Le indagini sugli scienziati italiani che studiano la Xylella
Ne scrive Nature, che racconta lo scetticismo e l'ostilità contro i ricercatori che in Puglia studiano la grave epidemia degli ulivi
Sul numero di questa settimana di Nature, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo, c’è un articolo che racconta la vicenda molto discussa in Italia della Xylella, il batterio che si pensa abbia infettato milioni di ulivi causando grandi danni alle piantagioni. L’articolo, intitolato “Scienziati italiani calunniati in seguito alle morti degli ulivi”, si occupa soprattutto delle iniziative legali che sono state avviate contro un gruppo di ricercatori in Puglia, che da anni sta studiando il problema della Xylella e della sua diffusione tra le piantagioni in Italia e in altri paesi europei. Negli ultimi mesi i ricercatori sono stati anche accusati da diversi movimenti locali di avere introdotto loro stessi il batterio e di averne favorito la diffusione con le loro ricerche.
La Xylella è un batterio tipico delle Americhe e si trova facilmente in California (Stati Uniti), Costa Rica e Brasile, mentre fino a poco tempo fa non esisteva in Europa. Le cose sono cambiate nell’autunno del 2013 quando l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (ISPS) del CNR, insieme con alcuni ricercatori dell’Università di Bari, ha scoperto che il batterio era responsabile di una malattia delle piante che stava colpendo numerosi ulivi pugliesi. Scoperta la presenza della Xylella, l’Unione Europea adottò una nuova serie di regole per rendere minima la diffusione del batterio in altri paesi. Ulteriori ricerche portarono poi alla conclusione che alla diffusione del batterio contribuisse una specie di sputacchina (un insetto simile alla cicala).
L’articolo di Nature racconta che nei primi tempi le misure suggerite dai ricercatori pugliesi – che comprendevano lo sradicamento, la distruzione delle piante contaminate e l’utilizzo di pesticidi per tenere alla larga gli insetti – furono osteggiate dai proprietari degli uliveti:
Ma i problemi per gli scienziati pugliesi iniziarono nell’aprile del 2014, quando alcune persone dissero alle autorità di sospettare che l’epidemia fosse stata causata da alcuni batteri portati dagli scienziati dalla California per un corso di formazione in Europa sulla Xylella presso l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (IAMB) organizzato nel 2010.
Gli scienziati si sono difesi dicendo che si tratta di un’accusa assurda, perché il ceppo di Xylella trovato in Puglia è diverso da quello usato per quel corso di formazione; la teoria più diffusa è che l’infezione sia stata causata in seguito al trasporto in Italia di alcune piante ornamentali provenienti dalla Costa Rica, il cui ceppo batterico di Xylella corrisponde a quello pugliese.
In seguito alle segnalazioni, l’autorità giudiziaria ha comunque avviato un’indagine per appurare le eventuali responsabilità dei ricercatori, cosa di cui si è parlato molto in Italia, soprattutto all’inizio di maggio quando sono state eseguite perquisizioni di computer e documenti presso l’Università di Bari, l’IPSP e in altri centri di ricerca secondari. A metà maggio sono stati sequestrati documenti anche presso la sede del ministero dell’Agricoltura a Roma, mentre lo IAMB ha volontariamente fornito altra documentazione.
Nature spiega di essersi messa in contatto con la procura per avere ulteriori informazioni, che però le sono state negate. Nell’articolo si dà anche conto di un’intervista con uno dei magistrati che sta seguendo l’inchiesta, Elsa Valeria Mignone, data a Famiglia Cristiana, nella quale si alludeva al fatto che la diffusione della Xylella potesse essere responsabilità dei ricercatori e che ci potessero essere altri interessi in ballo, per esempio quelli delle aziende per la produzione di energia solare, alla ricerca di nuovi spazi per i loro impianti e quindi favorevoli alla riduzione degli uliveti.
Il 12 maggio l’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie (AISSA) ha diffuso un comunicato nel quale ha espresso la sua solidarietà ai ricercatori pugliesi per il caso Xylella:
Se quella che viviamo fosse una storia di fantascienza, potremmo pensare che scienziati infedeli stiano tramando contro l’olivo del Salento, ma poi nel finale arriverebbero gli scienziati veri, quelli che hanno attendibilità scientifica e montagne di pubblicazioni, a salvarci dai deviati. Purtroppo il sequestro ha riguardato proprio i nostri, i ricercatori veri, quelli che tutti i giorni lavorano con tanta dedizione nei nostri laboratori: quindi ora chi ci salverà dai propagatori di notizie non provate, dai dietrologi, dai portatori di pregiudizi?
L’articolo di Nature ricorda anche che negli ultimi mesi i ricercatori pugliesi hanno avuto contro parte dell’opinione pubblica, citando tra gli altri il caso controverso di Peacelink, organizzazione non governativa che aveva segnalato alle autorità europee la possibilità che la causa dell’epidemia degli ulivi non fosse dovuta alla Xylella, ma a un fungo che poteva essere eliminato senza distruggere gli alberi: “una commissione di esperti dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha smentito queste ipotesi con un rapporto scientifico pubblicato ad aprile”.
Nonostante le difficoltà, i ricercatori stanno comunque lavorando per capire meglio la malattia degli ulivi e come si diffonde la Xylella, studio indispensabile per capire come fermarla. A fine maggio la regione Puglia ha annunciato lo stanziamento di 2 milioni di euro di fondi per studiare e monitorare meglio il problema. In alcune zone in provincia di Lecce il batterio è ormai endemico e sarà quindi impossibile eradicarlo, ma queste aree potranno essere usate come laboratori a cielo aperto per studiare il fenomeno. Ma tra inchieste giudiziarie e movimenti, il lavoro degli scienziati non è semplice e per certi versi è preoccupante per la comunità scientifica. Rodrigo Almeida dell’Università della California, Berkeley, e tra i massimi esperti al mondo di Xylella, ha condiviso la sua preoccupazione con Nature: “Gli scienziati in Puglia al lavoro sull’epidemia di Xylella hanno lavorato senza sosta per due anni: il riconoscimento per il loro impegno è stato quello di essere attaccati di continuo, non riesco nemmeno a immaginare come possa essere”.