I problemi del nuovo Bologna calcio
I proprietari nordamericani della squadra hanno diversi progetti e vogliono rifare lo stadio, ma hanno già speso molti soldi e c'è la questione di tornare in Serie A
Giorgio Burreddu ha raccontato sulla rivista Undici gli ultimi complicati mesi del Bologna FC, la più importante squadra di calcio di Bologna, che quest’anno gioca la Serie B per la prima volta dopo diversi anni e che in ottobre è stata acquistata da alcuni imprenditori nordamericani. Burreddu racconta che nonostante gli ingenti investimenti fatti negli ultimi mesi – il nuovo proprietario Joey Saputo ha già speso 20 milioni di euro, fra vecchi debiti e acquisti di calciatori – i risultati non sono quelli sperati: il Bologna da alcune settimane ha perso il secondo posto, l’ultimo che qualificava direttamente alla Serie A, e per accedervi dovrà cercare di vincere i playoff.
La dirigenza ha recentemente esonerato Diego Lopez, l’allenatore assunto a inizio stagione, e dal 4 maggio il nuovo allenatore è l’esperto Delio Rossi. In tutto questo, la dirigenza prevede ancora di ristrutturare il vecchio stadio Dall’Ara, di costruire un museo dedicato alla squadra e un nuovo campo sportivo. Il guaio è che per continuare su questa strada, come ha detto il nuovo amministratore delegato Claudio Fenucci contattato da Burreddu, «bisogna prima tornare in A».
«Il calcio è come la musica: bisogna andare a tempo per capirlo». Le urla di Delio Rossi, acute e stridule, risuonano nella conca umida di Casteldebole. Martedì 5 maggio, le 15. Caldo che si soffoca. Delio ciondola nella sua immagine di allenatore profetico. Tra le mani stringe quattro pezzi di carta su cui deve aver appuntato le idee di un calcio d’avanguardia, gli schemi, i movimenti teorizzati e poi inchiostrati; ogni dieci passi li consulta con la stessa drammaticità di chi ha scordato un brano del Vangelo, prima di adagiare un altro birillo sul campo.
Ne ha già piazzati qua e là una ventina, lungo tutto il perimetro, formando una ragnatela di plastica gialla e rossa comprensibile a lui soltanto. Andrebbe ricercato un senso gnoseologico, invano. Fermo da più di un anno, al primo allenamento Delio si è presentato con la tuta sgualcita e la t-shirt bianca. Il cappellino sulla testa sembra la mitra papale, il fischietto un rosario. “Forza, dài, muovete quel culo”, dice ai giocatori. Sarà una settimana lunghissima.
Appena un’ora prima lo avevano condotto in sala stampa. Delio aveva risposto con la pacatezza di un savio alle domande dei cronisti su che cosa lo avesse convinto a scegliere Bologna, perché adesso, a tre partite dalla fine del campionato, e se davvero sperava di riuscire a riportare la squadra in Serie A nonostante il momentaccio. Lui era rimasto in silenzio. Aveva fissato un punto oltre il plotone dei giornalisti, oltre le telecamere pronte a sparare, oltre l’irragionevolezza. Sembrava un Dustin Hoffman appena più spelacchiato e corroso dall’insonnia. «Faremo di tutto, ma io non sono un pranoterapeuta», aveva detto infine allungando le mani sulla platea.
Era cominciato l’ultimo stadio della metamorfosi rossoblù, iniziata alcuni mesi prima con l’insediamento di una nuova proprietà, quella di Joey Saputo, poi con la nuova dirigenza, e ora con un nuovo allenatore, Delio Rossi, l’uomo con il compito di centrare la promozione affinché il futuro del Bologna possa uscire dalla polvere. Dovrà prima vincere i play-off di Serie B.