Cosa succede ora che ha vinto il NO in Grecia
È una vittoria politica di Tsipras e una sconfitta dei creditori: ma adesso c'è da trovare un accordo e non sarà facile
Domenica 5 luglio in Grecia si è tenuto un referendum sulle più recenti proposte dei creditori internazionali per affrontare la crisi economica del paese. La vittoria del No al referendum – ormai praticamente certa, a giudicare dai dati – è lo scenario considerato nei giorni scorsi più complicato e incerto.
Stando alle opinioni di analisti e osservatori internazionali, il governo di Alexis Tsipras esce dal referendum immediatamente rafforzato e si ripresenterà davanti alle autorità europee con una nuova legittimazione popolare, chiedendo e sperando di ottenere modifiche favorevoli alle richieste dei creditori per ottenere un nuovo prestito. La vittoria del No è anche una sconfitta politica per i leader europei che hanno sostenuto la linea più dura, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, e che hanno scommesso su un indebolimento del governo Tsipras e delle posizioni della Grecia.
Tsipras aveva detto che la vittoria del No avrebbe fatto ripartire subito i negoziati e avrebbe permesso di ottenere un accordo migliore per la Grecia, ma non è comunque facile: la ragione è che in ogni caso la Grecia sta finendo i soldi e senza un prestito internazionale è destinata alla bancarotta, a prescindere dall’esito del referendum. Per usare una metafora, anche con una vittoria del No il manico del coltello rimane dalla parte dei creditori. La scadenza fondamentale è il 20 luglio, un giorno entro il quale la Grecia deve restituire una nuova rata di un prestito contratto in precedenza (e ne ha già mancata una alla fine di giugno): ma le banche greche esauriranno probabilmente prima il contante, a meno di un intervento della BCE. Se quindi la vittoria del No rende più vicino un accordo favorevole alla Grecia, ogni giorno che passa rende più difficile per la Grecia rifiutare le condizioni dei creditori. La prima mossa fondamentale è in mano a Mario Draghi, capo della Banca Centrale Europea, che deve decidere se ripristinare la liquidità verso le banche greche, chiuse da una settimana.
Senza un prestito internazionale – che potrebbe anche non arrivare dall’UE, in una situazione estrema: negli ultimi mesi si sono fatte parecchie ipotesi astratte anche su un ruolo della Russia – la Grecia tra poche settimane non avrebbe più soldi per pagare stipendi, pensioni e servizi, e il suo sistema bancario collasserebbe. In una situazione del genere, l’unica cosa che la Grecia potrebbe fare sarebbe stampare una nuova moneta. La Grecia non uscirebbe istantaneamente dall’euro, anche perché si tratta di qualcosa senza precedenti e non è del tutto chiaro come dovrebbe avvenire tecnicamente: le due valute potrebbero coesistere per un certo periodo.
Se tornasse in vigore la dracma, la valuta della Grecia prima del suo ingresso nell’euro, ci sarebbe una notevole perdita del valore di acquisto della nuova moneta. Secondo gli analisti la capacità di acquisto sarebbe del 30-40 per cento inferiore rispetto all’euro, anche perché il governo potrebbe avvantaggiarsi di una bassa valutazione della moneta. I debiti internazionali della Grecia però rimarrebbero in euro, così come le cifre da pagare per ottenere energia e comprare beni dall’estero. In breve tempo l’inflazione potrebbe aumentare sensibilmente, rendendo il valore della dracma molto basso rispetto a quello dell’euro. La valuta resterebbe in ballo sul mercato dei cambi per almeno un paio di mesi prima di stabilizzarsi: ma nulla esclude che in tutto questo l’economia del paese continui a peggiorare, tanto da rendere necessario a un certo punto l’avvio di un negoziato per un nuovo prestito internazionale, e tornare daccapo. Alla base di tutta questa situazione ci sono cose che prescindono dalla moneta: il cattivo stato di salute dell’economia greca, che esporta pochissimo, ha un’enorme evasione fiscale e un tasso di disoccupazione altissimo.