Brick Lane sta cambiando
Un nuovo progetto immobiliare fa discutere del futuro di una delle strade più popolari di Londra
Brick Lane è una delle strade di Londra più famose e visitate dai turisti, soprattutto negli ultimi anni: si trova nell’East End, la zona nord-orientale della città, ed è soprannominata “BanglaTown” perché abitata soprattutto da immigrati provenienti dal Bangladesh, stabilitisi da anni nella zona con le loro famiglie. Il quartiere è conosciuto per le sue curry houses, i ristoranti di cucina indiana (è probabilmente il posto migliore di Londra dove mangiarla) e dagli anni Novanta per la sua street art: ci si trovano opere di Banksy, C215, Stik, ROA e altri importanti artisti di strada. Negli ultimi anni nella zona è in corso un processo di “gentrificazione”, cioè lo spostamento di fasce più agiate della popolazione in quartieri economici ma alla moda, che sta cambiando moltissimo la sua identità.
Brick Lane e le zone circostanti sono state sempre abitate soprattutto da immigrati: nel Seicento erano gli ugonotti, i protestanti scappati dalla Francia; nell’Ottocento sono arrivati irlandesi ed ebrei ashkenaziti; nel Novecento i bengalesi. Dagli anni Novanta anche molti artisti e studenti si sono trasferiti nella zona, attirati soprattutto dai prezzi bassi degli affitti. Negli ultimi anni è in corso un processo di gentrificazione e il quartiere – come molti altri prima di lui – rischia secondo alcuni di essere stravolto: persone che lo abitano da decenni dovranno lasciare le loro case a causa degli affitti sempre più alti e per lo stesso motivo chiuderanno molte curry houses. Il processo è in corso da tempo: il famoso mercato di Petticoat Lane ha un terzo delle bancarelle di 15 anni fa mentre quello di Spitalfields, conosciuto per i suoi artigiani, è occupato quasi solo da grandi catene. Ora però, racconta Sitala Peek di BBC, il cambiamento di Brick Lane rischia di essere accelerato da un’associazione no profit, la EastendHomes.
La EastendHomes è una “housing association”, un’associazione privata e no profit che – com’è frequente in Regno Unito – fornisce case a prezzi popolari alle persone meno ricche. Le housing association sono indipendenti ma regolate dallo Stato; ricevono spesso fondi pubblici e reinvestono i ricavi per ristrutturare e costruire nuove case economiche. EastendHomes progetta di demolire le vecchie case popolari costruite dal municipio locale, abitate dalle famiglie bengalesi, e rimpiazzarle con appartamenti moderni da rivendere sul mercato privato. L’obiettivo è trovare fondi per costruire altrove nuove case popolari. Gli oltre 600 abitanti, coinquilini e affittuari la cui casa rischia di venire demolita, temono di non avere altra scelta che andarsene dal quartiere: sarebbe infatti troppo costoso ricomprare o affittare una delle nuove case che verranno costruite. Il risultato sarà anche una frammentazione della comunità bengalese, che vive compatta nel quartiere da decenni.
Lo scorso aprile EastendHomes ha spiegato agli abitanti delle case popolari di Brick Lane che le loro case sono «non adatte per essere abitate da persone». Già nel 2014 alcuni residenti avevano ricevuto un primo avviso di demolizione, mentre EastendHomes ha già demolito alcuni edifici nel vicino Denning Point. L’affitto mensile di un trilocale appena costruito in quella zona costa quasi 3.000 sterline (circa 4.000 euro), mentre per comprare un bilocale servono 600 mila sterline (circa 850 mila euro). Oggi invece affittare un trilocale delle case popolari di Brick Lane costa circa 540 sterline al mese (770 euro), mentre EastendHomes ha detto che offrirebbe massimo 350 mila sterline (500 mila euro) per un trilocale in caso di ingiunzione di vendita. Sharon Hayward, coordinatrice della London Tenants Federation, un’organizzazione che rappresenta inquilini e fornitori di case popolari di Londra, parla di «pulizia sociale» e dice che questo genere di operazioni ha quasi sempre come conseguenza la «perdita delle case popolari». Anche i nuovi appartamenti prevedono alcune case a prezzi economici: si tratta però dell’80 per cento del costo di mercato anziché del 30 o 40 per cento come nelle case popolari.