L’ultimo referendum in Grecia
Avvenne nel 1974, uno degli anni più importanti e intensi della storia greca recente
L’8 dicembre del 1974 i cittadini greci andarono a votare per un referendum che doveva stabilire la forma istituzionale della Grecia, monarchia o repubblica. Vinse la repubblica con il 69,2 per cento dei voti, mentre l’affluenza fu pari al 75,6 per cento degli aventi diritto al voto. Quel referendum fu l’ultimo grande evento politico del 1974, un anno molto importante per la storia della Grecia durante il quale successe un po’ di tutto: il cosiddetto “regime dei colonnelli”, la giunta militare che era al potere dal 1967, era crollato dopo il colpo di stato a Cipro. Si erano tenute elezioni parlamentari libere che erano state vinte dall’ex primo ministro Costantine Karamanlis e la Grecia stava tornando lentamente alla democrazia.
Quello dell’8 dicembre del 1974 fu l’ultimo referendum che si è tenuto in Grecia. Nel 2011 l’allora primo ministro greco, il socialista George Papandreou, annunciò un referendum sul piano di aiuti concordato con le autorità europee per evitare che la Grecia andasse in stato di insolvenza: il solo annuncio del referendum – unito da altre decisioni molto contestate, come la rimozione dal loro incarico dei capi delle forze armate greche – portò alla formazione di un nuovo governo che decise di annullare il voto. Quello che si terrà domenica 5 luglio sarà quindi il primo referendum in Grecia dallo storico voto del 1974.
Costantino II, re di Grecia, sposa la principessa Anna Maria di Danimarca ad Atene, il 15 settembre 1964. (AP Photo)
George Papadopoulos e il penultimo referendum, quello del 1973
Il referendum dell’8 dicembre 1974 non fu il primo che si tenne in Grecia sulla forma istituzionale dello stato. Già l’anno precedente, il 29 luglio del 1973, il 78,6 per cento dei votanti aveva scelto la repubblica in un plebiscito indetto dal colonnello George Papadopoulos, l’esponente allora più importante e potente della giunta militare al potere in Grecia. In realtà era da alcuni anni che il re greco, Costantino II, non si trovava più in Grecia. Nell’aprile del 1967, quando i militari presero il potere, Costantino II decise di appoggiare il colpo di stato o almeno di non opporsi apertamente: in quel periodo cominciò però a preparare un contro-colpo di stato che avrebbe dovuto portare alla caduta della giunta militare. Ma il suo piano, intrapreso a partire dal 13 dicembre 1967, fallì: la famiglia regnante fu costretta a lasciare il paese e a rifugiarsi in Italia. La Grecia rimase una monarchia senza re e fu introdotta la figura del “reggente”, posizione occupata fino al 1972 dal generale Georgios Zoitakis e poi dallo stesso Papadopoulos.
Il colonnello George Papadopoulos durante una conferenza stampa al parlamento di Atene, il 14 dicembre 1967. (AP Photo)
Già prima del referendum del 1973, Papadopoulos aveva cercato di riformare alcuni aspetti della politica greca, incontrando però diverse resistenze sia tra i più intransigenti della giunta militare sia tra coloro che si opponevano alla dittatura, come gli studenti del Politecnico di Atene. Nel maggio del 1973 c’era poi stato un altro episodio molto importante e ripreso dalla stampa italiana e internazionale: l’equipaggio di un cacciatorpediniere greco, Velos, si era ammutinato e si era diretto fino in Italia, dove aveva chiesto asilo politico (PDF). Papadopoulos temeva che altre parti delle forze armate greche potessero fare un colpo di stato contro di lui, e allo stesso tempo voleva insistere sulla politica di riforme che stava cercando di mettere in pratica da alcuni anni. Il primo giugno dichiarò la Grecia una repubblica presidenziale, con lui stesso presidente. L’atto formale fu approvato da un plebiscito che si tenne il 29 luglio 1973: il voto fu ampiamente controllato dai militari e gli oppositori al regime non riconobbero il risultato. La Grecia, almeno in teoria, era diventata una repubblica.
La fine del regime dei Colonnelli e il referendum del 1974
Nel novembre del 1973 ripresero le proteste degli studenti del Politecnico di Atene, a cui il governo di Papadopoulos rispose con grande violenza. La situazione di caos fu sfruttata da Dimitrios Ioannidis, un militare della fazione più intransigente e capo della temuta Polizia militare. Ioannidis organizzò un colpo di stato contro Papadopoulos, prese il potere e fece insediare un nuovo governo. Nonostante la giunta militare fosse già parecchio indebolita dalle proteste e dalle divisioni interne, l’episodio che portò alla sua caduta fu la decisione di Ioannidis di appoggiare un colpo di stato a Cipro, un’isola a sud della Grecia abitata dalla comunità greco-cipriota (78 per cento circa dell’intera popolazione) e da quella turco-cipriota (22 per cento). Il 15 luglio 1974 un colpo di stato appoggiato dalla giunta greca depose l’arcivescovo Makarios III, presidente cipriota. La Turchia decise in risposta di invadere Cipro, per difendere gli interessi dei turchi-ciprioti, e occupò la parte settentrionale dell’isola. L’incapacità della giunta di portare a termine il suo piano divenne la causa immediata principale della caduta del regime dei colonnelli.
Il presidente greco Phaedon Gizikis, nominato dalla giunta, decise di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a Costantine Karamanlis, che era stato a capo del governo prima dell’arrivo dei militari. Nel novembre di quell’anno si tennero le prime elezioni libere dopo molti anni, che furono vinte dal partito di Karamanlis, Nuova Democrazia, ancora oggi il principale partito conservatore della Grecia. Karamanlis decise anche di indire un nuovo referendum sulla scelta repubblica-monarchia, perché non considerava valido quello dell’anno precedente. Al re Costantino II fu vietato di rientrare in Grecia per la campagna elettorale, ma gli fu consentito di fare dei discorsi alla nazione trasmessi in televisione. I partiti politici greci rimasero per la maggior parte neutrali. A favore della repubblica si espressero comunque in molti, tra cui Alexandros Panagoulis, uno degli oppositori più conosciuti del regime dei colonnelli e per un periodo compagno della giornalista italiana Oriana Fallaci. La repubblica vinse con il 69,2 per cento dei voti: a Creta votarono a favore della repubblica oltre il 90 per cento dei votanti.
Ateniesi in piazza dopo la vittoria della Repubblica nel referendum dell’8 dicembre 1974. (AFP/Getty Images)
Il 1974, un anno importante per la storia greca
Nel luglio del 2014, a quasi 40 anni di distanza dal referendum, il giornalista greco Nikos Konstandaras scrisse sul New York Times un articolo che spiegava bene l’importanza del 1974 per la storia della Grecia. Tra le altre cose Konstandaras raccontava come da quel momento cominciarono a crearsi le condizioni per quello che sarebbe successo dopo: la disaffezione alla politica, l’imponente presenza dello stato nell’economia e un diffuso populismo.
«Il 1974 fu più importante del 1981, l’anno in cui ci unimmo [la Grecia, ndr] a quella che allora era la Comunità Economica Europea, oggi Unione Europea. Ci siamo a malapena accorti del 1989 e del collasso del blocco sovietico, fino a che l’Europa, la nostra regione e l’economia globale hanno cominciato a cambiare. Anche il 2001, anno in cui cambiarono molte cose nel mondo e in cui la Grecia adottò la moneta comune, e il 2004, quando Atene ospitò con successo le Olimpiadi estive, furono solo passi sulla strada che dalla libertà avrebbe portato alla rovina economica.
Il 1974 fu l’anno da cui iniziò il più grande periodo continuativo di stabilità e prosperità nella nostra storia, ma che consolidò anche molti dei problemi che abbiamo ancora oggi: una grande sfiducia nei confronti dell’autorità, la resistenza alle riforme, uno sfrenato populismo in politica e nei media, un’economia dominata dalla presenza dello stato che favorisce gruppi specifici e un sistema politico che privilegia la convenienza all’efficienza e che mette davanti gli interessi personali al bene comune. […]
Nel dicembre 1974 Xenophon Zolotas, il governatore della Banca centrale greca, avvisò così il governo: “Se continueremo a coprire il debito affidandoci pesantemente a nuovi prestiti le cose continueranno ad andare male”. I successivi governatori della Banca centrale greca continuarono a dire la stessa cosa. I nostri politici spendaccioni, con poche eccezioni, non si adattarono al cambio dei tempi, scegliendo di mantenere i votanti soddisfatti con nuovi prestiti, fino a quando la Grecia non arrivò sull’orlo della bancarotta nel 2010, un nuovo importante anno per il nostro paese»