I migranti ancora a Ventimiglia
I più «disperati tra i disperati sono ancora lì», racconta Marco Imarisio sul Corriere della Sera: e l'attenzione di tutti nel frattempo si è spostata altrove
Esattamente un mese fa, lo scorso 9 giugno, decine di migranti provenienti da Sudan e Eritrea sono rimasti bloccati a Ventimiglia, in Liguria, senza poter attraversare il confine con la Francia. Erano circa cinquanta, poi sono diventati centinaia, distribuiti tra la stazione e gli scogli, protetti da tende e assistiti dalla Croce Rossa e da volontari locali. Ora sono tornati a essere cinquanta, dopo che la maggior parte di loro ha cominciato ad andarsene: precisamente da quando, racconta Marco Imarisio sul Corriere della Sera da Ventimiglia, «raccolti intorno alla radio» hanno capito «che dal vertice europeo non sarebbe arrivato niente di buono per loro. Quelli che restano sono i più disperati tra i disperati».
Nell’Europa al contrario di Ibrahim la Svezia e la Norvegia stanno a sud. Il ragazzo sudanese indica i due Stati, dei quali ha intuito forma e nome. Io e la mia famiglia vogliamo andare qui, dice. Sophie, la gentile pensionata di Mentone che dà ripetizioni volontarie di geografia ai migranti, prende la cartina e la gira. Nord, quello è il nord, gli risponde, indicando con il dito un punto oltre il confine alto di Ponte San Luigi. E per farsi capire si stringe le braccia, simulando brividi di freddo.
Questa mattina sugli scogli dei Balzi rossi la temperatura al suolo è di 43 gradi. Sotto alle tende, che in realtà sono spessi teli di plastica fissati agli scorrimano della passeggiata, fa ancora più caldo. I miasmi del cibo andato a male sovrastano l’odore del mare. In quella più vicina al confine c’è un altro ragazzo steso su un telo. Tiene gli occhi chiusi. Parla da solo, borbotta, in un mare di sudore. Ibrahim gli si avvicina, è suo cugino. Lo sveglia, anche se in realtà non stava dormendo. Da sotto il materasso estraggono due biglietti del treno, Ventimiglia-Parigi, 118 euro. La data è quella di tre giorni fa. «Ci hanno fatto scendere a Mentone, e ci hanno riportato indietro. Ci avevamo già provato un’altra volta. Questi erano i nostri ultimi soldi. Ma non ce ne andiamo. Al caldo siamo abituati. In Libia ci hanno tenuto per due settimane chiusi in un container, ci facevano bere una volta al giorno. Non ci spaventa restare qui sugli scogli. Ditelo ai francesi: noi vogliamo solo passare, non ci fermiamo da loro, non ci interessa».
Domani sarà un mese. I primi sono arrivati il 9 giugno. Erano cinquanta, sudanesi ed eritrei. Furono respinti dai gendarmi alla frontiera e decisero di passare la notte sugli scogli a due passi dal confine, nell’ultimo lembo di Italia, per protesta. Poco dopo divennero duecento, e furono giorni di tensione, di proclami e solenni impegni. Poi passò il tempo, accaddero altre cose giudicate più importanti, in fondo va sempre così. L’attenzione si spostò altrove.