Il referendum greco del 2011, prima annunciato e poi cancellato
Se la situazione di questi giorni vi risulta familiare, è perché qualche anno fa è successa quasi la stessa cosa: ma durò pochi giorni
La situazione di questi giorni in Grecia – col primo ministro Alexis Tsipras che dopo mesi di trattative ha indetto un referendum sulla bozza di accordo in discussione con i creditori internazionali – non è completamente nuova: nel 2011 l’allora primo ministro greco, il socialista George Papandreou, interruppe le trattative con le istituzioni internazionali con cui stava trattando le condizioni di un prestito per evitare la bancarotta del paese e decise di sottoporre l’accordo a un referendum.
Era il 31 ottobre del 2011: Papandreou annunciò di voler organizzare un referendum per gennaio – a distanza di due mesi, quindi: stavolta sono sette giorni – sul piano di aiuti concordato con le autorità europee per evitare che il suo paese andasse in stato di insolvenza. La decisione sorprese i leader degli altri paesi dell’euro e secondo Papandreou avrebbe dovuto dare al suo governo nuova legittimazione per effettuare le difficili riforme di austerità richieste dalle istituzioni internazionali. Papandreou era al governo dal 2009 e nel discorso in cui annunciava il referendum aveva spiegato che per applicare le nuove misure richieste era necessario un mandato forte da parte della popolazione, aggiungendo: «Se i cittadini della Grecia non vorranno che le nuove norme siano applicate, molto semplicemente non le applicheremo». Durante le trattative in Grecia c’erano state più volte grandi manifestazioni di piazza e scontri violenti.
Il giorno dopo, il primo novembre, il governo greco si era riunito per sette ore in una seduta di emergenza e aveva approvato all’unanimità la proposta di referendum, mentre le borse di tutto il mondo perdevano molti punti in una delle peggiori giornate dalla crisi del 2008. I giornali avevano raccontato dello stupore con cui molti ministri avevano appreso della decisione di Papandreou, presa quasi in autonomia; il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, si era dissociato dalla decisione. Nel frattempo il ministro della Difesa Panos Beglitis, molto vicino allo stesso Papandreou, aveva riunito i capi delle forze armate – dell’esercito, della marina e dell’aviazione – e aveva comunicato la loro rimozione dall’incarico. Anche questa era una decisione insolita: l’annuale revisione degli incarichi militari sarebbe dovuta avvenire il 7 novembre e raramente coinvolge l’intera leadership militare del Paese. Il passato della Grecia come dittatura militare e il momento particolarmente delicato avevano portato molti a pensare che Papandreou stesse temendo per la stabilità della democrazia greca.
Il 4 novembre il governo di Papandreou aveva ottenuto la fiducia del Parlamento greco con 153 voti favorevoli e 145 contrari. Dopo giorni di pesanti critiche, anche dal suo partito, Papandreou aveva detto al Parlamento anche non intendeva mantenere il suo posto a tutti i costi: in caso di fiducia, aveva detto, sarebbe andato dal presidente della Repubblica per parlare di un governo di unità nazionale. Il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos aveva parlato dopo Papandreou e aveva detto che un governo di transizione sarebbe dovuto rimanere in carica fino al febbraio del 2012 per poi indire nuove elezioni. Nel frattempo i leader dei paesi dell’eurozona, soprattutto Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, avevano detto che la Grecia avrebbe dovuto tenere un referendum sulla permanenza nell’euro, se proprio avesse voluto, e non su una bozza di accordo ancora in discussione.
Dopo giorni di negoziati per la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Papandreou, sia i comunisti del KKE che il partito Syriza di Alexis Tsipras si erano rifiutati di sostenerlo; e il partito di centrodestra di Antonis Samaras aveva detto che lo avrebbe fatto solo se questo non fosse stato guidato da Papandreou. Si era arrivati così alla nomina a primo ministro di Lucas Papademos, ex vice presidente della Banca Centrale Europea. Il nuovo governo aveva prestato giuramento l’11 novembre 2011, annullando i piani del referendum e ponendo così le premesse per arrivare a un nuovo accordo con l’UE, la BCE e il FMI, allo scopo di garantire alla Grecia il prestito di cui aveva bisogno per evitare la bancarotta, al costo di dure e pesanti riforme di austerità.