Cosa c’è nel presunto sito di Dylann Roof
È stato trovato online ieri, contiene 60 foto e un testo che motiva l'attacco alla chiesa di Charleston
Sabato 20 giugno è stato trovato online un sito riconducibile a Dylann Roof, il ragazzo di 21 anni che mercoledì 17 giugno ha ucciso nove afroamericani in una chiesa metodista di Charleston, in South Carolina. Il sito – che al momento non è più attivo – conteneva molte foto che ritraggono Roof, oltre a un testo di circa 2500 parole pieno di insulti razzisti che spiega i motivi dell’attacco. In serata, l’FBI ha fatto sapere che sono in corso alcune ricerche per verificare l’autenticità del sito: per il momento un amico di Roof ha detto al New York Times di ritenere che il sito fosse gestito da Roof (un utente di Twitter ha scoperto che il dominio è stato registrato in febbraio sotto il nome di Dylann Roof). Il New York Times ha scritto inoltre che il testo presente nel sito è stato modificato per l’ultima volta alle 16.44 di mercoledì 17 giugno, lo stesso giorno della sparatoria.
Le foto
Gran parte delle foto mostrano Roof in posa, sia in camera sua sia davanti a luoghi celebrativi dell’esercito confederato: è il caso per esempio dell’Elmwood Cemetery di Columbia, riservato a soldati confederati che morirono durante la guerra civile. In diverse foto viene mostrata una pistola di calibro 45. In un’altra foto, invece, Roof viene fotografato mentre brucia una bandiera degli Stati Uniti. In tutte le foto Roof indossa vestiti scuri o dalla fantasia militare, e mantiene un’espressione seriosa. Non è chiaro se qualcuno abbia scattato a Roof le foto o se lui abbia usato l’autoscatto (una foto in particolare è stata scattata davanti allo specchio di un bagno). In tutto, il sito contiene 60 fotografie.
Il testo
Racconta a lungo di come negli Stati Uniti – secondo l’autore – i bianchi siano costantemente minacciati dai neri e da altri membri di minoranze etniche, e del fatto che problemi del genere vengano nascosti dai media tradizionali. In particolare, il testo si sofferma sulla copertura da parte dei media del caso di Trayvon Martin, il 17enne afroamericano ucciso senza un motivo apparente a Sanford, in Florida, da un vigilante volontario di nome George Zimmerman.
Il caso che mi ha davvero “risvegliato” è stato quello di Trayvon Marin. Continuavo a vedere e sentire il suo nome, e alla fine mi sono deciso a cercare cose su di lui. Ho letto la pagina di Wikipedia sul tema e sul momento non ero in grado di capire quale fosse il problema. Era ovvio che Zimmerman avesse ragione. Questo mi spinse a cercare su Google le parole “violenze dei neri sui Bianchi [“black on White crime”, nell’originale]: da quel giorno non sono più stato lo stesso. Il primo sito che mi capitò di leggere fu quello del Council of Conservative Citizens [il sito di un’associazione americana di estrema destra]. C’erano pagine e pagine che raccontavano di crimini brutali commessi dai neri contro i Bianchi. Ero sbigottito. In quel momento realizzai che c’era qualcosa che non andava. Perché sui giornali si parlava solo del caso di Trayvon Martin mentre centinaia di casi di omicidio da parte dei neri verso i Bianchi venivano ignorati?
In alcuni paragrafi sono inoltre contenuti alcuni espliciti riferimenti alla sparatoria, uniti a considerazioni razziste riguardo crescere e vivere assieme agli afroamericani.
Che ne sarà dei Bianchi che vengono lasciati da parte? Che ne sarà dei bambini Bianchi che a causa di alcune leggi scolastiche sono costretti ad andare in una scuola dove il 90 per cento degli studenti è nero? Pensiamo davvero che quell’unico ragazzino Bianco sarà in grado di trascorrere un giorno della sua vita senza essere preso in giro per essere bianco? E chi sta lottando per lui? Chi sta lottando per i Bianchi costretti a vivere assieme ai neri per ragioni economiche? Nessuno, ma qualcuno deve farlo.
Non ho scelta. Non sono nella posizione di poter andare nel ghetto e combattere da solo. Ho scelto Charleston perché è la città più “storica” del mio stato, e perché un tempo aveva il più alto tasso di neri della nazione. Non abbiamo skinhead né veri membri del Ku Klux Klan, e in generale nessuno che faccia qualcosa che non sia blaterare su Internet. Beh, qualcuno deve avere il coraggio di portare la questione nel mondo reale, e credo che tocchi a me.