A che punto è l’Italia sulle unioni civili
È rimasto l'unico paese dell'Europa occidentale che non le regolamenta: storia delle proposte di legge passate, e di quella in discussione del governo Renzi
di Luca Misculin – @LMisculin
Ad oggi in Europa occidentale c’è ancora un solo paese a non avere nemmeno una legge che regolamenta il matrimonio o le unioni civili per gli omosessuali: l’Italia (la nozione di “Europa occidentale” è discussa: anche la Grecia, per esempio, non ha una legge di questo genere). Eppure l’Europa è il continente che ospita il maggior numero di paesi in cui il matrimonio omosessuale è stato equiparato a quello eterosessuale, nonostante in diverse nazioni dell’Europa orientale il matrimonio omosessuale sia vietato dalla Costituzione. Il matrimonio gay è legale in Francia, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Belgio, Islanda, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia e Lussemburgo. Le unioni civili sono invece legali in altri paesi, come Germania e Austria.
In Italia si discute da almeno trent’anni di una legge che preveda una forma di riconoscimento per le unioni omosessuali, finora senza successo. Il primo governo a tentare di rimediare – al netto di isolate proposte di leggi presentate negli anni Ottanta e Novanta – fu quello di Romano Prodi in carica dal maggio 2006 al gennaio 2008, il quale però alla fine decise di concentrarsi su altri provvedimenti. Il governo attualmente in carica ha ripreso in mano la questione dopo anni di sostanziale inattività avanzando una nuova proposta di legge sulle unioni civili, che è stata descritta come una sintesi di nove proposte di legge già esistenti. La relatrice del disegno di legge è la senatrice Monica Cirinnà del Partito Democratico.
In Italia, comunque, esiste da sempre una certa resistenza ad occuparsi della questione, anche a causa della forte contrarietà della Chiesa Cattolica. Ancora nel 2007 la Chiesa contribuì ad organizzare il cosiddetto “Family Day”, una grossa manifestazione dei movimenti cattolici contro la proposta di legge sulle unioni civili del governo Prodi. In Italia le posizioni contrarie al riconoscimento delle coppie omosessuali sono storicamente condivise da movimenti e partiti cattolici conservatori e partiti di destra: al “Family Day” parteciparono fra gli altri i principali capi politici del centrodestra di allora, fra cui Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini. Ma negli anni alcune proposte vicine ai movimenti cattolici sono state condivise da diversi politici cattolici del centrosinistra: ancora pochi mesi fa 35 senatori del Partito Democratico hanno chiesto delle modifiche al disegno di legge Cirinnà, criticando «l’equiparazione così netta tra le unioni civili omosessuali al matrimonio».
Un po’ di storia
In Italia la questione del matrimonio gay o delle unioni civili non è citata nella Costituzione, a differenza ad esempio di altri paesi europei come la Polonia e la Bulgaria in cui il matrimonio omosessuale è esplicitamente vietato. La prima proposta di legge sulle unioni civili fu presentata nel 1988 dalla deputata socialista Alma Agata Cappiello, ma non fu mai discussa. Durante la legislatura dei vari governi di centrosinistra fra il 1996 e il 2001, diversi politici del centrosinistra presentarono disegni di legge senza che venissero mai calendarizzati nei lavori parlamentari. Nel frattempo, l’8 febbraio 1994 il Parlamento Europeo aveva approvato una risoluzione che invitava la Commissione Europea a rimuovere «gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni».
Nel 2005 i DS (Democratici di Sinistra) presentarono i cosiddetti Patti civili di solidarietà (PACS), che prevedevano l’introduzione di alcuni diritti per le coppie conviventi eterosessuali e omosessuali, come ad esempio la reversibilità della pensione. Il governo di centrodestra decise di non occuparsi della questione. L’8 febbraio 2007, durante il secondo governo Prodi, il ministro della Famiglia Rosy Bindi e il ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini fecero approvare dal Consiglio dei ministri il disegno di legge sui cosiddetti DICO, sigla che stava per “DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi”. I DICO prevedevano un riconoscimento delle coppie omosessuali ed eterosessuali non sposate, a cui venivano riconosciuti nuovi diritti per quanto riguardava ad esempio la successione, la pensione e i contratti di affitto. I DICO furono giudicati negativamente sia dagli attivisti per i diritti dei gay, che li ritenevano troppo limitati, ma anche da numerosi associazioni cattoliche e partiti di centrodestra che invece li giudicarono eccessivi. Circolò molto ai tempi una frase molto infelice dell’allora presidente della CEI Angelo Bagnasco, che durante un’assemblea della diocesi di Genova disse: «Perché dire no, oggi, a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell’incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?».
Le proteste dei cattolici contro i DICO culminarono nel “Family Day” indetto a Roma per il 12 maggio 2007: parteciparono più di 200mila persone fra cui gli allora ministri del governo di centrosinistra Clemente Mastella e Giuseppe Fioroni. Il governo Prodi cadde nel gennaio 2008, quando la discussione sui DICO era comunque già stata accantonata.
Nel 2014 si è riparlato brevemente di unioni civili col governo Letta, ma non si è mai arrivati a una decisione definitiva. Nel frattempo alcuni comuni italiani come quello di Roma, Bologna e Milano hanno cercato di trovare una soluzione provvisoria iscrivendo nei registri di stato civile i matrimoni celebrati all’estero fra coppie gay, equiparandoli di fatto ai matrimoni eterosessuali per quanto riguarda gli affari comunali. La decisione del comune di Roma, in particolare, era stata contestata dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e bloccata dal prefetto di Roma: il 10 marzo 2015, però, il TAR del Lazio ha dato ragione al Comune, approvando la trascrizione delle coppie nel registro delle unioni civili.
Nel frattempo, sul tema delle unioni civili si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, interpellata sulla questione del matrimonio fra persone dello stesso sesso dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento: nella storica sentenza 138 del 2010, la Corte scrive per esempio:
«In tale nozione [della forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione] è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
A che punto siamo, quindi?
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi a marzo aveva fatto sapere che sperava di riuscire ad approvare la legge Cirinnà entro la primavera. In realtà la legge è stata solamente approvata dalla Commissione giustizia del Senato, la quale però nei giorni scorsi ha ricevuto 4200 proposte di emendamento. 282 emendamenti sono stati presentati dal solo Carlo Giovanardi, senatore di Nuovo Centrodestra noto per le sue posizioni cattoliche molto conservatrici. Non è chiaro quali saranno i tempi della sua approvazione, né come si comporteranno i senatori del PD che hanno chiesto alcune modifiche nel caso il testo della legge rimanga lo stesso.
Il testo del disegno di legge Cirinnà è composto da 19 articoli riuniti in due titoli: il primo si occupa di unioni civili, il secondo disciplina la convivenza. All’articolo 1 si stabilisce che due persone dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. I matrimoni contratti all’estero, e i matrimoni nei quali un coniuge abbia cambiato sesso, potranno essere riconosciuti come unioni civili.
Dal disegno di legge rimangono escluse dalla legge le adozioni – una coppia omosessuale non può adottare un bambino “terzo” senza legame con uno dei due partner, come possono fare le coppie eterosessuali – ma si prevede l’estensione per le unioni civili tra persone dello stesso sesso della cosiddetta Stepchild Adoption, cioè l’adozione del bambino che è già riconosciuto come figlio di uno solo dei due. Per quanto riguarda il regime giuridico nelle unioni civili tra persone dello stesso sesso, e cioè i rispettivi diritti e doveri, residenza, abusi familiari, interdizione, scioglimento dell’unione, si applicano gli articoli del codice civile relativi al matrimonio: stessi diritti e stessi doveri. Nel disegno di legge sono riconosciuti alla coppia i diritti di assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione e i doveri previsti per le coppie sposate.