I numeri del governo al Senato
Mercoledì il governo è stato battuto due volte nell'aula da cui dovranno passare le sue riforme più ambiziose e contestate
Mercoledì 10 giugno il governo è stato battuto due volte in Senato durante l’esame degli emendamenti al disegno di legge sul cosiddetto “omicidio stradale”, cioè una legge che inasprisca le pene contro chi provoca la morte di qualcuno attraverso un comportamento irresponsabile alla guida. Il Senato ha approvato due emendamenti sui quali il governo aveva dato parere contrario e su cui il relatore della legge si era rimesso al parere dell’aula. Questo incidente non compromette niente di definitivo ma farà probabilmente parlare della stabilità della maggioranza di governo al Senato, un tema importante soprattutto per la sorte delle riforme della Costituzione e della scuola, e in generale per la stabilità futura del governo Renzi.
Le proposte di modifica approvate nonostante il parere del governo erano state presentate dai senatori Luis Alberto Orellana (gruppo misto, ex M5S) e Marco Filippi (PD). Questi emendamenti, scrive il Corriere della Sera, attenuano le pene previste dal ddl del governo: «escludono l’estensione della pena della reclusione da sette a dieci anni ai casi in cui i conducenti di veicoli a motore cagionino la morte di una persona a seguito di attraversamento del semaforo rosso, inversione del senso di marcia, sorpasso in corrispondenza di un attraversamento pedonale». Martedì invece il governo era stato battuto in commissione Affari costituzionali riguardo un parere di costituzionalità sulla riforma della scuola: con 10 voti favorevoli e 10 contrari la posizione del governo non è passata, anche per l’assenza di tre senatori del Nuovo Centro Destra. Inoltre, durante la discussione sull’Italicum, lo scorso gennaio, erano stati decisivi al Senato i voti di Forza Italia – che è all’opposizione – per far andare avanti la legge elettorale. Alla fine della giornata, comunque, il disegno di legge sull’omicidio stradale è stato approvato con 163 voti favorevoli.
La maggioranza assoluta al Senato si ottiene con 161 voti. Il PD ne ha 113 ma in realtà sono 112, perché il presidente Grasso per prassi non vota. “Area Popolare” (NCD-UdC) ha altri 36 seggi, e insieme fanno 148. Poi ci sono 19 senatori del gruppo “Per le autonomie”, che non va confuso con “Grandi Autonomie e Libertà” che invece sta il più delle volte col centrodestra: fanno 167. Poi ci sono altri voti che arrivano a volte dal gruppo misto, compresi quelli dei senatori a vita, in tutto portano il conto teorico intorno a 170, ammesso che ci siano tutti e siano tutti d’accordo (da questo conto sono esclusi i due senatori dei Popolari per l’Italia che hanno lasciato la maggioranza pochi giorni fa, tra cui l’ex ministro Mario Mauro). Più concretamente, il Jobs Act è passato con 166 voti, l’ultima legge di stabilità con 162, il DEF con 165.
Allo stato attuale, quindi, il governo dovrebbe avere al Senato una maggioranza sottile ma stabile, e bisogna dire che a parte qualche saltuario inciampo non ha mai subìto sconfitte nei voti che contano. Questo tema però è collegato direttamente ai rapporti interni al Partito Democratico, soprattutto tra Matteo Renzi in quanto segretario e la minoranza sconfitta all’ultimo congresso e alle primarie: e durante la discussione della legge elettorale 22 senatori del PD votarono contro un emendamento – il cosiddetto “super-canguro” – che avrebbe impedito l’ostruzionismo. Dopo la decisione del governo di chiedere il voto di fiducia per approvare l’Italicum alla Camera, i rapporti tra le due correnti del partito vengono descritti come ulteriormente deteriorati.