Perché i francesi accettano gli stranieri solo nel rugby
L'Economist racconta i successi di una rara eccezione alla tradizionale autarchia del paese
L’ultimo numero dell’Economist ha dedicato un articolo ai notevoli successi delle squadre francesi di rugby degli ultimi anni, provando a chiedersi per quale motivo la presenza di stranieri nelle squadre più forti sia tollerata rispetto ad altri sport.
Per prima cosa l’Economist ha messo in fila alcuni dati sulla tradizionale “autarchia” della Francia: fra le prime 40 aziende più importanti del paese, solo tre hanno un capo di nazionalità straniera, e uno di questi – il 61enne di origini brasiliane Carlos Ghosn della Renault – ha fatto l’università in Francia e in seguito ha ottenuto la doppia cittadinanza. Nei sondaggi, secondo l’Economist, «i francesi risultano più ostili all’apertura dei mercati e alla globalizzazione persino dei cinesi e dei russi».
Tutto questo non si riflette sulle squadre del massimo campionato francese di rugby, la Ligue nationale de rugby, che da anni attrae giocatori importanti dall’estero anche a causa di un ottimo contratto per i diritti televisivi e un tetto al salario di 10 milioni di euro per squadra (il doppio di quanto permesso in Inghilterra). Racconta l’Economist:
Il forte Tolone ha nella propria rosa 25 giocatori stranieri su 49. Jonny Wilkinson, leggendario giocatore inglese, ci ha giocato per cinque anni. Oggi ci giocano i forti rugbisti Leigh Halfpenny (gallese), Matt Giteau (australiano) e Bryan Habana (sudafricano). Per il Tolosa, invece, giocano il neozelandese Luke McAllister e l’inglese Toby Flood. Persino il Brive, una squadra del dipartimento a concentrazione agricola di Corrèze, ha in squadra cinque giocatori che vengono dalle Figi e cinque sudafricani.
I risultati sono notevoli: il Tolone ha vinto le ultime tre edizioni della Champions Cup – la più importante competizione europea di rugby per squadre di club – l’ultima delle quali battendo in finale un’altra squadra francese, il Clermont. Anche la nazionale francese è fra le più forti al mondo (attualmente è settima nel ranking mondiale delle nazionali di rugby): negli ultimi vent’anni è arrivata due volte in finale di Coppa del Mondo (nel 1999 e nel 2011, perdendo rispettivamente contro l’Australia e la Nuova Zelanda) e ha vinto per sette volte il Sei Nazioni, il più importante torneo per nazionali di rugby europee (a due di queste edizioni partecipavano ancora cinque squadre).
Ma lo stesso atteggiamento di apertura verso gli stranieri non vale per il calcio, per esempio, uno sport in cui solo recentemente la nazionale francese ha raggiunto ottimi livelli e nel quale il massimo campionato francese – la Ligue 1 – è meno prestigioso e seguito di quelli di Inghilterra, Spagna, Germania e Italia. La maggior parte delle squadre di calcio francesi, anche ad alti livelli, è composta da giocatori francesi o di area francofona: il Paris Saint-Germain, dal 2011 di proprietà di un fondo del Qatar e unica squadra davvero “internazionale” fra quelle della Ligue 1, viene invece spesso criticata per avere assemblato una squadra di forti giocatori stranieri senza coesione o identità. Secondo un sondaggio citato dall’Economist, il 36 per cento delle persone contattate ritiene che l’immagine del PSG sia peggiorata dal 2011 a oggi, mentre il 91 per cento ritiene che il rugby francese abbia un’immagine migliore del calcio francese.
I motivi della disparità di trattamento fra calcio e rugby non sono chiari: l’Economist ha ipotizzato che abbia a che fare col fatto che il rugby francese abbia generalmente ottenuto più vittorie internazionali del calcio locale – per quanto riguarda le squadre di club – e con la generale «nobile discrezione» che viene legata al rugby, al contrario della «pacchiana ricchezza» associata al calcio.