Perché nessuno parla dell’Eritrea
È un posto in cui accadono continuamente cose terribili e ci riguarda da vicino: l'anno scorso il 22 per cento delle persone arrivate via mare veniva da lì
di Adam Taylor - Washington Post
Lunedì scorso le Nazioni Unite hanno diffuso un documento che sintetizza i risultati di un anno di indagini sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, paese dell’Africa orientale che confina a sud con Gibuti, a nord con il Sudan e ovest con l’Etiopia. Le conclusioni contenute nel documento dell’ONU sono terribili. Si parla di “violazioni dei diritti umani sistematiche e diffuse” – tra cui torture sessuali e lavori forzati – e si sostiene che in Eritrea ci sia un governo totalitario in cui non vige alcuno stato di diritto: in altre parole, il governo agisce senza che venga considerato responsabile di eventuali violazioni della legge e senza dover rendere conto a nessuno di quello che fa. La situazione dell’Eritrea riguarda direttamente anche l’Italia, e non solo per il passato coloniale: nel 2014 il 22 per cento delle persone che sono arrivate in territorio italiano via mare provenivano dall’Eritrea.
Eppure, nonostante l’Eritrea sia «il paese con meno libertà al mondo», nessuno ne parla. Quando in passato l’ONU si era occupata per esempio delle gravi violazioni dei diritti umani in Corea del Nord, in Arabia Saudita e in Qatar, la reazione dei giornali e dell’opinione pubblica mondiale era stata molto diversa. La differenza tra Eritrea e altri paesi con gravi deficit democratici non riguarda certo la gravità delle accuse rivolte loro: anche per l’Eritrea si parla di crimini contro l’umanità e il documento ONU è molto duro nei confronti del regime eritreo. È difficile che non si rimanga sconcertati leggendolo dall’inizio alla fine.
Nel 1993 – quando l’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia dopo 30 anni di guerra civile – le aspettative sul paese erano molto alte. Da allora, però, il presidente Isaias Afewerki ha rafforzato il suo potere e non ha lasciato alcuno spazio alle opposizioni. Il documento dell’ONU descrive l’Eritrea come uno stato di polizia simile a quello della Germania Est durante la Guerra Fredda, dove la Stasi – sigla che indicava il Ministero per la sicurezza dello stato – controllava qualsiasi aspetto della vita di chi abitava nel paese. Molti eritrei dicono oggi di vivere nella paura costante di essere sorvegliati dalla polizia. Il sistema in vigore ha portato ad arresti arbitrari, torture e anche sparizioni forzate, ha scritto l’ONU. Anche coloro che non hanno commesso alcun crimine rischiano di finire in un sistema che li porta a dover compiere i lavori forzati. Nemmeno andarsene dal paese sembra essere un’opzione percorribile per molti: coloro che decidono di oltrepassare i confini vengono considerati dei “traditori” e alla frontiera la polizia ha l’ordine di sparare-per-uccidere.
Il presidente dell’Eritrea, Isaias Afewerki, all’aeroporto Mitiga di Tripoli, in Libia, il 28 novembre 2010.
(AP Photo/Geert Vanden Wijngaert)
Sara Dorman, esperta di politica africana alla Edinburgh University, ha detto che l’Eritrea è conosciuta come “la Corea del Nord africana”, ma ha aggiunto che il paese ha delle sue proprie peculiarità: «Posso dire che il controllo che il regime eritreo esercita sulla sua popolazione è qualitativamente diverso da quello esercitato in altri paesi africani», soprattutto rispetto alla più ampia estensione delle attività dei suoi servizi di intelligence e alla pratica di punire intere famiglie per crimini compiuti da un solo membro. L’ONU ha avuto molte difficoltà a mettere insieme il documento diffuso lunedì. Il governo dell’Eritrea non ha permesso al personale ONU di entrare nel paese, costringendolo ad affidarsi a interviste e colloqui con oltre 550 testimoni e valutando 160 documenti scritti. Molte persone si sono rifiutate di collaborare con l’ONU per paura di rappresaglie.
Gli esperti comunque non sono sembrati troppo sorpresi dalle conclusioni diffuse dall’ONU, e nemmeno dalla mancata reazione internazionale successiva. Jeffrey Smith, che lavora all’organizzazione non governativa “Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights”, ha detto: «Chiaramente l’Eritrea non cattura l’attenzione degli americani quanto invece fanno le storie sulla Corea del Nord. Il presidente Afewerki, che è un eccentrico despota e che porta avanti delle sistematiche violazioni dei diritti umani, non è descritto dai media americani nello stesso modo in cui è descritto Kim Jong-un». Ci sono due ragioni che potrebbero spiegare il minore interesse che c’è oggi verso l’Eritrea, rispetto a quello per esempio che si riserva alla Corea del Nord. Primo, il regime eritreo non ha ambizioni nucleari, un tema che in passato ha portato molti giornali statunitensi ed europei ad occuparsi della “minaccia nucleare” proveniente dalla Corea del Nord. Secondo, l’Eritrea è un paese africano, e le vicende dell’Africa – a parte qualche eccezione – vengono raccontate molto poco per una mancanza generale di interesse.
Non è la prima volta che rapporti di organizzazioni e associazioni umanitarie internazionali si occupano di Eritrea, arrivando a conclusioni simili a quelle raggiunte dall’ONU. Nel 2014, per esempio, l’organizzazione Human Righs Watch ha definito l’Eritrea “uno dei paesi più chiusi al mondo” e ha parlato di “servizio militare illimitato, torture, detenzioni arbitrarie e diverse restrizioni alle libertà di espressione, di associazione e di religione”. Reporters without Borders ha definito più volte l’Eritrea il peggior paese al mondo riguardo alla libertà di stampa, peggio ancora della Corea del Nord.
L’Eritrea ha un’altra particolarità: il turismo. L’isolamento internazionale, la sua storia di ex-colonia italiana e i notevoli investimenti del Qatar hanno reso l’Eritrea una destinazione turistica unica, anche se molto difficile. Lo scorso anno un blogger che si occupa di viaggi ha scritto sul New York Times che Asmara, la capitale dell’Eritrea, “assomiglia molto più a Napoli che alla Corea del Nord”. Ci sono diverse ragioni per cui si dovrebbe prestare più attenzione all’Eritrea. A parte il suo ruolo di ex colonia italiana, l’Eritrea ha una storia recente piuttosto complicata con i paesi suoi vicini dell’Africa orientale. Si trova attualmente sotto sanzioni ONU per il suo sostegno ad al Shabaab, gruppo islamista somalo che ha compiuto diversi attacchi molto violenti anche in Kenya, ma soprattutto è il secondo paese da cui provengono più richiedenti asilo che arrivano in Europa: il primo è la Siria.
In una nota pubblicata martedì scorso, il governo dell’Eritrea ha definito il documento dell’ONU una “farsa politica e cinica” e un attacco «non tanto contro il governo, ma contro le persone e la società che si prende cura dei valori umani e della dignità».
© Washington Post 2015