In Libano manca il presidente da un anno
Il mandato di Michel Suleiman è terminato lo scorso 25 maggio: da allora il Parlamento ha votato 23 volte, senza successo
Il mandato dell’ultimo presidente del Libano, Michel Suleiman, è terminato lo scorso 25 maggio: da allora il Parlamento ha votato ventitré volte cercando di raggiungere il quorum necessario per nominare un nuovo capo di Stato, senza riuscirci. Da un anno, dunque, il Libano è senza un presidente: si tratta del vuoto più lungo dalla fine della guerra civile (1990) e diversi analisti pensano che la situazione non si sbloccherà in tempi brevi. Con oltre un milione di rifugiati nel suo territorio, il Libano è coinvolto in vari conflitti regionali e nella crisi della vicina Siria: Hezbollah sta infatti combattendo con le forze del presidente Bashar al Assad.
Secondo la Costituzione del Libano, il presidente deve essere eletto dai due terzi del Parlamento al primo turno e da una maggioranza semplice nei turni successivi: ma servono sempre i due terzi dei voti per convocare l’elezione. Il Parlamento conta in totale 128 seggi. Il presidente del Libano non ha poteri reali, ma la sua posizione è molto importante nel delicato equilibrio di potere di un paese che garantisce la rappresentanza alle varie confessioni religiose.
I principali aspiranti presidenti sono tre: da una parte c’è l’alleanza “14 marzo”, sunnita e filo-occidentale, che difende la candidatura di Samir Geagea, leader delle Forze Libanesi; al suo interno però i socialisti progressisti del deputato Walid Jumblatt sostengono la candidatura di Henri Helou. Il movimento “8 marzo” guidato da Hezbollah, l’organizzazione politico-militare sciita considerata terrorista da Israele e Stati Uniti, alleata di Siria e Iran, sostiene Michel Aoun, capo del Movimento patriottico libero. Le due principali formazioni politiche della politica libanese, “8 marzo” e “14 marzo”, prendono il nome dalle date di due distinte grandi manifestazioni del marzo 2005, nate dopo l’uccisione dell’allora premier Rafiq Hariri (quella del 14 marzo fu organizzata da Saad Hariri, figlio del premier ucciso, e portò a quella che in occidente venne chiamata “Rivoluzione dei Cedri”). Secondo la tradizionale divisione dei poteri del paese, il capo di Stato libanese è un rappresentante della comunità cristiano maronita.
La situazione in Libano è molto delicata. Nel febbraio del 2014 il primo ministro Tammam Salam, musulmano sunnita, era riuscito a formare un nuovo governo dopo 10 mesi di tentativi. Salam era stato nominato nell’aprile del 2013 dopo le dimissioni del suo predecessore Najib Mikati. Il paese era fino agli anni Settanta uno dei più ricchi del Medio Oriente e Beirut era considerata una meta turistica molto ambita: tra il 1975 e il 1990 ha attraversato però una durissima guerra civile che ha inasprito le divisioni etniche e religiose del paese. In Libano, infatti, convivono musulmani sunniti (in gran parte rappresentati dal “Movimento 14 marzo”), musulmani sciiti (come gli appartenenti al movimento Hezbollah) e cristiani. La guerra civile siriana ha peggiorato la situazione.
In Libano sono arrivati dall’inizio della guerra più di un milione di rifugiati siriani. Gestire un tale numero di persone è un impegno notevole, soprattutto per un paese che ha poco più di 4 milioni di abitanti. Inoltre i principali gruppi politici si sono più o meno apertamente schierati con le fazioni in lotta in Siria: semplificando, sciiti e cristiani parteggiano per il regime di Assad, insieme con Hezbollah; i sunniti invece sono più vicini ai ribelli siriani e ostili al regime.
Il vuoto presidenziale dell’ultimo anno ha generato un blocco istituzionale: i lavori del Parlamento procedono a rilento e questo ha ripercussioni su questioni economiche, sociali e anche in materia di sicurezza. A causa della mancanza di un accordo sul nome del futuro presidente, inoltre, le elezioni parlamentari che dovrebbero svolgersi ogni quattro anni sono state posticipate. L’ultimo Parlamento è stato eletto nel 2009. L’inviata delle Nazioni Unite per il Libano ha invitato i partiti politici libanesi a trovare con «urgenza» un accordo sul nome del nuovo capo dello Stato: «Il vuoto ha contribuito alla polarizzazione politica del paese in un momento in cui il Libano deve compiere uno sforzo collettivo per salvaguardare il Paese dall’impatto della crisi siriana».