Il declino del sumo
In Giappone è praticato da sempre meno bambini: per la vita complicata dei lottatori e perché è una disciplina percepita come poco "cool"
di Anna Fifield – Washington Post
Chikara Ymanobe ha cinque anni ed è quanto di più lontano possibile da un lottatore di sumo ci possa essere. È così magro che gli si vedono le costole e ha delle gambe poco più spesse delle braccia. Da grande vuole fare il lottatore di sumo. Dopo essersi allenato per un’ora in un dojo (palestra in giapponese) nel nord di Tokyo, Ymanobe ha detto: «Voglio diventare come Endo Shota», riferendosi al più talentuoso giovani lottatore del Giappone.
Bambini giapponesi si allenano a un centro sportivo di sumo a Tokyo, in Giappone. (Ko Sasaki for The Washington Post)
In Giappone il sumo è lo sport nazionale ma la sua popolarità sta calando, assieme alle sue tradizioni, i suoi riti shinto – una religione natia del Giappone – e all’esigenza di avere un corpo massiccio. I ragazzi giapponesi sono grandi appassionati di baseball, che al contrario del sumo gode di molto spazio televisivo in prima serata e permette di vendere un sacco di merchandising. È difficile trovare dei numeri che confermino questa tendenza, anche se qualche dato indicativo esiste. Per esempio la partecipazione al torneo Wanpaku – il più importante torneo per bambini di sumo in Giappone – è calata di circa la metà dal 1994 al 2014. Ventuno anni fa parteciparono al torneo 70mila bambini, lo scorso anno solo 33mila.
Un bambino giapponese si allena a un centro di sumo a Tokyo, in Giappone. (Ko Sasaki for The Washington Post)
La crisi del sumo in Giappone è mostrata anche dal fatto che di recente la disciplina è stata dominata da lottatori stranieri, tra cui alcuni molto forti che provengono da Mongolia, Bulgaria, Hawaii, Egitto e Georgia. In Giappone il declino del sumo è stato causato da un progressivo calo di interesse verso alcune tradizioni legate alla disciplina, come alcune regole molto rigide legate alla vita di un lottatore: gli aspiranti lottatori professionisti devono lasciare la scuola a 15 anni e frequentare un collegio dove tutto viene regolamentato, dalla dieta al taglio di capelli.
Un bambino giapponese si allena a un centro di sumo a Tokyo, in Giappone. (Ko Sasaki for The Washington Post)
Un altro fattore è la visibilità. Le gare di sumo si tengono di pomeriggio e vengono trasmesse quando i ragazzi sono ancora a scuola. Il pubblico che assiste agli incontri dal vivo è composto perlopiù da anziani e turisti. Mike Wesemann, un giornalista che dirige il blog SumoTalk, ha detto che in un certo senso è difficile per il sumo competere con altri sport più popolari: «Non è che un padre può dire a suo figlio, di domenica, “dai, andiamo a giocare a sumo”. Nel baseball e nel calcio ci sono magliette e cappellini che i ragazzini possono indossare. È difficile che dei bambini vadano in giro in perizoma per dimostrare quanto apprezzano il sumo. La questione è che nel sumo non c’è niente di “figo”, intorno».
Bambini giapponesi si allenano a un centro sportivo di sumo a Tokyo, in Giappone. (Ko Sasaki for The Washington Post)
I dirigenti della federazione di sumo conoscono bene questi problemi, e organizzano corsi e tornei per tentare di attirare bambini e ragazzi. Senza grande successo, però, visto che quando ne hanno la possibilità – cioè a scuola – i ragazzi scelgono piuttosto di frequentare corsi di judo o kendo.
C’è poi il problema dell’alimentazione: il papà di due giovane lottatori di 13 e 10 anni ha raccontato che «alcune squadre sportive scolastiche fanno mangiare i ragazzi fino alla nausea, mentre altre lasciano che sia tu a ingrassare. Se è quello che vogliono i miei figli, comunque, li appoggerò». Ma la madre dei due ragazzi non è così convinta: «non voglio che diventino così grossi, preparo loro sempre dei pasti equilibrati».
Shinju Taira, un ex lottatore che ora insegna sumo, ha detto di essere preoccupato che oltre allo sport svanisca anche la cultura tradizionale che ci sta attorno: nel sumo è previsto che i giovani lottatori facciano da “scudieri” ai più anziani ma che imparino anche ad accudire e allenare i più piccoli. Shinju ha detto che «è chiaro che non tutti i ragazzi diventeranno dei professionisti, ma stiamo anche cercando di allevare dei futuri leader, persone che possano comportarsi come tali nella nostra società».
©Washington Post 2015