Cosa ha sbagliato Napoleone a Waterloo
Nella sua ultima battaglia, combattuta esattamente duecento anni fa, Napoleone fece diversi errori: scelse male i suoi collaboratori, per esempio
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
La sera del 18 giugno 1815 l’imperatore Napoleone Bonaparte non sapeva di aver appena combattuto la sua ultima battaglia. Poco dopo il tramonto si stava allontanando dal villaggio di Waterloo, in Belgio, circondato da soldati francesi in fuga. Aveva 46 anni e quel giorno era stato sconfitto per la sesta volta nella sua carriera. Aveva combattuto sessanta battaglia da quando vent’anni prima il governo francese lo aveva nominato generale e quella sera pensava che presto ne avrebbe combattuta una sessantunesima. Ma quando arrivò a Parigi il parlamento lo obbligò ad abdicare e lo costrinse a fuggire dal paese. Nel suo lungo esilio su un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico, Napoleone rimuginò amaramente nelle sue memorie sugli errori che gli avevano portato via una vittoria a cui era stato così vicino e che nessuno avrebbe ritenuto possibile.
A marzo, tre mesi prima della battaglia, Napoleone era di fatto un prigioniero, esiliato sull’Isola d’Elba dopo la sconfitta che aveva subito nella battaglia di Lipsia. A giugno era fuggito dall’esilio, si era ripreso il trono di Francia togliendolo a re Luigi XVIII e aveva messo in piedi un nuovo esercito. Il suo rapido e spettacolare ritorno aveva lasciato stupefatta l’intera Europa, ma la sua situazione era comunque disperata. Le potenze eruopee riunite al Congresso di Vienna si accordarono per sconfiggerlo una volta per tutte e misero insieme un esercito di circa un milione e mezzo di soldati. La Francia, indebolita da due decenni di guerre quasi ininterrotte, poteva schierarne meno di mezzo milione. Napoleone decise di attaccare. Manovrando con abilità, sorprese due delle armate alleate prima che potessero concentrarsi e il 16 giugno sconfisse a Ligny, in Belgio, l’esercito prussiano. Il giorno dopo, il 17, si accampò vicino a Waterloo, pronto ad attaccare l’esercito inglese rimasto isolato. Quella sera Napoleone commentò con i suoi marescialli: «Abbiamo novanta possibilità su cento di vincere». La battaglia del giorno dopo avrebbe probabilmente deciso le sorti della guerra: se anche gli inglesi fossero stati sconfitti la grande alleanza si sarebbe rotta e la Francia avrebbe potuto negoziare la pace con molti dei suoi nemici. Napoleone sembrava a un passo dalla più inaspettata delle sue vittorie.
Tutto sulla carta sembrava essere andato secondo i piani, ma in realtà Napoleone aveva già commesso parecchi errori. Il più grave era stato quello di scegliere male i suoi collaboratori. Napoleone aveva una spiccata “sensibilità” nei confronti di amici e parenti – nel corso della sua carriera ne sistemò una decina sui troni di mezza Europa. Come “numero due” per la campagna scelse il maresciallo Michel Ney detto il “Prode tra i prodi”. Ney era coraggioso e irruente, ma non brillava per intelligenza: lo stesso Napoleone aveva definito la sua comprensione della strategia militare «pari a quella dell’ultimo dei tamburini» (i tamburini all’epoca erano in genere ragazzini di 15 anni). Ma Ney era anche il più importante tra i generali che il re di Francia aveva inviato a fermare Napoleone dopo il suo ritorno dall’esilio all’Elba. Invece di arrestarlo, Ney si era dichiarato fedele al suo vecchio imperatore e aveva disertato il re: un gesto di cui Napoleone si ricordò quando assegnò i comandi per la campagna.
L’incontro tra Napoleone e Ney nel film “Waterloo” (1970)
Come c’era da aspettarsi, il “Prode tra i prodi” combinò parecchi pasticci. La sera del 15 giugno non riuscì a conquistare un importante nodo stradale e il giorno dopo, mentre Napoleone sconfiggeva i prussiani a Ligny, non gli fece arrivare i rinforzi che gli avrebbero permesso di ottenere una vittoria decisiva. Napoleone ci mise anche del suo. Proprio lui che un tempo aveva dichiarato «posso perdere una battaglia, ma non perderò mai un minuto», in quei giorni fu colto da una strana letargia. Ad esempio, a Ligny si attardò un paio d’ore sul campo di battaglia meditando ad alta voce sugli orrori della guerra invece di ordinare subito un rapido inseguimento dei prussiani sconfitti. Due giorni dopo a Waterloo, davanti all’esercito inglese, decise di rimandare l’inizio dello scontro perché il terreno era umido a causa delle piogge della notte precedente e avrebbe limitato l’efficacia dei suoi cannoni.
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Quando a mezzogiorno l’artiglieria francese cominciò finalmente ad aprire il fuoco, la situazione a Waterloo era questa: il campo di battaglia era lungo circa cinque chilometri e l’esercito inglese, formato da 68 mila soldati in gran parte tedeschi, belgi e olandesi, era schierato sulla cresta di una collina. I 73 mila soldati di Napoleone si trovavano dall’altro lato di un piccolo avvallamento a circa un chilometro di distanza. Il primo goffo attacco guidato da Ney, a cui Napoleone aveva malauguratamente affidato la direzione di gran parte della battaglia, cominciò alle 13 e i soldati francesi furono respinti in disordine dopo una sparatoria durata un’ora. Intorno alle 16, mentre la fanteria francese cercava di riordinarsi dopo la ritirata, Ney combinò un altro guaio. In cima alla collina vide dei movimenti che gli sembravano una ritirata e ordinò immediatamente alla cavalleria di caricare. Diecimila uomini e cavalli avanzarono su per il pendio nel corso di una dozzina di attacchi che furono tutti respinti. Gli inglesi non si stavano affatto ritirando: quello che aveva visto Ney era soltanto lo spostamento dei feriti nelle retrovie.
Napoleone intanto aveva un altro problema. I prussiani battuti due giorni prima erano comparsi in forze sul suo fianco: il generale più famoso al mondo per le sue manovre di aggiramento era stato a sua volta aggirato. La colpa era nuovamente dello stesso Napoleone che due giorni prima aveva perso tempo a ordinare l’inseguimento dei prussiani e aveva messo a capo delle truppe incaricate di tenerli lontano dal campo di battaglia un generale inesperto – per di più dandogli ordini molto confusi. Intorno alle 17 la linea francese aveva assunto la forma di una L con la gamba lunga rivolta agli inglesi e quella corta formata da truppe raccolte in tutta fretta per fermare i prussiani. Nel frattempo Ney, dopo aver capito che la sola cavalleria non avrebbe concluso niente, cominciò a mandare in cima alla collina occupata dagli inglesi (gamba lunga della L) un po’ di cannoni e quei fanti che si erano ripresi dal fallito attacco di un paio di ore prima. In questo modo riuscì a conquistare una fattoria strategica da cui i suoi uomini misero in serio pericolo il centro dello schieramento nemico.
La battaglia era arrivata al momento culminante. Alle 18 Ney chiese urgentemente rinforzi per completare la vittoria, ma Napoleone gli rispose in malomodo e concentrò le sue attenzioni e i rinforzi di cui disponeva sui prussiani alla sua destra (cioè la gamba corta della L). Alle 19, quando la situazione si fu stabilizzata, tornò a dedicarsi a Ney e decise di inviargli in aiuto l’ultima formazione che gli restava, il suo corpo migliore e al quale era più affezionato: la Vecchia Guardia, il corpo scelto formato dai suoi veterani più anziani.
L’attacco della Vecchia Guardia “Waterloo” (1970)
Quell’ora di ritardo, però, era stata fatale. Mentre le lunghe file dei veterani con gli alti colbacchi di pelo d’orso avanzavano su per la collina al suono dei tamburi, gli inglesi rafforzarono il centro con tutte le truppe che avevano. Quando la testa della colonna francese arrivò in cima alla collina, gli inglesi la stavano aspettando su tre lati, sdraiati nell’erba alta. A un comando dei loro ufficiali si alzarono di colpo e scaricarono sui francesi una serie di raffiche di fucile a volte a soltanto venti metri di distanza. La Guardia tentò di resistere, ma senza successo. Dopo pochi minuti i migliori uomini dell’esercito di Napoleone fuggirono dalla collina. «La Garde recule!», “la guardia si ritira!”, fu il grido che si diffuse immediatamente in tutto l’esercito francese. L’imbattibile Vecchia Guardia era stata messa in fuga e la battaglia era persa. Al calare della notte quasi un terzo dell’esercito francese era morto, ferito, prigioniero o disperso. Gli altri si erano tramutati in una massa disordinata in cerca di salvezza.
Waterloo fu una brutta battaglia combattuta al termine di una campagna brillante, una delle migliori di Napoleone secondo lo storico militare David G. Chandler. Nelle sue memorie Napoleone attribuì le colpe della sconfitta a Ney e al comandante incaricato di inseguire i prussiani, ma il suo livore nascondeva il fatto che era lui stesso a meritare gran parte del biasimo. Era stato lui a scegliere i subordinati che non erano riusciti a portare a termine i suoi piani ed era sempre lui che si era lasciato accecare dal suo incredibile successo. A maggio era un prigioniero, a metà giugno era di nuovo imperatore, aveva radunato una nuova armata, sconfitto un esercito nemico ed era pronto a sconfiggerne un altro. Sentiva di essere infallibile e così perse ore preziose nei momenti più importanti della campagna e affrontò lo scontro con la noncuranza di chi sa di aver la vittoria in tasca. L’epitaffio alla mancanza di fantasia con cui uno dei più grandi generali della storia combatté la sua ultima battaglia spetta probabilmente al duca di Wellington, comandante dell’esercito inglese, che riassunse così la giornata di Waterloo: i francesi, disse, «sono venuti su alla vecchia maniera e noi alla vecchia maniera li abbiamo ributtati di sotto».