Cosa c’è nelle email di Hillary Clinton
Per ora niente di particolarmente scandaloso, scrive il Washington Post, a parte la prova che non ha corretto uno dei suoi vecchi difetti
di Karen Tumulty – Washington Post
A quelli preoccupati che la campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2016 somigli a quella incasinata e caotica di otto anni fa, i suoi consiglieri rispondono spesso: guardate ai suoi anni da Segretario di Stato, un archetipo di lucida efficenza manageriale. Alcune email mandate e ricevute da Hillary Clinton durante i suoi anni al Dipartimento di Stato – rese pubbliche in questi giorni, dopo settimane di equivoci e polemiche – mostrano che almeno uno dei suoi vecchi difetti esiste ancora: l’incapacità di tenere separato il suo lavoro dai suoi alleati politici di lungo corso.
L’email del suo account privato, che Hillary Clinton tra molte polemiche ha utilizzato anche per le cose di lavoro durante i suoi quattro anni al Dipartimento di Stato, mostrano che passò ai suoi collaboratori almeno 25 documenti sulla Libia scritti da un suo vecchio amico e alleato, Sidney Blumenthal, che ha 66 anni ed è un vecchio assistente di suo marito Bill, esperto di politica estera e oggi consulente per aziende e politici: uno che riguardo la Libia ha diversi interessi d’affari ma nessuna particolare esperienza diplomatica. Inoltre, Hillary ha inoltrato questi documenti anche dopo che la Casa Bianca le aveva impedito di assumere Blumenthal al Dipartimento di Stato: i collaboratori di Obama lo avevano giudicato inaffidabile e troppo chiacchierone con la stampa.
Il mondo di Hillary Clinton non è mai stato riassumibile su un grafico gerarchico. Oltre a tenere i rapporti con chi lavora per lei, Clinton mantiene una vasta rete di vecchi amici e alleati politici. Questa cosa non è un male di per sé, né Clinton è la prima a usare amici e consiglieri privati durante un incarico politico. Ma come ha insegnato la sua campagna elettorale nel 2008, Clinton tende a creare un ambiente in cui le responsabilità non sono chiare e ogni decisione viene successivamente messa in discussione all’interno dello stesso circolo di persone che l’ha presa.
Queste sue comunicazioni con Blumenthal sono arrivate all’attenzione della commissione della Camera che sta indagando sui fatti di Bengasi, cioè l’attacco del settembre 2012 al consolato statunitense in Libia nel quale fu ucciso l’ambasciatore J. Christopher Stevens con altri tre americani: una storia molto controversa, su cui i Repubblicani da tempo accusano Barack Obama, Hillary Clinton e i Democratici di non aver fatto quanto in loro potere per evitare guai e di aver mentito successivamente. Nei suoi promemoria, Blumenthal – che gli impiegati del Dipartimento di Stato identificavano solo come “un amico di HRC”, dove HRC è l’acronimo delle iniziali di Hillary Clinton – diceva che le sue informazioni erano “intelligence” raccolta da fonti descritte come “estremamente sensibili” o “estremamente ben posizionate”. In molti casi i funzionari del governo esperti di cose libiche hanno espresso scetticismo.
Un funzionario che ha letto questi documenti ha detto che il Dipartimento sapeva che questa “fonte segreta” era vicina a Hillary Clinton e “sembrava avere qualche conoscenza” del Nord Africa “ma non moltissima”. La stessa fonte ha detto che leggeva con attenzione quei documenti per essere sicuro che Clinton non “prendesse come fatti” racconti che erano perlopiù gossip politici. Blumenthal inviò a Clinton anche email riguardo la situazione in Egitto.
Rispondendo ai giornalisti sulla questione, Clinton ha detto di avere “moltissimi vecchi amici”. E ha aggiunto: “Quando sei un personaggio pubblico, quando hai un incarico ufficiale, devi fare in modo di non chiuderti in una bolla. Sono solita sentire le opinioni di un piccolo gruppo di vecchi amici e continuerò a parlare con loro, chiunque essi siano”. Lo staff di Clinton comunque ha cercato di mettere qualche distanza tra lei e alcune delle informazioni inaffidabili contenute nei documenti scritti dai suoi amici. “Sid Blumenthal ha condiviso spontaneamente pensieri e suggerimenti riguardo molte questioni. Non era un dipendente del governo e nessuno gli chiese di farlo”, ha detto il portavoce di Hillary Clinton.
Lo stesso Blumenthal ha minimizzato la sua influenza su Hillary Clinton. “Di tanto in tanto, come amico e come privato cittadino, ho condiviso con Hillary Clinton idee e materiali che pensavo potesse trovare interessanti o utili, provenienti da fonti che consideravo affidabili”, si legge in un comunicato diffuso dallo studio legale del suo avvocato. Ma questa storia è l’ultima di una lunga serie, nel caso di Hillary Clinton, e conferma le opinioni di chi sostiene che sia circondata da gruppi di persone con gli interessi più disparati e a volte avversari tra loro.
«Lei non è paranoica, non credo, ma vuole attorno un po’ di paranoici», ha detto un ex assistente di Hillary Clinton disposto a parlare solo sotto anonimato visto il fastidio di Clinton per i suoi collaboratori che parlano ai giornalisti senza essere autorizzati. Un altro ex collaboratore ha detto che Clinton premia chi mostra «una combinazione di lealtà, cieca devozione e voglia di combattere per lei: chi non si tira indietro quando si tratta di difenderla e anzi non ci pensa due volte».
Da questo punto di vista, Blumenthal ha dato molte prove del suo valore: al punto che una delle ragioni per cui la Casa Bianca ha obiettato alla sua assunzione al Dipartimento di Stato fu che Blumenthal era considerato responsabile della circolazione di voci e notizie false su Barack Obama durante la campagna elettorale per le primarie dei Democratici nel 2008. Hillary Clinton crede nel valore di queste tattiche e nelle persone disposte a metterle in pratica. Quando suo marito fu sconfitto alle elezioni dell’Arkansas nel 1980, perdendo la rielezione, lavorò a un piano per farlo tornare al potere; una delle prime cose che fece fu assumere Dick Morris, consulente politico che lavorava con i Repubblicani ed era noto per come sapeva andarci pesante con i suoi avversari. In un’intervista, Morris ha raccontato perché secondo lui Hillary Clinton lo assunse: «La ragione principale per cui le piacevo era che facevo un sacco di spot negativi sugli avversari di suo marito e vedevo la politica come la vede un combattente. Lei la vede allo stesso modo».
Quando la presidenza di Bill Clinton traballò dopo le elezioni di metà mandato del 1994, Hillary Clinton da first lady giocò un ruolo importante nel riportare Morris nel giro della Casa Bianca. Non ha mai fatto segreto di considerare “disfattisti” i consiglieri di suo marito, ha detto un suo assistente, e che questo avrebbe reso complicata la sua rielezione alla Casa Bianca nel 1996. La mossa fu così surrettizia che gli stessi consiglieri di Bill Clinton per un po’ non seppero nulla del ruolo di Dick Morris; i messaggi telefonici di Morris erano lasciati con nome in codice “Charlie”. “Il presidente lo coinvolse in un’operazione segreta contro la stessa Casa Bianca: un golpe del comandante in capo contro i suoi colonnelli”, ha scritto l’ex assistente George Stephanopoulos, oggi importante giornalista politico, nella sua autobiografia. “I due pianificavano le loro azioni in segreto, di notte, al telefono, via fax”.
La campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2008 ebbe problemi simili. Chi ci lavorò ricorda che c’erano troppi consiglieri che sgomitavano riguardo ogni importante decisione, e nessuno che avesse l’autorità per dire loro di smetterla. Il suo staff del 2016 è stato costruito tenendo a mente questi errori. Solo pochi dei suoi collaboratori del 2008 sono ancora al loro posto; invece è stata assunta una serie di persone brave a lavorare con dati, più giovani, prive di contatti di lunga data con i Clinton. Inoltre il nuovo presidente della campagna elettorale, John Podesta, è stato scelto proprio per le sue doti particolari. «Con Podesta a fare il capo, le regole cambiano», ha detto un vecchio amico dei Clinton. «Una delle grandi doti di Podesta è la sua capacità di mandare le persone a quel paese». In altre parole, stanno costruendo un tipo di campagna elettorale molto diverso. La domanda è se anche la candidata sarà un tipo di Clinton molto diversa.
© Washington Post / 2015