Perché il viaggio di ritorno ci sembra sempre più breve del viaggio di andata?
Ha provato a spiegarlo un gruppo di ricercatori giapponesi parlando del ricordo delle esperienze vissute, ma potrebbe esserci altro
di Ana Swanson - Washington Post
Abbiamo tutti una certa familiarità con l’effetto “viaggio di ritorno”: quando andiamo in un posto che non conosciamo tornare indietro per la stessa strada ci sembra in genere più breve anche se in realtà abbiamo viaggiato per la stessa distanza. Una ricerca pubblicata sul giornale scientifico PLOS ONE sembra dimostrare che l’effetto “viaggio di ritorno” esiste davvero. Non è una grande sorpresa, visto che gli scienziati sanno già da tempo che gli esseri umani non sono molto abili a misurare il tempo e spesso si fanno influenzare dal loro umore o da quello che gli accade intorno. Per verificare se esiste davvero uno specifico problema di misurazione del “viaggio di ritorno”, alcuni ricercatori giapponesi hanno mostrato a due gruppi di persone due filmati di venti minuti ripresi da un cameraman a passeggio per una città (due filmati per ciascun gruppo): poi è stato chiesto alle persone che si sono sottoposte all’esperimento di segnalare ogni volta che pensavano fossero passati tre minuti e, alla fine, di valutare quale dei due video fosse più lungo.
Ai due gruppi sono stati mostrati filmati diversi. Il primo ha visto un filmato in cui il cameraman andava da un punto A a un punto B, e un filmato in cui lo stesso cameraman rifaceva il percorso al contrario. Il secondo gruppo ha visto prima un filmato in cui il cameraman andava di nuovo dal punto A al punto B, e poi un filmato di un percorso diverso, ma della stessa lunghezza. L’esperimento serviva a misurare non soltanto la percezione del trascorrere del tempo, ma anche cosa pensiamo retrospettivamente della quantità di tempo passato. Sul momento entrambi i gruppi hanno stimato correttamente il tempo trascorso, ma dopo un po’ di tempo il gruppo che aveva visto il filmato dal punto A al punto B e ritorno ricordava che il secondo filmato era più breve del primo. Il secondo gruppo, invece, non ha riportato questa percezione.
Come ha scritto Joseph Stromberg su Vox, lo studio suggerisce che l’effetto “viaggio di ritorno” abbia a che fare con il modo in cui ricordiamo le esperienze vissute. In altre parole, per sperimentare l’effetto bisogna sapere che quello che stiamo affrontando è un viaggio di ritorno. Non è chiaro perché questo accada, ma gli psicologi hanno diverse teorie. Una di queste è che quando prestiamo molta attenzione al tempo, ad esempio quando siamo in ritardo e continuiamo a guardare l’orologio, il tempo sembra passare molto lentamente. Ma quando siamo distratti il tempo sembra trascorrere più in fretta: un po’ come nel vecchio proverbio “il tempo vola quando ci si diverte”.
Un’altra spiegazione ha a che fare con la “familiarità”. All’andata siamo concentrati sulla strada nuova, mentre al ritorno cominciamo a identificare punti di orientamento che ci rendono il percorso familiare e quindi, apparentemente, più rapido. Altri studi scientifici hanno dimostrato che l’effetto “viaggio di ritorno” non funziona con i percorsi che facciamo tutti i giorni, come ad esempio la strada per andare a lavoro. In altre parole: quando siamo davanti a fenomeni non familiari ci concentriamo e quindi il tempo sembra scorrere più lentamente. Davanti invece a fenomeni che conosciamo bene la mente è più rilassata e quindi il tempo ci sembra scorrere più in fretta. Questa spiegazione aiuta in parte anche a capire perché il tempo sembra scorrere più in fretta mano a mano che invecchiamo. Con l’età il numero di esperienze nuove che ci troviamo ad affrontare continuano a diminuire, dando l’impressione che tutto sia familiare e che quindi il tempo stia trascorrendo più velocemente.
Ma potrebbero esserci anche altre spiegazioni. Alcuni psicologi hanno dimostrato come l’effetto “viaggio di ritorno” in alcuni casi vale anche in situazioni non familiari. Ad esempio, in un esperimento del 2011 due gruppi di ciclisti hanno percorso due strade per raggiungere una fiera. Il primo gruppo è poi tornato sulla stessa strada, il secondo ha preso un percorso diverso. Alla fine dell’esperimento entrambi i gruppi hanno sperimentato l’effetto “viaggio di ritorno”: un risultato che sembra contraddire l’ultimo studio pubblicato. Probabilmente, la causa dell’effetto “viaggio di ritorno” è un insieme di tutti questi fattori e in più di qualche altra dinamica che i ricercatori non hanno ancora scoperto. Quello che è certo e che questo esperimento ha dimostrato ancora una volta è che la percezione del tempo è soggettiva.
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