Come si è arrivati a questo punto in Grecia
Breve storia di un paese che 15 anni fa cresceva come pochi altri in Europa e oggi si ritrova – per l'ennesima volta – a rischiare la bancarotta
Negli ultimi giorni si è tornati a parlare con maggior insistenza dei problemi della Grecia, che da anni vive una pesante crisi economica e rischia di non essere in grado di ripagare i debiti contratti negli anni con l’Europa: debiti che l’hanno tenuta in piedi negli ultimi anni. Se questo dovesse succedere, la Grecia potrebbe fare default e infine anche uscire dall’euro; se non pagherà la rata del prestito al FMI prevista per la fine di giugno, sarà tecnicamente in bancarotta. Domenica 5 luglio in Grecia ci sarà un referendum indetto dal governo per decidere se accettare o meno le ultime proposte dell’Europa sul piano di rientro del debito pubblico: sono misure che toccano diversi aspetti strutturali dell’economia, dalle pensioni all’IVA, e che non sono ben viste da gran parte dei cittadini greci. Per capire come si è arrivati a questo punto è utile però tornare indietro di qualche anno, fino ai primi anni 2000, quando l’economia greca cresceva più del resto d’Europa e sembrava uno degli esempi da seguire.
I bei tempi e i primi guai
Dal 2000 al 2007 la Grecia sembrava avere una delle economie più solide e vivaci tra i paesi che condividono l’euro come moneta. Il suo PIL cresceva anno dopo anno, nel 2003 persino del 6 per cento. Questa grande crescita economica e una nuova immagine della Grecia nel mondo – nel 2004 c’erano stati anche i Giochi Olimpici di Atene – aveva fatto sì che banche e fondi privati prestassero grandi quantità di denaro al paese, in cambio di titoli di stato, e a tassi di interesse molto ridotti. All’epoca le agenzie di rating davano al debito greco la valutazione “A”, una delle più alte. Nel giro di dieci anni le cose per la Grecia sono cambiate moltissimo, e la situazione ha cominciato a peggiorare quando è venuto fuori che quella crescita economica era un trucco.
La crisi finanziaria globale del 2008 mise in difficoltà l’economia della Grecia, che si basava soprattutto su settori come il turismo e la distribuzione, particolarmente esposti ai cambiamenti economici nel breve termine. Questo costrinse il paese a ricorrere ancora di più all’indebitamento per finanziarsi, viste le ridotte entrate fiscali, facendo aumentare il debito pubblico; ma in uno scenario molto diverso rispetto a quello di qualche anno prima, quindi con interessi molto più alti e facendo venire al pettine alcuni nodi risalenti al momenti dell’entrata nell’euro.
Nel 2004, infatti, il governo greco aveva ammesso di aver barato per entrare nell’euro: il suo rapporto deficit/PIL dal 1999 non era mai stato sotto il 3 per cento, il tetto massimo richiesto dalle regole comuni europee a salvaguardia della stabilità della moneta unica. Dopo la fine della legislatura guidata dal partito di centrodestra Nuova Democrazia, nel 2009 il nuovo primo ministro George Papandreou (PASOK, socialisti) aveva annunciato che i conti erano stati ulteriormente truccati dal precedente governo e che per quell’anno il rapporto deficit/PIL si sarebbe attestato intorno all’enorme cifra del 12 per cento. In realtà poi sarebbe arrivato addirittura al 15,4 per cento, aveva detto il direttore dell’istituto nazionale di statistica greco, che per questo era stato incriminato e accusato di avere falsato le stime. L’istituto, simile alla nostra ISTAT, era stato completamente rinnovato e reso indipendente un anno prima, dopo decenni di rapporti inaffidabili e condizionati dalla politica.
All’inizio del 2010 venne fuori che dal 2001 la Grecia aveva pagato milioni di dollari a Goldman Sachs e ad altre banche di investimento perché queste mascherassero la quantità di denaro che richiedeva in prestito dai mercati. Lo scopo era ricevere sempre più denaro in prestito per sopperire alle spese, alzando però in questo modo il deficit e il debito e barando con l’Europa. La grande crescita della Grecia tra il 2000 e il 2007 era quindi basata in gran parte sui soldi che lo Stato prendeva in prestito e spendeva in welfare, beni e servizi, garantendo pensioni relativamente molto alte e dopo pochi anni di lavoro, chiudendo un occhio o più di un occhio sull’evasione fiscale; e gli stratagemmi per truccare i conti facevano sì che nessuno si accorgesse di quanto fossero grandi il deficit e il debito pubblico, che intanto grazie alla diffusione dei titoli greci aveva “contagiato” le banche di mezza Europa. Nel giro di pochi mesi, dal 2010, per la Grecia ottenere dei soldi in prestito dai mercati diventò difficilissimo e il suo rating fu declassato a livello “spazzatura”: ma bisognava comunque pagare le pensioni, gli stipendi, i creditori accumulati negli anni e tutte le altre cose che permettono a uno stato di funzionare. E quindi iniziarono le trattative per concedere alla Grecia un prestito.
A maggio del 2010 Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale diedero alla Grecia un prestito da 110 miliardi di euro in cambio di tagli alla spesa pubblica e misure di austerità, affinché la situazione non si ripetesse e la Grecia ricominciasse a spendere quello che incassava e non di più. Nonostante i tagli e le molte manovre finanziarie, accompagnate da grandi proteste di piazza a volte anche violente, la situazione non migliorò e a luglio del 2011 venne approvato un secondo prestito da 130 miliardi di euro.
2012, elezioni e il nuovo governo
Il governo di Papademos dette le dimissioni durante una complicata trattativa con l’Europa, dopo che a un certo punto il primo ministro aveva minacciato di indire un referendum sulle condizioni imposte per il nuovo prestito, e venne sostituito da un governo tecnico di unità nazionale. Il 6 maggio del 2012 si votò per il rinnovo del parlamento ma le elezioni non furono vinte da nessuno: i due partiti storici del parlamento greco persero molti consensi – quello di centrodestra Nuova Democrazia ottenne il 19 per cento e i socialisti del PASOK poco più del 13 per cento – mentre crebbero molto i due partiti più estremisti del paese, SYRIZA e Alba Dorata. PASOK e Nuova Democrazia non riuscirono a formare un governo di coalizione e a giugno si tornò a votare. Il vincitore – con oltre il 29 per cento dei voti, che ottenne anche il premio di maggioranza – fu Nuova Democrazia: il partito che aveva truccato i conti negli anni precedenti all’ingresso nell’euro. SYRIZA migliorò ancora il suo risultato con il 26 per cento e di fatto svuotò il PASOK, che si fermò al 12,3 per cento. PASOK e Nuova Democrazia formarono un governo di coalizione, disposto a trattare con l’Europa le condizioni per i nuovi prestiti: Antonis Samaras, di Nuova Democrazia, diventò primo ministro.
L’obiettivo del nuovo governo di Samaras era rimettere i conti in ordine e far ripartire l’economia greca: questo implicava tagli alla spesa pubblica – e quindi a stipendi, pensioni, assunzioni di dipendenti pubblici – e soprattutto misure per far pagare le tasse ai greci. In quegli anni ogni anno lo stato perdeva fino a 30 miliardi di euro per l’evasione fiscale: la cifra è astronomica, se si considera che il paese aveva undici milioni di abitanti e un PIL poco sotto ai 300 miliardi di euro. Oggi si calcola che le tasse non riscosse valgano 80 miliardi su un PIL di 180 miliardi. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’economia sommersa in Grecia si attestava intorno al 27,5 per cento del PIL: la più grande dell’intera eurozona.
L’80 per cento delle spese statali, invece, era destinato a salari e pensioni del settore pubblico, che negli anni si era ingrossato sempre di più, anche nei momenti di crisi: oltre 700mila persone lavorano nella pubblica amministrazione, 25.000 di queste erano state assunte tra il 2010 e il 2011, quando la situazione economica del paese era già disastrosa. Questo aveva anche ingessato notevolmente l’economia greca, anche a causa degli effetti restrittivi delle misure di austerità. La ricchezza annua prodotta dai greci era diminuita di quasi il 20 per cento – del 6 per cento nel solo 2011 – rispetto ai primi anni Duemila e il debito pubblico greco era sulla soglia del 160 per cento del PIL.
Le nuove misure di austerità imposte dal governo di Samaras lo resero subito molto impopolare nel paese, cosa che contribuì a rendere ancora più difficili da accettare le riforme concordate dal governo con l’Europa per ristrutturare il debito pubblico – i privati rinunciarono a esigere il 60 per cento dei loro crediti – e continuare a ricevere gli aiuti. Il governo si era impegnato – tra le altre cose – a tagliare 4mila posti di lavoro nel settore pubblico entro il 2013 e 15.000 entro il 2014: il simbolo dei tagli al settore pubblico e delle resistenza di molti cittadini greci fu la chiusura di ERT, la televisione pubblica, nel giugno del 2013. Ci furono manifestazioni contro la decisione del governo – secondo cui ERT costava sette volte di più delle altre televisioni pubbliche – e i giornalisti occuparono la sede della televisione e continuarono a trasmettere in streaming fino a che non furono sgomberati dopo diverse settimane dalla polizia. Un’altra cosa di cui si discusse molto fu la volontà del governo Samaras di non fare tagli all’alto budget per la difesa e alle spese militari, una decisione ricalcata poi anche da Tsipras più recentemente. Pur attenuando le anomalie dell’economia greca, i tagli accelerarono quella cosa definita in gergo “spirale recessiva”: in un paese poco produttivo e che praticamente non ha esportazioni, fecero diminuire la domanda interna portando in ultima istanza a grandi sofferenze per la popolazione e una grande crescita del tasso di disoccupazione, soprattutto quella giovanile.
Le nuove elezioni e il governo Tsipras
Nel novembre del 2014 l’economia greca ha iniziato a mostrare i primi cenni di ripresa da molti anni: il PIL è tornato a crescere nel terzo trimestre del 2014 e la Grecia per la prima volta in 6 anni è uscita dalla recessione. Inoltre gli interessi pagati sui titoli di stato decennali erano scesi fino a circa l’8 per cento, una cifra alta ma distante dal 42 per cento di due anni prima. Le cose per il governo di Samaras si erano complicate nel dicembre del 2014, quando il parlamento greco avrebbe dovuto eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Per farlo occorreva una maggioranza di 180 voti sui 300 del parlamento e i partiti che sostenevano Samaras (Nuova Democrazia e PASOK) potevano contare solo su 154 voti. Dopo tre scrutini a vuoto, come prescritto dalla Costituzione per questi casi, erano state indette elezioni anticipate per il 25 gennaio 2015.
Le nuove elezioni sono state vinte da SYRIZA, il partito di Alexis Tsipras, che ha ottenuto il 36,34 per cento dei voti e – grazie al premio di maggioranza – 149 seggi, due in meno di quelli necessari per avere la maggioranza assoluta del parlamento. Nuova Democrazia ha ottenuto il 27,8 per cento dei voti e 76 seggi, il PASOK – il partito socialista che sosteneva Samaras – ha ottenuto il 4,7 per cento dei voti e 13 seggi in parlamento. Tsipras ha vinto promettendo di opporsi a nuovi tagli e misure di austerità imposte dall’Europa, di introdurre un reddito minimo e di riassumere i lavoratori del settore pubblico licenziati negli anni precedenti: nel suo primo discorso dopo la vittoria ha detto che la sua era stata «la vittoria di tutti i popoli europei che lottano contro l’austerità».
Tsipras e il nuovo ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, hanno ricominciato le trattative con l’Europa con un piglio molto diverso dai governi precedenti: hanno detto inizialmente di non voler più trattare con la troika – il nome informale con cui si indicano i rappresentanti dei creditori della Grecia: FMI, BCE e Commissione Europea – ma coi singoli stati, e hanno interrotto i procedimenti di privatizzazione di alcuni importanti enti statali concordati con l’Europa. Un nuovo prestito era comunque necessario: nonostante la Grecia abbia tagliato di molto le sue spese, le entrate fiscali del paese non permettono ancora di pagare beni e servizi né soprattutto gli interessi dell’enorme debito pubblico. Da allora le trattative tra Unione Europea e Grecia sono continuate ininterrottamente: prima per erogare i circa 4-5 miliardi di euro di cui la Grecia aveva bisogno per sopravvivere fino a giugno, e poi per ridiscutere le riforme strutturali richieste dall’Europa in cambio di una rinegoziazione del debito della Grecia. Tsipras e il governo greco hanno spesso accusato l’Europa di “ricatti” e scorrettezze; in Grecia ci sono state diverse manifestazioni a sostegno del governo.
Nel frattempo la Grecia è tornata in recessione: il PIL greco è sceso dello 0,4 per cento negli ultimi tre mesi del 2014 ed è sceso ancora – dello 0,2 per cento – nei primi mesi del 2015. La disoccupazione è ancora la più alta d’Europa, al 25 per cento, e la disoccupazione giovanile è al 50 per cento. Il 29 giugno l’agenzia di rating Standard and Poor’s ha tagliato il rating della Grecia a CCC- e ha stimato nel 50 per cento le possibilità che la Grecia esca dall’euro.