Pagare la gente perché non uccida
Le frequentissime violenze di Baltimora stanno facendo riparlare del vecchio e discusso esperimento di Richmond
A Baltimora, città statunitense dello stato del Maryland, avvengono da anni molti più omicidi e con molta più frequenza rispetto alle altre città degli Stati Uniti: sono praticamente considerati parte della realtà urbana. Alla fine di aprile a Baltimora ci sono stati scontri piuttosto violenti tra manifestanti e poliziotti, cominciati dopo che si erano tenuti i funerali di Freddie Gray, un ragazzo nero di 25 anni morto mentre era in custodia della polizia: le violenze hanno aumentato la tensione in città e hanno fatto parlare molto del problema della sicurezza. Solo nel mese di maggio a Baltimora sono state uccise 43 persone.
«Ormai la violenza è diventata una questione di salute pubblica», ha detto Leana Wen, responsabile dell’assessorato alla salute. E ha aggiunto: «È come se fosse una specie di malattia contagiosa, che si trasmette da persona a persona lasciando moltissime vittime dietro di sé. Può sembrare una cosa molto negativa, e di fatto lo è, ma proprio come accade con le malattie anche in questo caso deve esistere una cura».
Più o meno dieci anni fa, in una città afflitta da questa stessa piaga, i funzionari pubblici considerarono attentamente le caratteristiche di questa malattia e cercarono una cura. Accadde a Richmond, una città di 100.000 abitanti in California, così violenta da essere stata più volte paragonata all’Iraq o a altre zone di guerra. Ad aprile del 2005 la situazione precipitò, il numero degli omicidi aumentò ancora e il consiglio comunale decise di dichiarare lo stato di emergenza. «Viviamo in tempi difficili che richiedono misure drastiche», commentò al tempo uno dei consiglieri comunali. Alcuni avevano chiesto delle ronde notturne con i cani, altri un utilizzo più capillare della videosorveglianza, soprattutto nelle zone più pericolose, alla fine vennero prese misure molto più estreme e radicali. La città chiese aiuto a Devone Boggan, un attivista con una preparazione da avvocato che si era occupato per anni di forme di violenza cronica. La sua proposta fu inusuale ma risolutiva. È semplice, disse: bisogna pagare le persone perché non uccidano.
In realtà la strategia è ben più complessa di così, ma per capire esattamente cosa ha fatto Devone Boggan – e perché – bisogna comprendere più a fondo da dove nasce la violenza in una città: non si può pretendere di curare una malattia senza considerare i fattori che la determinano. Per lavorare sulla violenza di Richmond, Boggan si lesse uno studio di 50 pagine in cui venivano ripercorsi dettagliatamente tutti gli episodi di violenza degli ultimi anni, i quartieri più a rischio e così via.
«Il rapporto individuava con precisione che tipo di persone commettono atti violenti, quali sono questi atti, e quando», ha detto Barry Krisberg, criminologo dell’Università di Berkeley. «Abbiamo scoperto che la violenza tendeva a concentrarsi in alcune aree specifiche e che le persone che commettevano i crimini nella maggior parte dei casi si conoscevano tra loro: la violenza è un legame e tende a trasmettersi di generazione in generazione». Secondo lo studio gli omicidi venivano commessi soprattutto da uomini neri di età compresa tra i 25 e i 35 anni, tra le 8 di sera e mezzanotte, in una zona particolare di Richmond, chiamata “Iron Triangle” (triangolo di ferro). Si trattava quindi di un gruppo ristretto di persone che si potevano influenzare reciprocamente, dato il legame di conoscenza individuato dallo studio. Partendo da questo presupposto Boggan capì che la vecchia tecnica del bastone e della carota non sarebbe stata sufficiente e che invece l’unico modo per risolvere alla radice il problema sarebbe stato garantire a queste persone una certa stabilità finanziaria, senza la quale altrimenti sarebbero tornate subito a commettere reati.
Boggan avviò ufficialmente il suo Centro per la sicurezza dei quartieri nel 2007. Lavorò velocemente per realizzare un progetto preciso: studiare la storia dei crimini di Richmond, stilare una lista dei principali criminali (scoprì che erano circa una cinquantina) e soprattutto trovare le persone giuste, che fossero in grado di lavorare con lui e di interagire con i giovani criminali, acquistando credibilità e fiducia e convincendoli ad aderire al programma in base al quale avrebbero ricevuto una paga mensile da circa 1.000 dollari – meno di 900 euro – per 18 mesi, a patto che si fossero astenuti dal commettere reati. Boggan riuscì a trovare i soldi per finanziare il progetto grazie alle donazioni delle onlus e anche di alcuni privati.
I risultati sono stati impressionanti. A partire da giugno 2010 ben 68 uomini – scelti tra i soggetti più pericolosi e a rischio – hanno accettato di partecipare: di questi 64 sono ancora vivi, 57 non sono più stati coinvolti in sparatorie e molti si sono rimessi a studiare o hanno trovato un lavoro. Il tasso degli omicidi a Richmond dal 2007 a oggi è sceso del 77 per cento: nel 2007 a Richmond erano state uccise 47 persone, mentre per ora nel 2015 si contano solo 3 omicidi. Resta comunque complicato stabilire se il merito di questi dati sia dovuto unicamente al programma di Boggan o se invece abbiano inciso anche altre fattori, come la diminuzione del tasso di omicidi nel paese, l’aumento della popolazione di Richmond, e l’arrivo nel 2006 di un nuovo capo della polizia, che ha da subito spronato i suoi uomini ad assumere un ruolo più attivo nella comunità, e ci sono anche opinioni scettiche sul fatto che questo modello sia replicabile o che possa ottenere simili risultati in altri contesti.
Indipendentemente da tutto questo, però, associazioni e gruppi di attivisti pensano che il programma di Boggan potrebbe funzionare anche a Baltimora, una città in cui invece il tasso di omicidi non cala da almeno 10 anni. Già da qualche mese la città ha provato ad attuare alcuni programmi specifici nelle zone più a rischio. Ma quei programmi, ha detto Wen, hanno una portata molto ristretta. E nessuno viene pagato per non uccidere: un elemento che, se si vuole davvero seguire la strada di Boggan, potrebbe essere necessario.
©2015 The Washington Post