Da dove arriva il bikini
Storia e successi di uno dei costumi più famosi della storia: da una piscina di Parigi ai film di 007 (e perché si chiama così?)
di Julia Turner – Slate
Quasi settant’anni fa, nel 1946, il bikini fece la sua prima comparsa a una sfilata di moda, che si tenne a Parigi vicino a una piscina. Oggi quel tipo di costume è così diffuso che è difficile capire il motivo per cui fino a qualche decennio fa le persone lo trovassero offensivo: quando fu presentato, scandalizzò a tal punto che nemmeno le modelle francesi della sfilata di inaugurazione vollero indossarlo. Il suo ideatore fu costretto chiamare una spogliarellista, Micheline Bernardini. Da quel giorno, però, il bikini si è gradualmente imposto in tutto il mondo, fino a diventare la norma in moltissime spiagge.
Il primo “bikini”, indossato da Micheline Bernardini e presentato a Parigi dallo stilista francese Louis Reard (Keystone/Getty Images)
La sfilata del 1946 non fu certo la prima occasione in cui una donna indossava qualcosa di simile. In un mosaico del quarto secolo d.C. e ritrovato a Piazza Armerina, nella provincia di Enna, è raffigurato un gruppo di ragazze mentre compiono degli esercizi di ginnastica in una specie di costume che ricorda molto il bikini.
All’inizio del Novecento, comunque, in spiaggia le donne indossavano voluminosi costumi da bagno, e le più ricche facevano largo uso delle “carrozze da bagno”: sostanzialmente, delle cabine di legno semoventi che permettevano alla donna di cambiarsi al loro interno, e di essere trasportate così da fare il bagno senza essere osservate.
Una ragazza seduta su una carrozza da bagno sulla spiaggia di Ostend, in Belgio, luglio 1911 (Topical Press Agency/Getty Images)
Negli anni successivi il dress code da spiaggia divenne meno severo. Ancora nel 1907, però, la nuotatrice e attrice australiana Annette Kellerman – un’attivista per l’introduzione di costumi più idrodinamici – fu accusata di atti osceni in luogo pubblico per aver indossato un costume senza maniche su una spiaggia di Boston (fino al 1915, negli Stati Uniti si indossavano comunemente costumi interi).
Stranamente il costume a due pezzi – che prevedeva un top e un pantaloncino che copriva ombelico, anche e sedere – si diffuse in maniera molto discreta. Già all’inizio degli anni Quaranta le attrici più famose come Ava Gardner, Rita Hayworth e Lana Turner si facevano fotografare con un costume due pezzi. Quei pochi centimetri sopra l’ombelico erano molto meno controversi di quelli sotto di esso. Il Codice Hays, che in quegli anni regolamentava lo stile da mantenere nei film statunitensi, proibiva di mostrare l’ombelico.
Una ragazza con un costume a due pezzi nel 1949 (Chaloner Woods/Getty Images)
Negli anni Quaranta, come scrive Kelly Killoren nel suo libro The Bikini Book, le donne attraenti venivano soprannominate “bombe”, e “atomico” era uno degli aggettivi più in voga per descrivere qualcosa di notevole. Di conseguenza quando due stilisti francesi idearono in maniera indipendente una versione più succinta del costume a due pezzi, entrambi usarono dei nomi di quel campo semantico per indicare i loro prodotti. Il primo stilista, Jacques Heim, creò l’atomo. Il secondo, Louis Heard, presentò il suo progetto cinque giorni dopo che gli Stati Uniti avevano iniziato dei test con la bomba atomica nell’atollo di Bikini, nelle Isole Marshall. Con una notevole intuizione di marketing, Reard chiamò la sua invenzione bikini, implicando che la sua importanza fosse comparabile a quella della nuova bomba.
Grazie al suo nome, l’invenzione del bikini fu ripresa in tutto il mondo. Le foto di Micheline Bernardini, la spogliarellista che Heard aveva assunto per fare da modella, circolarono ovunque. Nel 1953, quando girò moltissimo una foto di Brigitte Bardot in bikini su una spiaggia di Cannes, il bikini stava già diventando d’obbligo in Costa Azzurra.
Almeno negli Stati Uniti per diversi anni rimase parecchia diffidenza: nel 1950 Fred Cole, rispettato produttore americano di costumi, aveva detto che i bikini erano stati inventati su misura per le ragazze francesi: «hanno le gambe più corte: i loro costumi devono avere meno tessuto sulle anche per far sembrare più lunghe le loro gambe». Sports Illustrated, in un numero del 1957 dedicato al profilo della “ragazza moderna”, spiegava che «non è necessario sprecare parole sul cosiddetto “bikini”, dato che è inconcepibile che qualsiasi ragazza con un po’ di pudore indosserà mai una cosa simile».
Solamente tre anni dopo il bikini divenne la norma, grazie anche alla diffusione di piscine private che diede alle donne la possibilità di provare in privato il nuovo indumento. Nel 1965 una donna spiegò a Time che era «quasi da noiosi» non indossare un bikini. Il famoso numero annuale di Sports Illustrated pieno di donne in costume da bagno uscì per la prima volta nel 1964: in copertina c’era proprio una donna con un costume molto simile a un bikini. Aiutò anche il cinema: tutti si ricordano del famoso bikini di Ursula Andress nel film della saga di James Bond Agente 007 – Licenza di uccidere.
Il bikini si adattava naturalmente a donne piuttosto formose come Raquel Welch (anche se nelle prime foto di bikini c’è una gran quantità di fiati trattenuti). Negli anni Settanta si diffuse un nuovo profilo di ragazza “da bikini”: cioè quella come la modella Cheryl Tiegs, molto magra e slanciata (e ancora oggi, il modello è più o meno rimasto lo stesso). Molte donne cominciarono a chiedersi chi potesse davvero permettersi di indossare un bikini. Emily Post, una scrittrice molto seguita negli Stati Uniti in fatto di moda, diceva che potevano indossarlo solo le donne molto giovani e «con una forma perfetta». Da allora le cose sono cambiate: un gran numero di stilisti hanno incoraggiato donne di tutte le età e profilo a indossare un bikini.
Oggi dovremo probabilmente chiederci se il thong bikini – cioè una sua forma più succinta e simile a un perizoma, apparsa per la prima volta in Brasile negli anni Settanta – diventerà mai la norma. Non succederà, direte voi? Beh, in passato si diceva la stessa cosa proprio dei bikini.