dell’inadeguatezza delle leggi in vigore rispetto a un mercato che è stato cambiato da Internet e dalla cosiddetta sharing economy, sia come un esempio di come le nuove società digitali possano sfruttare buchi legislativi per offrire servizi non adeguatamente regolati.
La sentenza del 9 luglio conferma e rafforza una precedente decisione presa il 26 maggio, in cui era stato deciso che UberPop portava avanti una «concorrenza sleale» che violava «la disciplina amministrativa che regola il settore taxi». La sentenza – che riguarda sia Uber che UberPop – arriva dopo i numerosi ricorsi e pronunciamenti intermedi relativi a un caso di oltre due anni fa, che riguardava l’autista di un’auto del servizio Uber, e non UberPop. Quel caso ha aperto un dibattito giuridico che si è poi esteso a tutti i servizi offerti da Uber, soprattutto UberPop. L’illegalità di UberPop – già decisa il 26 maggio – è stata confermata il 9 luglio. La stessa sentenza del 9 luglio ha anche specificato in quali casi gli altri servizi di Uber possono ritenersi legali: i classici servizi Uber sono illegali – anche in presenza di licenze (dell’auto e dell’autista) – in tutti quei casi in cui sfruttando l’app diventano competitivi e alternativi al servizio taxi.
Dall’inizio: Uber è un servizio di trasporto che sta a metà tra il servizio taxi e il noleggio di macchine private. È stato fondato a San Francisco, in California, nel 2009, negli ultimi anni si è diffuso in tutto il mondo e dal 2013 c’è anche in Italia. L’azienda in questi anni ha ottenuto un successo enorme in tantissimi paesi e ha raccolto centinaia di milioni di dollari di investimenti. Nei normali servizi di Uber, le auto sono guidate da autisti professionisti: sono dotati di una licenza e le loro auto sono registrate per il trasporto a pagamento di clienti. Quel servizio però è contestato dai tassisti perché, al contrario del tradizionale noleggio con conducente, le auto non attendono le chiamate dei clienti in un’autorimessa bensì in giro per la città, e concordano il prezzo con l’utente attraverso l’app prima dell’erogazione del servizio. UberPop è invece un servizio specifico di Uber che permette a chiunque di registrarsi come autista e usare la propria macchina per trasportare clienti paganti. UberPop ha avuto un grande successo perché permetteva agli autisti di guadagnare senza dover richiedere permessi o ottenere licenze e perché permetteva agli utenti di risparmiare molto: rispetto ai classici servizi Uber ma anche rispetto a un taxi.
I servizi di UberPop sono legali in molte nazioni e illegali in molte altre: come spiega La Stampa, «UberPop è attivo in mezzo mondo e contestato nell’altra metà». In generale i servizi dell’app sono molto apprezzati dai clienti e molto criticati dai tassisti e dai loro rappresentanti sindacali. Negli Stati Uniti l’app ha un grande successo – ai clienti piace moltissimo – e a New York il numero di auto Uber (non solo quelle UberPop) ha da alcuni mesi superato il numero di taxi. Nella metà di mondo dove le contestazioni dei tassisti sono più forti c’è soprattutto la Francia, dove in seguito alle proteste dei tassisti UberPop è stata dichiarata illegale e due dirigenti della divisione francese di Uber sono stati fermati dalla polizia il 29 giugno. La decisione del tribunale di Milano è quindi in linea con quella francese e di altre nazioni, ma presenta alcune particolarità per come è arrivata e per le sue motivazioni.
Il caso da cui è partita la questione sull’illegalità di UberPop in Italia risale a due anni fa e riguarda un autista di Uber, e non di UberPop. Quell’autista era infatti in possesso di una regolare autorizzazione Ncc (noleggio con conducente) ed era quindi assimilabile a un classico autista privato. Un servizio di quel tipo è legale in Italia, ma a differenza di un taxi, un’auto con conducente non può accogliere clienti aspettando per strada: deve concordare in anticipo il servizio di trasporto e attendere in un apposito garage. Quell’autista fece invece proprio quello che non poteva fare, come spiega Wired: «Un autista Ncc era stato visto stazionare in viale Monte Grappa, per poi essere sorpreso qualche minuto più tardi nei pressi di un hotel di lusso in Piazza della Repubblica mentre caricava un cliente diretto al consolato americano». I vigili avevano fermato il veicolo e multato il conducente perché per svolgere un servizio di quel tipo senza avere un taxi sarebbe stato necessario partire da un apposito garage e non da un normale parcheggio.
Nel testo ufficiale della sentenza, che parla dei servizi di Uber in generale, è scritto che gli autisti UberPop “offrivano un servizio di taxi da ritenersi abusivo”. Il tribunale ha respinto le richieste degli avvocati di Uber secondo i quai “UberPop è un servizio diverso da quello assolto dai taxi, costituendo una piattaforma tecnologica”, e che offre un servizio che “non può dirsi in concorrenza rispetto ai taxi” perché “manca la prova che ci sia stata una diminuzione della domanda di servizio taxi “a causa dell’ingresso sul mercato di Uber”. Il tribunale ha anche respinto un’altra tesi difensiva di Uber, secondo la quale i servizi della società contribuivano a limitare l’inquinamento e il traffico. «In mancanza di Uber», è scritto nella sentenza, i clienti Uber si rivolgeranno “ai mezzi di trasporto pubblico di linea ovvero all’uso di biciclette o city cars (alcune per altro elettriche)”.
La sentenza del tribunale di Milano tocca anche altri due importanti punti: uno riguarda il sistema tariffario dei servizi Uber, l’altro riguarda i rischi legati ai servizi Uber. Secondo il tribunale, nel tariffario di Uber (che funziona in parte in base alla lunghezza del tragitto, in parte in base al tempo impiegato) mancano “regole predeterminate e trasparenti ed anche questo elemento non va certo a vantaggio dei consumatori”. Il tribunale ha anche aggiunto che il servizio UberPop è “rischioso” perché chi gestisce l’app “non si preoccupa di eseguire verifiche iniziali e ripetute periodicamente nel tempo, neppure a campione: tutto è affidato alla volontarietà di colui che si offre come autista”. Inoltre, “al potenziale cliente non vengono fornite notizie circa lo stato dell’auto che passerà a prenderlo (vetustà, pregressi incidenti, revisioni) e neppure circa la persona che sarà alla guida, con particolare riferimento alla sua età, anzianità e status della sua licenza di guida, dell’integrità psico-fisica».
I legali che si opponevano a Uber hanno commentato la sentenza dicendo: «È la terza volta nell’arco di meno di tre mesi che i giudici milanesi hanno emesso provvedimenti volti al blocco della app. A questo punto non ci sono davvero più alibi: il servizio non potrà più essere riattivato». Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia, ha detto che «Uber non smetterà di lavorare per trovare nuove soluzioni in linea con i suggerimenti delle autorità», dicendo però: «Oggi abbiamo visto l’ennesima interpretazione delle norme di una legge del 1992 che governa ancora il sistema della mobilità italiana. Quelle stesse norme che sia per l’Authority dei trasporti che per quella per il Mercato e la Concorrenza andrebbero aggiornate anche rispetto alle innovazioni tecnologiche introdotte da applicazioni come la nostra».
https://twitter.com/Uber_Italia/status/619416604657455104
La legge cui ha fatto riferimento Lucini è la legge numero 21 del 1992, che regola “il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea” e secondo la quale lo stazionamento dei mezzi dedicati a un servizio di trasporto privato deve avvenire “all’interno delle rimesse o presso i pontili di attracco”. Il commento di Lucini fa quindi riferimento a uno dei molti problemi riscontrati dai giudici: non sono invece al momento disponibili commenti di Uber riguardo la pericolosità del servizio e la poca chiarezza del suo sistema di pagamento.