Il monologo di Jon Stewart sulla strage di Charleston
È stato molto duro e insolito e sta circolando moltissimo online e sulla stampa internazionale
Il famoso presentatore e comico americano Jon Stewart ha iniziato la puntata di giovedì 18 giugno del suo Daily Show con un monologo sulla strage avvenuta mercoledì sera a Charleston, in South Carolina, nella quale un ragazzo di 21 anni ha ucciso nove afroamericani all’interno di una chiesa metodista.
Il monologo, che dura circa cinque minuti, sta circolando molto online: Stewart ha parlato della sparatoria in toni molto duri e insoliti – quasi a braccio, e in maniera molto contrita – criticando il fatto che «non faremo un cazzo» per impedire che cose del genere accadano di nuovo, a differenza di quanto sarebbe accaduto invece con un attentato di un estremista islamico. Presentando l’ospite della serata – la celebre attivista pakistana Malala Yousafzai – Stewart ha inoltre avvisato che durante la puntata non avrebbe fatto battute, perché non se l’era sentita di prepararle. Nei mesi scorsi Stewart ha detto che lascerà il Daily Show il 6 agosto del 2015 dopo sedici anni di conduzione.
(una parziale traduzione del monologo, tratta da una trascrizione del Guardian)
Ho un solo compito ed è piuttosto semplice: vengo qui la mattina, leggo le notizie e poi ci scrivo su qualche battuta o le commento facendo qualche verso. Ma oggi non ho fatto il mio lavoro. Non ho niente per voi, a causa di quello che è successo in South Carolina.
È semplicemente molto triste: ancora una volta dobbiamo sperimentare l’abisso della violenza cieca che compiamo l’uno verso l’altro, e le conseguenze delle ferite causate dal razzismo. Non guariranno, ma noi faremo finta lo stesso che non esistano.
Sono sicuro, comunque, che prendendo atto della cosa, e riflettendoci sopra… Non faremo comunque un cazzo. Già, siamo fatti così. È questo che mi manda ai matti. Non voglio iniziare a parlare di politica, di armi, eccetera: quello che mi fa arrabbiare è la disparità di trattamento che riserviamo nei confronti di chi vuole ucciderci dall’esterno e di chi vuole farlo dall’interno.
Se questo fosse stato un attacco terroristico di matrice islamica… Noi abbiamo invaso due nazioni e speso miliardi di dollari e migliaia di vite di americani, lanciato aggeggi mortali sopra cinque o sei paesi. Tutto questo, per la sicurezza del nostro paese, “per proteggere gli americani”: dobbiamo fare tutto quello che possiamo, “per proteggere gli americani”, persino torturare la gente.
Nove persone. Uccise in una chiesa. «Eh, che ci vuoi fare? Quando uno è matto, è matto». È questa la parte che non capisco. E sapete già dove andranno a parare, stanno già usando quelle frasi: «È stata una terribile tragedia eccetera». Le sfumature del loro linguaggio denunciano già l’assenza di uno sforzo per fare qualcosa.
Stiamo parlando di un attacco terroristico. Quello di ieri è stato un violento attacco verso la chiesa di Emanuel in South Carolina, un simbolo della comunità afroamericana. Dire “una tragedia ha colpito la chiesa…” Eh no, non si è trattato di un tornado. È stato un atto razzista. Il colpevole è un tizio che aveva la bandiera della Rhodesia [il vecchio nome dello Zimbabwe, quando era una colonia britannica] cucita sulla maglietta.
È chiaro, qui, dove sta il bene e dove sta il male. Non ci sono sfumature. Eppure, continueremo a fare finta che no, è solo «un tizio che ha perso la testa». Noi ci siamo immersi, in questo modo di pensare, e rifiutiamo di accettarlo. In South Carolina le strade frequentate dagli afroamericani hanno i nomi dei generali sudisti che combatterono per far rimanere i neri in schiavitù. La bandiera sudista sventola sopra gli uffici pubblici. Eppure, c’è un tizio bianco che crede che gli stiano portando via la sua nazione.