Come ha fatto l’ISIS a fregare al Qaida
Lo ha raccontato il Guardian in un lungo e interessante articolo: c'entrano la morte di bin Laden e grandi difficoltà economiche
Al Qaida e Stato Islamico (o ISIS) sono da tempo due organizzazioni nemiche. Non si tratta di una rivalità trascurabile, come si pensa spesso in Occidente posizionandole entrambe sotto l’etichetta vaga di “estremismo islamico” o “terrorismo”. In Siria l’ISIS e il Fronte al Nusra – il gruppo che rappresenta al Qaida nella guerra – combattono per davvero: si può dire che fino a qualche mese si combattevano tra loro più di quanto l’ISIS non combattesse i soldati siriani dell’esercito fedele al presidente siriano Bashar al Assad. Non si tratta nemmeno di una rivalità che interessa solo gli esperti di terrorismo internazionale: la competizione tra i due gruppi per la supremazia nel fronte jihadista è stata definita una “rivoluzione” nel jihad globale, che non ha precedenti negli ultimi trent’anni.
La scorsa settimana il Guardian ha pubblicato un lungo articolo sulla rivalità tra ISIS e al Qaida dopo avere incontrato due importanti teorici del jihad, il palestinese Abu Muhammad al Maqdisi e il giordano Abu Qatada. L’articolo – uno dei più completi scritti finora sulla questione – è intitolato “Come l’ISIS ha azzoppato al Qaida. La storia del golpe che ha portato la rete terroristica più temuta del mondo sull’orlo del collasso”. È una tesi forte, che parte dall’idea che l’ISIS abbia compiuto una specie di golpe nei confronti dei vertici di al Qaida, troppo deboli per reagire dopo la morte di Osama bin Laden; e di come sia riuscito a diventare in breve tempo il gruppo jihadista più famoso, ricco e citato al mondo.
Fermi tutti: come sono diventati nemici ISIS e al Qaida, in 15 righe
Nel 2003 il gruppo principale di al Qaida divenne lo Stato Islamico dell’Iraq (ISI, la sigla in inglese), predecessore dell’ISIS. L’ISI fu fondato dal giordano Abu Musab al Zarqawi, che non aveva ottimi rapporti con i vertici di al Qaida, e nemmeno con Osama bin Laden. Dal 2006 e per qualche anno l’ISI sembrò sul punto di scomparire, a causa degli sforzi anti-terrrorismo dei soldati statunitensi che erano in Iraq dal 2003 e che collaboravano con le forze irachene fedeli al governo di Baghdad. Le cose cambiarono di nuovo nel 2011 con l’inizio della guerra in Siria: per l’ISI la guerra fu un’opportunità incredibile e insperata per rifondarsi. L’ISI – che era ancora alleato ad al Qaida, anche se con diverse tensioni – mandò in Siria Muhammad al Joulani, che istituì un gruppo che divenne noto con il nome di Fronte al Nusra. Nel giro di poco tempo Joulani divenne così potente che Baghdadi (il capo dell’ISI) cominciò a temere che potesse staccarsi e formare un gruppo autonomo di al Qaida operante in Siria. L’8 aprile 2013, per anticipare le mosse di Joulani, Baghdadi dichiarò la formazione di un nuovo gruppo autonomo e staccato da al Qaida che includeva l’ISI e al Nusra: il suo nome doveva essere Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ISIS in sigla. Due giorni dopo Joulani rispose a Baghdadi, rifiutando la sua dichiarazione: dichiarò invece la sua fedeltà a Zawahiri, rimanendo di fatto alleato di al Qaida. Così l’ISIS e al Qaida sono diventati nemici.
Al Maqdisi e Abu Qatada
Quello che successe dopo l’hanno raccontato al Guardian Abu Muhammad al Maqdisi e il giordano Abu Qatada, due importanti teorici del jihad. Dopo la rottura formale con l’ISI annunciata da Joulani, il capo di al Qaida Ayman al Zawahiri mandò un emissario, Abu Khalid al Suri, per cercare una riconciliazione con l’ISIS, senza ottenere risultati. Nel frattempo non solo l’ISIS aveva cominciato a conquistare territori in Iraq e in Siria, ma aveva affidato i posti di comando a uomini che prima facevano parte del regime secolare di Saddam Hussein e che erano stati estromessi dopo l’invasione americana in Iraq. Erano uomini bene addestrati, che conoscevano a fondo le debolezze dello stato iracheno e l’esteso sistema di intelligence costruito nell’era di Hussein (il loro ruolo è stato raccontato approfonditamente da almeno due articoli recenti: uno della giornalista Liz Sly del Washington Post, e l’altro da un’importante inchiesta dello Spiegel).
Abu Qatada, in centro, ascolta Abu Mohammed al Maqdisi, a sinistra, ad Amman, in Giordania, il 24 settembre 2014. (AP photo/Mohammad Hannon)
Più l’ISIS diventava forte e influente, più cercava di aumentare la sua capacità di attrazione nei confronti dei volontari jihadisti di tutto il mondo e più cresceva la rivalità con al Qaida. La rottura definitiva tra i due gruppi, quella che ha praticamente messo fine ai tentativi di riconciliazione da parte di al Qaida, è avvenuta tra il gennaio e il febbraio 2014. La racconta così il Guardian:
«Il 16 gennaio 2014 l’emissario di Zawahiri, Abu Khalid al-Suri, pubblicò un messaggio online. Twittò che l’ISIS stava cercando di corrompere il jihad come aveva fatto con l’Iraq: i miliziani avrebbero dovuto far esplodere le loro bombe contro gli infedeli, diceva Zawahiri, non contro altri jihadisti. Diciassette giorni dopo Zawahiri giocò la sua ultima carta: l’ISIS fu espulso da al Qaida.
Per l’ISIS non c’era più possibilità di tornare indietro. Per chiarire che una riconciliazione era ora esclusa, l’ISIS mandò al suo ex capo un messaggio che lui non avrebbe potuto dimenticare. Il 21 febbraio cinque uomini entrarono nel complesso di edifici ad Aleppo dove si trovava Suri. Quando videro Suri, il loro obiettivo, uno degli assalitori si fece esplodere. Il fedele servitore di Zawahiri, che era stato mandato dall’Afghanistan per arrivare a un accordo di pace, era morto.»
Cosa ha comportato la morte di bin Laden
Qatada e Maqdisi hanno detto al Guardian che una delle ragioni per cui al Qaida non è stata in grado di reagire fin da subito allo scontro con l’ISIS è stata la mancanza di una leadership forte e carismatica come quella di Osama bin Laden. Prima che arrivasse bin Laden, non era mai successo che gruppi geograficamente così lontani si unissero sotto un’unica organizzazione. Bin Laden riuscì a conseguirlo anche per la sua flessibilità ideologica: rifiutava quelle dispute che avevano diviso e indebolito le altre coalizioni jihadiste prima di al Qaida e si circondava di comandanti rigorosamente selezionati che dovevano avere combattuto in Afghanistan, Bosnia o Cecenia. Dopo l’uccisione di bin Laden nel 2011, il capo di al Qaida divenne il medico egiziano Ayman al Zawahiri, che si ritrovò però molto isolato.
Osama bin Laden e Ayman al-Zawahri in un’immagine di un video trasmesso dal canale al Jazeera il 15 aprile 2002. (AP Photo/Al-Jazeera/APTN)
Negli ultimi anni al Qaida ha dovuto affrontare un altro problema: la notevole diminuzione dei finanziamenti esterni. Munir Samara, un veterano del jihad afghano e stretto collaboratore di Maqdisi e Qatada, ha detto che una volta le donazioni erano “centinaia di migliaia”, mentre oggi sono molte meno perché sempre più donatori hanno deciso di finanziare l’ISIS. Aimen Dean, altro ex membro di al Qaida diventato una spia dei servizi segreti britannici, ha detto al Guardian che una delle sue fonti nelle aree tribali del Pakistan gli ha riferito che al Qaida in quelle zone era così senza soldi che i suoi miliziani avevano cominciato a vendere i loro portatili e le loro macchine per comprare il cibo e pagare l’affitto. Il risultato della mancanza di una leadership forte, della scarsità di finanziamenti e della contemporanea ascesa dell’ISIS è stato il collasso della struttura organizzativa di al Qaida.
Lo scontro ideologico
Lo scontro tra al Qaida e ISIS è evidente anche dai durissimi giudizi che Maqdisi e Qatada hanno dato dell’ISIS. Maqdisi ha detto al Guardian: «L’ISIS ha preso tutti i nostri lavori religiosi. Li ha presi da noi – i nostri scritti, i nostri libri, i nostri pensieri». Qatada è molto critico verso l’ISIS: lo ha definito «un gruppo mafioso» e ha detto che i suoi membri non hanno nemmeno il valore per chiamarsi “mujaheddin”, combattenti del jihad. Secondo Qatada, l’ISIS ha tradito la vecchia leadership di al Qaida, quella guidata ancora oggi dai veterani del jihad afghano, ingannando i giovani che hanno deciso di offrirsi volontari del jihad. Qatada ha spiegato la sua idea al Guardian con una metafora: «Tu vai al ristorante e ti presentano un piatto molto bello, che sembra delizioso. Ma quando vai in cucina e vedi che c’è sporcizia ne esci disgustato». Anche l’ISIS ha cominciato una sua battaglia contro Qatada e Maqdisi: nel sesto numero della rivista Dabiq, la rivista ufficiale dell’ISIS diffusa online anche in inglese in formato pdf, i due teologi sono stati definiti “deviati”, le cui idee devono essere evitate più dello stesso diavolo.
Diversi paesi arabi si sono accorti tempo fa della battaglia interna al fronte jihadista globale e – in un certo senso – hanno preso una parte. Lo stesso Maqdisi è stato al centro di una delle news più discusse degli ultimi mesi: l’uccisione del pilota giordano Muath al Kasasbeh da parte dell’ISIS (se ne parlò molto anche in Occidente, dopo che l’ISIS diffuse un video che mostrava Kasasbeh bruciare vivo in una gabbia). La Giordania, che si era spesa molto nelle settimane precedenti per ottenere la liberazione di Kasasbeh, reagì molto duramente all’uccisione del suo pilota: oltre a intensificare i bombardamenti sull’ISIS in Iraq e in Siria, il governo scarcerò Maqdisi nel tentativo di influenzare il dibattito sul jihad negli ambienti più estremisti e limitare l’influenza dell’ISIS.
Negli ultimi mesi la stampa internazionale si è divisa molto riguardo alla capacità dell’ISIS di continuare a esercitare una così grande influenza in diversi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Alcuni, come l’Economist, hanno scritto che “l’ISIS sta perdendo”, citando diverse debolezze strutturali interne alla sua organizzazione di stato. Altri, la maggior parte degli analisti, sostengono che l’ISIS non stia né vincendo né perdendo: sta guadagnando influenza fuori dai confini del suo “stato” – per esempio in Libia – anche se sembra avere mostrato nuove difficoltà a gestire alcune città sotto il suo controllo. La cosa più sorprendente dell’articolo del Guardian riguarda non tanto la capacità che ha avuto l’ISIS di guadagnare influenza globale con la sua ideologia molto aggressiva – un tema già molto discusso in passato – quanto piuttosto le grandi difficoltà che sta attraversando al Qaida dal punto di vista organizzativo. Stando a quanto hanno raccontato Maqdisi e Qatada, non esiste più una struttura organizzata di comando tra i vertici di al Qaida e le varie “divisioni” presenti nei diversi paesi. E senza cambiamenti rilevanti, gli equilibri tra ISIS e al Qaida sembrano destinati a durare ancora parecchio.