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  • Sabato 30 maggio 2015

La “Grande muraglia di sabbia”, di nuovo

Gli Stati Uniti hanno detto che la Cina ha oltrepassato il limite e deve smettere di costruire isole artificiali nel tratto di Mar Cinese Meridionale conteso con altri paesi

(Ritchie B. Tongo/Pool Photo via AP)
(Ritchie B. Tongo/Pool Photo via AP)

Durante una conferenza internazionale a Shanghai, in Cina, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Ashton Carter ha criticato la cosiddetta “Grande muraglia di sabbia”, il piano del governo cinese per allargare o costruire da zero una serie di isole in un’area contesa del Mar Cinese Meridionale. Carter ha detto che tutti i paesi che hanno rivendicazioni nell’area devono “smettere immediatamente” di costruire, occupare o allargare isole esistenti e ha aggiunto che la Cina in particolare ha “oltrepassato i limiti” reclamando un’area superiore a quella di tutti gli altri paesi messi insieme.

Quella di Carter è stata una dichiarazione arrivata al termine di diverse settimane di tensioni crescenti tra i due paesi. L’Economist ha scritto che gli Stati Uniti stanno «perdendo la pazienza». Entrambi i paesi sono ansiosi di evitare ulteriori tensioni, ha scritto il settimanale, ma le azioni che gli Stati Uniti potrebbero intraprendere in futuro rischiano di essere viste come atti di aggressione dai cinesi. Ad esempio questa settimana l’aviazione americana ha inviato un aereo da ricognizione con a bordo un gruppo di giornalisti della CNN sopra uno degli atolli occupati dai cinesi. Le telecamere di CNN hanno registrato la voce piuttosto alterata di un ufficiale cinese che ordinava all’equipaggio, in inglese, di abbandonare immediatamente l’area.

Negli stessi giorni, il Global Times, un giornale cinese di proprietà statale che in genere viene considerato il portavoce della fazione più militarista e intransigente del governo, ha dichiarato che la guerra «sarà inevitabile» se gli Stati Uniti continueranno ad ostacolare lo sviluppo delle installazioni cinesi. Proprio in questi giorni il governo cinese ha pubblicato un documento ufficiale in cui ha annunciato la sua strategia navale per i prossimi anni: nel documento viene illustrato come l’obiettivo sia creare una Marina più efficiente e numerosa, in grado di intervenire in ogni zona del mondo e capace di intensificare i pattugliamenti anche nelle aree contese.

La “nine-dotted line”
Tutta la questione delle aree contese è nata nel 1947, quando l’allora governo cinese nazionalista – quello che oggi ha sede a Taiwan – fece alcune vaghe rivendicazioni su una serie di isole disabitate nel Mar Cinese Meridionale, alcune delle quali a migliaia di chilometri dalle coste cinesi e a poche decine da quelle di Vietnam, Filippine e Malesia. Unendo questi “nove puntini” (che all’inizio erano undici) si ottiene una forma ad “U” che occupa sostanzialmente l’intero Mar Cinese Meridionale. Nel 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese guidata dai comunisti, il nuovo governo fece proprie le rivendicazioni precedenti dei nazionalisti. Ancora oggi la questione rimane piuttosto indefinita, visto che la Cina non ha mai chiarito ufficialmente quali siano i confini delle aree che rivendica. Non sono chiari nemmeno i motivi per cui i cinesi dovrebbero rivendicare un’area così lontana dalle loro coste (alcuni accademici cinesi hanno suggerito ragioni storiche non meglio precisate).

South_China_Sea_vector.svg

La linea ottenuta collegando i nove puntini – che in inglese è indicata con l’espressione “nine-dotted line” – è in conflitto con le cosiddette “zone di sfruttamento economico esclusivo” di tutti i paesi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale: Filippine, Brunei, Malesia e Vietnam. Semplificando, si tratte di aree su cui, per le leggi internazionali, un paese gode di diritti economici esclusivi, in quanto situate entro 200 miglia nautiche dalle coste. La questione è ritornata di attualità nel corso del 2014, quando il governo cinese ha cominciato la costruzione di quella che è stato soprannominata la “Grande muraglia di sabbia”, cioè l’ingrandimento delle isole Paracel e Spratly, una serie di isolette e barriere coralline disabitate. Da mesi in queste zone si trovano navi cinesi che dragano sabbia dal fondo del mare e la utilizzando per ingrandire le isole e creare lo spazio per costruire installazioni militari. Di recente gli aerei da ricognizione americani hanno individuato le prime postazioni di artiglieria installate sulle isole.

La reazione americana è stata dura, ma secondo diversi esperti non abbastanza. Josh Rogin, un analista dell’agenzia Bloomberg, ha scritto che per il momento alle dichiarazioni americane non sono seguiti i fatti, come ad esempio un aumento dei pattugliamenti nelle aree contestate oppure la revoca delle esercitazioni congiunte con la Marina cinese previste per quest’anno. L’atteggiamento degli Stati Uniti è particolarmente scoraggiante per il Giappone, uno dei paesi che hanno varie dispute territoriali in corso con la Cina. Diversi giornalisti giapponesi hanno chiesto a Carter fino a dove sarebbero disposti a spingersi gli Stati Uniti per contrastare la Cina su questa questione, ma le risposte del segretario alla Difesa sono rimaste piuttosto vaghe.