«Non passa lo straniero»
Cento anni fa l'Italia entrò nella Prima guerra mondiale, che fu una guerra di aggressione in cui gli italiani attaccarono un loro ex alleato
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
All’alba del 24 maggio 1915, esattamente cento anni fa, l’esercito italiano sparò i primi colpi di cannone contro le truppe austriache: era l’inizio della Prima guerra mondiale, il conflitto più sanguinoso nella storia dell’Italia. Quel giorno è celebrato nel primo verso della “Canzone del Piave” (“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio”) che proprio in questi giorni è stato ripreso da molte forze politiche che stanno celebrando la ricorrenza utilizzando anche un altro verso della canzone: “Non passa lo straniero”. Si tratta di un richiamo all’odierna situazione dell’immigrazione che viene paragonata agli sforzi dei soldati italiani per fermare il nemico durante la Prima guerra mondiale. Quel 24 maggio gli aggressori erano però gli italiani, ed era l’Italia ad aver dichiarato guerra contro quello che fino a pochi giorni prima era un suo alleato.
L’Italia fu formalmente alleata di quello che sarebbe diventato il suo nemico, l’Impero Austroungarico, fino al 4 maggio del 1915, cioè appena tre settimane prima della dichiarazione di guerra. Si trattava di un’alleanza piuttosto innaturale, considerato che per tutto il Risorgimento l’Austria era stata il nemico storico del Regno di Sardegna (che poi sarebbe diventato l’Italia unita). Non solo: nel 1915 l’Austria controllava ancora Trento e Trieste, due città che gran parte delle forze politiche del nostro paese consideravano italiane e desideravano annettere, con le buone o con le cattive. Le cose però cambiarono verso la fine dell’Ottocento, quando un cambiamento di alleanze in tutta Europa portò a un ribaltamento dei fronti. Dopo l’Unità, i governi italiani decisero di impegnarsi in una serie di avventure coloniali in Africa, dove il rivale principale dell’Italia divenne la Francia, che aveva moltissimi interessi nel continente africano. Per fronteggiarla, i governi italiani decisero di fare causa comune con i loro vecchi nemici e nel 1882 firmarono un’alleanza difensiva con Austria e Germania (difensiva significava che l’Italia sarebbe entrata in guerra soltanto nel caso che uno dei suoi alleati fosse stato attaccato).
Nel giro di pochi anni si vide chiaramente quanto questa alleanza fosse limitata e innaturale. Per prima cosa, l’Italia firmò degli accordi segreti con il Regno Unito, che rendevano le clausole dell’alleanza invalide nel caso di guerre tra Regno Unito e l’alleanza. Qualche anno dopo clausole simili furono firmate anche con la Francia, di fatto svuotando il significato del trattato da parte italiana. Gli austriaci, dal canto loro, non furono molto più onesti. Quando nel 1908 l’esercito italiano fu inviato ad aiutare la popolazione di Messina colpita da un devastante terremoto, il comandante in capo dell’esercito austriaco propose di attaccare l’Italia a sorpresa per riprendersi i territori persi durante il Risorgimento. Fu in questo clima di sospetto e sfiducia reciproca che nel giugno del 1914 l’erede al trono austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando, fu assassinato a Sarajevo, dando inizio alla Prima guerra mondiale.
L’inizio della guerra apriva tre diversi scenari al governo guidato da Antonio Salandra, un ex giornalista conservatore di origini pugliesi. Il primo era quello di entrare in guerra accanto agli alleati tedeschi e austriaci. Non era una scelta legalmente vincolante, era stata l’Austria ad attaccare la Serbia, e non sembrava nemmeno la più conveniente. Un’Austria vittoriosa sarebbe stata un paese ancora più forte e meno incline a cedere territori all’Italia (si era parlato di una cessione di Trento, ma quella di Trieste fu categoricamente esclusa). Qualcosa di simile poteva essere raggiunto anche negoziando la neutralità e promettendo di non “attaccare alle spalle”. In questo caso sarebbe stato possibile estorcere all’impero qualche concessione, probabilmente Trento e con maggiore difficoltà Trieste. Inoltre, se l’Austria fosse stata sconfitta, era probabile che anche senza combattere l’Italia avrebbe potuto ottenere anche Trieste. L’ultima alternativa era la più radicale: cambiare completamente fronte, allearsi con francesi e inglesi e riprendersi Trento e Trieste con le armi.
Salandra decise di non decidere e per quasi un anno il suo governo rimase neutrale, ma senza pregiudicarsi alcuna alternativa. Mentre milioni di soldati tedeschi, austriaci, serbi, russi, francesi e inglesi si affrontavano lungo i fronti francese, polacco, balcanico e turco, i diplomatici italiani sondavano il terreno per individuare quale fosse l’alternativa più conveniente per il governo italiano, mentre spie e faccendieri si incontravano in segreto scambiando offerte sottobanco e facendo filtrare proposte alle ambasciate. Nel frattempo, la politica interna aveva provveduto a eliminare completamente almeno una delle alternative. Il movimento nazionalista e irredentista, che chiedeva la fine della neutralità e la guerra contro l’Austria, si era fatto sempre più forte. Anche se era minoritario poteva contare su un grosso appoggio da parte dei giornali e di figure pubbliche di grande notorietà, come il poeta Gabriele D’Annunzio. Combattere accanto all’Austria era oramai diventato politicamente impossibile. Si trattava solo di capire se il paese avrebbe potuto guadagnare di più dalla neutralità oppure da un’aggressione al suo vecchio alleato.
Alla fine, il tavolo delle contrattazioni fu vinto da francesi ed inglesi. Il 26 aprile a Londra, nel corso di un incontro segreto, i diplomatici italiani firmarono un patto che impegnava l’Italia ad entrare in guerra contro l’Austria nel giro di un mese. Una settimana dopo il governo italiano comunicò a quello austriaco che considerava concluso il trattato di alleanza che univa i due paesi. La guerra, a quel punto, era oramai questione di tempo. I due paesi iniziarono a rafforzare le truppe che presidiavano il confine tra i due paesi – che all’epoca correva da Rovereto, a sud di Trento, fino a Cividale e Palmanova, in Friuli. La sera del 23 maggio l’ambasciatore italiano a Vienna consegnò al ministro degli Esteri austriaco la dichiarazione di guerra:
Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l’Italia, fiduciosa del suo buon diritto ha considerato decaduto il trattato d’Alleanza con l’Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale, lo ha dichiarato per l’avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d’azione.
Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e degli interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali.
S.M. il Re dichiara che l’Italia si considera in istato di guerra con l’Austria-Ungheria da domani.
Per i tre anni successivi, un milione e mezzo di soldati italiani si scontrarono con un milione di soldati austriaci in una serie di sanguinose battaglie combattute nello stretto spazio, cento chilometri appena, che separa Treviso da Gorizia e lungo il fronte ancora più stretto che correva dalla Val d’Adige all’Altopiano di Asiago. In tutto, più di 650 mila soldati italiani e quattrocentomila austriaci furono uccisi per la scelta del governo di allora di riprendere con le armi le “terre irredente”.