C’è un altro buco da 728 milioni di euro
La Commissione Europea ha bocciato una norma della Legge di stabilità 2015: Renzi ha detto che il governo troverà i soldi mancanti senza aumentare il prezzo della benzina
Venerdì 22 maggio la Commissione Europea ha bocciato il cosiddetto “reverse charge”, una norma introdotta nella Legge di stabilità 2015 che, secondo il governo italiano, avrebbe dovuto generare 728 milioni di euro di nuove entrate nel corso del 2015. La norma è stata bocciata perché, come è stata formulata dal governo, viola le norme europee: la Commissione ha deciso così di non concedere la deroga che il governo italiano aveva chiesto per poter applicare lo stesso il “reverse charge”. Il risultato della bocciatura della norma è un buco di 728 milioni di euro, rispetto a quanto era stato preventivato dalla Legge di stabilità.
Proprio per tutelarsi dal rischio di bocciatura da parte della Commissione, il governo italiano aveva inserito nella Legge di stabilità una “clausola di salvaguardia” che prevede un aumento delle accise sulla benzina per coprire l’eventuale gettito mancante. Venerdì sera, nel corso del programma televisivo “Bersaglio Mobile” in onda su La7, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che il governo troverà un’altra soluzione per coprire il buco di 728 milioni senza bisogno di ricorrere alla “clausola di salvaguardia”.
Il “reverse charge”, o “inversione contabile”, è una pratica che esiste già nel settore edilizio e che la legge di stabilità aveva esteso anche alla grande distribuzione (i supermercati, per intendersi). Con il reverse charge viene invertito l’obbligo di versare l’IVA che passa dal venditore all’acquirente. Per il consumatore finale, cioè i normali cittadini, il meccanismo non avrebbe cambiato nulla: le cose però sarebbero cambiate per i fornitori della grande distribuzione.
In una situazione normale il supermercato paga il suo fornitore includendo nella fattura anche l’IVA. Il fornitore però non versa automaticamente l’IVA, ma controlla se con lo stato è in credito o in debito facendo i conti su quanta IVA ha ricevuto e quanta ne ha versata (anche il fornitore, infatti, fa acquisti dai suoi fornitori pagando loro l’IVA in fattura). Con il reverse charge non è più il fornitore a versare l’IVA, ma è l’acquirente (il supermercato, nel nostro caso). Se quindi il fornitore è in una situazione di credito IVA nei confronti dello stato, non dispone più della liquidità che gli dava il supermercato, ma deve fare domanda allo stato per ricevere un credito di imposta. I tempi per ricevere questi rimborsi sono molto lunghi e il fornitore avrebbe rischiato di trovarsi in situazione economiche molto difficili. I critici della norma l’avevano definita una specie di “prestito forzoso” allo stato.