Cosa sta succedendo in Egitto
Un gruppo affiliato all'ISIS ha attaccato l'esercito egiziano nella regione del Sinai: si parla di oltre 100 morti tra soldati egiziani e miliziani islamisti
Mercoledì 2 luglio decine di miliziani islamisti hanno compiuto un attacco coordinato contro militari e poliziotti egiziani nel nord del Sinai, la penisola egiziana che confina a est con Israele. Secondo alcune fonti del governo citate da diversi media occidentali e secondo la stampa locale, nell’attacco sono rimasti uccisi almeno 70 soldati. L’esercito egiziano, che ha risposto all’attacco usando aerei da guerra ed elicotteri Apache, ha parlato di cifre diverse: ha detto che sono rimasti uccisi 17 soldati e oltre 100 miliziani. L’attentato è stato rivendicato da gruppo che ha dichiarato la sua alleanza con lo Stato Islamico (o ISIS), la “Provincia del Sinai”. Il portavoce dell’esercito egiziano, Mohamed Sanir, ha detto in televisione che da mercoledì pomeriggio la situazione nel Sinai è “sotto controllo al 100 per cento”. Si tratta dell’episodio più sanguinoso nella regione del Sinai dal 1973, quando c’era stata la Guerra dello Yom Kippur.
Mercoledì mattina i jihadisti hanno attaccato simultaneamente più di dieci checkpoint nei pressi di Sheikh Zuwaid, una città nel nord del Sinai: hanno ucciso diversi soldati e circondato alcune stazioni di polizia, impedendo ai poliziotti di uscire. Poi hanno bloccato il passaggio delle ambulanze, disseminando le strade di trappole esplosive. Si è trattato di un attacco molto complesso. Secondo il New York Times, l’attacco fa pensare che la “Provincia del Sinai” abbia sviluppato un rapporto molto stretto con i miliziani dell’ISIS che combattono in Siria. Il Washington Post ha scritto che «l’attacco è stato uno dei più sofisticati contro un potente esercito degli ultimi decenni e ha messo in dubbio gli sforzi che l’Egitto sta facendo per descriversi come un baluardo della stabilità nella regione».
Sempre nella giornata di mercoledì, l’esercito egiziano ha ucciso nove membri dei Fratelli Musulmani al Cairo, in Egitto. Non è ancora chiaro se ci sia una relazione tra l’intervento al Cairo e gli attacchi di mercoledì in Sinai. Da tempo, comunque, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi porta avanti una campagna molto dura contro gli islamisti: negli ultimi due anni il regime egiziano ha arrestato e condannato a morte decine di esponenti del movimento politico dei Fratelli Musulmani, tra cui l’ex presidente Mohammed Morsi deposto nel giugno del 2013 da un colpo di stato guidato proprio da al Sisi. Gli attacchi compiuti dagli islamisti in Sinai sono aumentati dalla deposizione di Morsi, ma erano iniziati già dal 2011: gli attacchi della Provincia del Sinai dello Stato Islamico sono invece molto più recenti (il gruppo ha dichiarato la sua fedeltà all’ISIS nel novembre del 2014).
Il portavoce della Casa Bianca Ned Price ha condannato gli attacchi all’esercito egiziano e ha detto che gli Stati Uniti si «schierano in maniera risoluta» con l’Egitto. Il governo egiziano è uno degli alleati più solidi e importanti degli Stati Uniti in Medio Oriente e negli ultimi due anni è stato molto attivo in diverse crisi regionali: sia diplomaticamente – per esempio ospitando i colloqui tra gruppi palestinesi e Israele durante la guerra della scorsa estate – sia militarmente – per esempio partecipando agli attacchi aerei contro gli islamisti in Libia e contro i ribelli houthi in Yemen.