Come Samantha Cristoforetti è tornata dallo Spazio
L'avventuroso ritorno dell'astronauta italiana e dei suoi due compagni di viaggio è andato bene: in sostanza, si precipita
di Emanuele Menietti – @emenietti
Dopo essere rimasta attraccata per 200 giorni alla Stazione Spaziale Internazionale, oggi la Soyuz TMA-15 è ripartita dall’orbita terrestre a circa 250 chilometri di distanza dalle nostre teste per tornare sulla Terra, trasportando nel suo viaggio di ritorno l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti e i suoi due compagni di viaggio della Expedition 42/43, il cosmonauta russo Anton Shkaplerov e l’astronauta statunitense Terry W. Virts. Il loro arrivo sulla Terra è avvenuto alle 15:43 di oggi (ora italiana) in seguito a un viaggio di circa tre ore e mezza incredibile e turbolento, all’interno della Soyuz, che in pratica è precipitata verso il suolo avvolta nel plasma prodotto dal passaggio nei vari strati dell’atmosfera.
Ritorno in Kazakistan
Da quando nel 2011 è stato chiuso il programma spaziale degli Shuttle gestito dalla NASA, le Soyuz dell’agenzia spaziale russa sono gli unici veicoli spaziali che gli astronauti possono utilizzare per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, e tornare indietro sulla Terra alla fine della loro missione. Le cose per la NASA cambieranno tra qualche anno quando le aziende private SpaceX e Boeing avranno perfezionato i loro sistemi di trasporto, ma fino ad allora le agenzie spaziali dovranno farsi dare un passaggio (che costa svariati milioni di euro a ogni viaggio) da parte della Russia, che ha il suo centro spaziale più importante a Baikonur, nel mezzo dello steppe del Kazakistan. Lì ci sono le rampe di lancio da cui partono le Soyuz e nei suoi dintorni viene scelto di volta in volta il punto in cui atterrerà la capsula con gli astronauti al momento del loro ritorno sulla Terra.
La zona di atterraggio viene scelta in base a una serie di calcoli piuttosto complicati sul volo orbitale che compie la Soyuz dopo essersi scollegata dalla ISS e prima di rientrare nell’atmosfera terrestre. Identificata l’area di arrivo, le squadre di ricerca e recupero di Baikonur eseguono ricognizioni per assicurarsi che il punto di arrivo sia sicuro, libero da qualsiasi tipo di ostacolo e pianeggiante a sufficienza per ridurre al minimo i rischi. I controlli sono effettuati con aeroplani ed elicotteri, mentre altre squadre raggiungono la zona su enormi camion speciali, che si possono muovere agilmente nelle steppe sia durante la stagione calda sia durante i lunghi e nevosi inverni del Kazakistan.
Preparazione sulla ISS
A una settimana circa dalla data stabilita per il rientro, i responsabili del Centro di Controllo dell’agenzia spaziale russa vicino a Mosca conducono una serie di simulazioni con gli astronauti a bordo della ISS in partenza. Le prove servono per ripassare tutte le procedure che devono essere eseguite durante il viaggio di ritorno: buona parte delle attività sono gestite automaticamente dai sistemi, quindi le simulazioni servono soprattutto per rivedere le procedure di emergenza necessarie nel caso in cui si debba intervenire manualmente sui sistemi del veicolo spaziale. Gli astronauti si occupano anche di verificare le condizioni generali della Soyuz e di preparare gli oggetti che dovranno riportare sulla Terra.
Distacco
Il giorno della partenza, i tre astronauti salutano i loro tre colleghi che restano a bordo della ISS ed entrano all’interno della Soyuz (i turni a bordo sono sfalsati con due equipaggi, in modo che sulla ISS restino sempre tre persone). Il portello della navicella viene chiuso e si verifica che non ci siano perdite che potrebbero portare alla depressurizzazione del veicolo. Con le tute spaziali addosso, gli astronauti si spostano dal modulo orbitale, che è quello con cui la Soyuz resta attraccata alla ISS nei loro sei mesi di permanenza a bordo, al modulo di discesa, nel quale resteranno fino all’arrivo sulla Terra. Il distacco della Soyuz avviene molto dolcemente grazie a una serie di molle che spingono gentilmente la navicella allontanandola dalla ISS: non sarebbe possibile usare i propulsori della capsula spaziale per farlo perché potrebbero danneggiare e contaminare le parti esterne della Stazione.
La navicella continua a spostarsi molto lentamente e in 3 minuti percorre circa 20 metri (velocità e distanze sono relative alla ISS, naturalmente il tutto avviene a una velocità sorprendente se riferita all’orbita che viene percorsa a quasi 28mila chilometri all’ora). La Soyuz si trova infine a una distanza di sicurezza dalla ISS e può accendere per 15 secondi i suoi motori in modo da aumentare sensibilmente la velocità di separazione. A seconda del punto di attracco utilizzato, la Soyuz può finire in un’orbita di poco più bassa o più alta rispetto a quella della ISS: nel primo caso viaggia a una velocità maggiore rispetto alla Stazione, nel secondo a una velocità inferiore; in entrambi i casi la differenza di velocità impedisce che quando l’orbita della Soyuz si interseca con quella della ISS si verifichi una collisione.
Manovre in orbita
Mentre la Soyuz continua ad allontanarsi dalla ISS, i controllori di volo sulla Terra inviano alla navicella i dati che serviranno al computer di bordo per eseguire automaticamente le procedure di rientro. In questa fase l’intervento degli astronauti è cruciale: hanno il compito di verificare la correttezza dei dati ricevuti e di approvare la sequenza di comandi che saranno eseguiti dai sistemi. La Soyuz deve inoltre lasciare l’orbita stabile in cui si trova per avvicinarsi alla Terra e l’unico modo per farlo è rallentare la sua velocità attraverso un “de-orbit burn”: viene acceso il motore principale che spinge in senso contrario rispetto a quello di marcia della navicella. La durata dell’accensione è calcolata con molta cura perché il rallentamento determinerà il momento e l’inclinazione con cui la Soyuz rientrerà nell’atmosfera: se si rallenta troppo poco c’è il rischio che la capsula rimbalzi sull’atmosfera e si perda nello Spazio, se si rallenta troppo si farebbe entrare la capsula con un angolo troppo elevato e questa si brucerebbe completamente disintegrandosi durante il rientro nell’atmosfera.
Bulloni esplosivi
Di solito il motore resta acceso per circa 5 minuti, cosa che in un’ora porta la Soyuz a ridurre l’altezza della sua orbita fino a sfiorare l’atmosfera. A mezz’ora dall’atterraggio e a un’altitudine di 140 chilometri, il modulo orbitale, quello di rientro e il comparto strumenti si separano tra loro: in pratica la navicella si divide in tre parti ed è il primo momento un po’ traumatico per gli astronauti. La separazione avviene attraverso una serie di bulloni esplosivi che, saltando in aria, liberano i giunti che tenevano assieme i moduli della Soyuz: gli astronauti all’interno del modulo di rientro sentono distintamente i colpi e le vibrazioni delle varie esplosioni. I tre moduli si separano in modo che non ci sia la possibilità di successive collisioni e quello di rientro sarà l’unico a tornare intero al suolo: gli altri due si distruggeranno nel loro impatto con l’atmosfera.
Surf nell’atmosfera
Il modulo di rientro ha uno speciale rivestimento e uno scudo termico per resistere alle temperature intorno ai 2000 °C che si sviluppano durante il suo passaggio negli strati dell’atmosfera. La traiettoria seguita dalla Soyuz in questa fase è simile a quella che segue un surfista per rimanere sull’onda: anche se è in caduta libera, la navicella può correggere la sua traiettoria ruotando su se stessa, questo comporta un lieve spostamento orizzontale che è comunque già calcolato al momento della selezione del punto di atterraggio. All’interno della capsula l’esperienza è “interessante” dice la maggior parte degli astronauti che l’ha provata, per chi è meno avvezzo a queste cose è terrificante: ci sono forti vibrazioni, dagli oblò si vede una luce rossa molto intensa (è il plasma), poi i vetri si scuriscono e non si vede molto altro, la navicella precipita verso il suolo a migliaia di chilometri all’ora e c’è solo da aspettare (sono previste manovre manuali in caso di emergenza).
In pochi minuti gli astronauti passano inoltre dalla quasi totale assenza di peso, in cui hanno vissuto per mesi, a percepire nuovamente la forza di gravità. Dopo 7 minuti di attraversamento dell’atmosfera, quando la capsula si trova a 35 chilometri di altitudine, la decelerazione è tale da fare percepire agli astronauti una forza che li schiaccia pari a 4 volte la forza di gravità. Sebbene non duri molto, si tratta di un modo piuttosto invadente per ricordare a chi torna dall’orbita come funzionano le cose sulla Terra da miliardi di anni, grazie alla gravità.
Quasi a terra
A circa 10,5 chilometri di altitudine, il viaggio verso il suolo della capsula inizia a essere meno turbolento: la velocità è ormai passata da 28mila a 800 chilometri orari ed è tempo di farla diminuire ulteriormente. Da un portello viene fatto uscire automaticamente un primo paracadute che frena la caduta del modulo di rientro in modo abbastanza repentino, tanto da fare avvertire agli astronauti un forte strattone verso l’alto mentre la capsula oscilla in aria girando su se stessa. A 8.500 metri dal suolo si apre il paracadute principale, che ha un’ampiezza di 100 metri quadrati e che fa rallentare ulteriormente il modulo della Soyuz portandolo a una velocità di circa 20 chilometri orari. L’aggancio alla capsula e il paracadute stesso sono fatti in modo da fare mantenere alla capsula una posizione inclinata rispetto al suolo, in modo che possa raffreddarsi più velocemente.
Anche se il viaggio inizia a essere molto più dolce e manca poco a toccare il suolo, per gli astronauti sono in arrivo altri scossoni. A 5.500 metri di altitudine dalla capsula vengono espulsi lo scudo termico e le coperture degli oblò, così come l’ossigeno e il carburante avanzati nella navicella, per ridurre al minimo le possibilità di un’esplosione nel momento in cui si arriva a terra. L’espulsione dello scudo termico rende utilizzabili i razzi collocati sul fondo del modulo di rientro della Soyuz, che serviranno per ridurre l’impatto al momento dell’atterraggio.
Atterraggio
La capsula viene di solito identificata dalle squadre di ricerca e soccorso quando sta attraversando gli strati più bassi dell’atmosfera, quindi ben prima che raggiunga il suolo. Questo sistema permette di raggiungere immediatamente gli astronauti e di aiutarli a uscire in sicurezza dal modulo di rientro. Quando mancano poche centinaia di metri all’atterraggio, i sedili della Soyuz si alzano dal fondo della capsula, in modo da avere spazio per ammortizzare l’impatto con il terreno.
A 70 centimetri dal suolo si attivano i retrorazzi sul fondo esterno della capsula che permettono di ridurre ancora la velocità portandola a 5 chilometri orari: nonostante questo accorgimento e gli ammortizzatori dei sedili, l’atterraggio non è così “morbido” come viene descritto dall’agenzia spaziale russa. L’effetto è simile a quello che si prova quando si ha un incidente stradale, inoltre la capsula dopo il colpo secco con il suolo vibra per qualche istante, altra sensazione descritta come poco piacevole da diversi astronauti.
A casa
Come prima cosa una volta a terra, l’equipaggio all’interno del modulo di rientro deve azionare il comando che sgancia il paracadute, in modo da evitare che le folate di vento improvvise nelle steppe del Kazakistan possano fare spostare la capsula appena atterrata. Gli astronauti sentono i rumori dei mezzi delle squadre di recupero che si avvicinano e le voci dei soccorritori che, dopo ulteriori verifiche delle condizioni del modulo di rientro, aprono infine il portello permettendo all’equipaggio di tornare a respirare per la prima volta dopo mesi un po’ di aria fresca (nei rientri d’inverno gelida, più che fresca).
Ogni astronauta viene sorretto da un paio di soccorritori mentre esce dalla capsula e viene fatto sedere quasi subito, per non causare troppo stress al suo organismo indebolito dalla vita in assenza quasi totale di gravità. Dopo la fotografia di rito vicino alla capsula che li ha portati sani e salvi sulla Terra, gli astronauti vengono trasportati a Baikonur per essere sottoposti a una serie di esami per valutare la loro salute e rivedere amici e familiari. Poi iniziano i giorni della riabilitazione fisica per rimettersi in forma, con la consapevolezza di essere entrati in un ristrettissimo club e la voglia di tornare in orbita.