Cambiare la foto profilo su Facebook serve davvero a qualcosa?
Negli ultimi giorni lo hanno fatto ben 26 milioni di persone: e forse a qualcosa serve, a parte dire chi siamo
di Caitlin Dewey – Washington Post
Dopo la storica decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha esteso in tutta la nazione il diritto di sposarsi anche alle coppie dello stesso sesso, ben 26 milioni di persone hanno colorato la loro foto profilo su Facebook con i colori della bandiera arcobaleno – cioè quelli della storica bandiera simbolo della comunità LGBT – per festeggiare l’evento.
Questo gesto, facilitato da un’applicazione apposita resa disponibile venerdì da Facebook, è una risposta ai grandi eventi di cronaca che abbiamo già visto più volte: su alcuni social network le foto profilo modificate a sostegno di una campagna sono diventate comuni come i video di gattini. Nel 2009 c’erano i filtri verdi per le proteste in Iran, poi nel 2014 ci sono stati i nastri gialli per Hong Kong, poi i cerchi neri contro la violenza sessuale in India, e più di recente la lettera araba ن (il simbolo utilizzato dallo Stato Islamico per identificare i cristiani) per sostenere i cristiani iracheni perseguitati in Iraq.
Nel 2014 Human Rights Campaign (HRC), la più grande organizzazione statunitense che si occupa dei diritti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) riuscì a fare in modo che milioni di persone cambiassero su Facebook la loro foto profilo con il logo di HRC: era il logo a forma di =, probabilmente lo avete visto in giro. L’organizzazione definì subito il gesto «un momento di trasformazione a favore degli stessi diritti per tutti». Ma ora come allora la domanda è sempre la stessa: cambiare la propria foto profilo su Facebook serve davvero a cambiare qualcosa? O è un esempio di attivismo da clic, cioè fare un gesto online che non costa e conta nulla per mettersi a posto la coscienza?
A primo acchito, ovviamente, la risposta sembrerebbe “no, non serve a niente”. Non è il gesto rapido e senza rischi di cambiare la foto profilo che ha convinto i cinque giudici della Corte Suprema a schierarsi a favore del matrimonio per tutti. E i quadratini di colori sfavillanti nella nostra sezione Notizie su Facebook non sono quello che, ovviamente, metterà fine alla discriminazione sul lavoro delle persone LGBT.
«Cambiare le foto profilo per una buona causa è uno strumento utile per mostrare agli amici e ai parenti un qualche tipo di vicinanza a un candidato o a una causa politica», spiega Philip Howard, sociologo della University of Washington e direttore del Digital Activism Research Project. «Solitamente il risultato di questi gesti non è un cambiamento politico». Fermi tutti, però: il matrimonio per tutti, come molte altre questioni spinose, non è solo una questione politica. Si tratta anche di cambiare gli atteggiamenti sociali verso un tema o un gruppo di persone, una condizione spesso necessaria per arrivare a un cambiamento politico: ed è qui che le campagne sui social media possono avere un vero impatto.
I nostri comportamenti sociali sono formati largamente da quello che il nostro gruppo sociale considera normale o accettabile. Ogni giorno, che ce ne accorgiamo o no, riceviamo molti messaggi diversi su queste norme: alcune non sono esplicite (“Non posso arrivare al lavoro nudo”), alcune si fondano sulla legge (“Non posso uccidere i commentatori che odio di più”), altre sono decisamente letterali (“allaccia le cinture!”, “di’ no e basta”).
Le foto profilo, senza dubbio, sono un tipo di messaggio molto particolare ed efficace. Non dettano come devi o dovresti comportarti, come fanno per esempio le leggi e le pubblicità progresso; dicono semplicemente come si comportano i tuoi amici, compagni e colleghi. Spiegato facile: loro sostengono il matrimonio per tutti, perché non dovresti farlo anche tu?
«Quando le persone cercano di cambiare comportamento, solitamente si concentrano sul dire alle persone cosa dovrebbero fare», spiegava nel 2013 la psicologa sociale Melanie Tannenbaum. «Spesso invece sottovalutiamo la forza con cui rispondiamo a quello che fanno le altre persone». Il modo migliore per convincere le persone a fare qualcosa è farlo noi stessi, insomma.
Volete un esempio? Facebook ha scoperto che le persone tendono a cambiare le foto profilo dopo che molti altri loro amici lo hanno fatto. In un articolo sulla campagna di HRC del 2013, pubblicato lo scorso febbraio, gli studiosi dei dati di Facebook hanno scritto di aver scoperto che gli utenti hanno adottato più facilmente il simbolo della campagna dopo che l’avevano fatto svariati loro amici. Più vedevano persone che avevano il logo come immagine del profilo, più era probabile che l’avrebbero messo anche loro: l’influenza sociale di fatto era un fattore più decisivo della religione, delle posizioni politiche o dell’età.
Ovviamente esistono le sfumature: bene o male, la semplice vista di una foto dipinta coi colori dell’arcobaleno non farà sparire gli omofobi. Le persone tendono a essere toccate da questo tipo di influenza soprattutto quando il gruppo che afferma simili comportamenti sociali è vicino a loro, per esempio, o comunque considerato importante da un punto di vista personale. Se utilizzo Facebook solo per tenermi in contatto con i compagni delle superiori di cui a stento ricordo i nomi, tutte le bandiere arcobaleno del mondo probabilmente non faranno molto.
Howard, il sociologo della University of Washington, spiega anche che le persone tendono a selezionare amici che condividono il loro modo di vedere le cose. In altre parole, se sono il tipo di persona predisposto a sostenere il matrimonio omosessuale, probabilmente lo sono anche i miei amici su Facebook.
«Comunque», dice Howard, «dichiarare apertamente sui social media il vostro sostegno al matrimonio gay o l’insoddisfazione per il comportamento della polizia o dei politici può far sì che per un breve istante le persone che vedono quell’immagine riflettano sulla questione». E se non hanno un’opinione precisa, o vedono quell’immagine molte volte, è possibile che – piano piano, gradualmente – modifichino le loro opinioni sui comportamenti sociali.
© Washington Post 2015