La riforma della scuola, in Francia
Ci sono state manifestazioni e scioperi contro il disegno di legge sostenuto dal governo di Manuel Valls e dal presidente François Hollande
Martedì 19 maggio ci sono state a Parigi e in diverse altre città della Francia manifestazioni e scioperi indetti dal più grande sindacato nazionale degli insegnanti contro la riforma del sistema scolastico presentata dalla ministra dell’Istruzione Nazionale Najat Vallaud-Belkacem, del governo socialista di Manuel Valls e del presidente François Hollande.
Secondo il ministero, allo sciopero hanno aderito il 27,6 per cento degli insegnanti delle scuole pubbliche e il 6,7 per cento degli insegnanti delle scuole private; secondo uno dei principali sindacati che ha promosso lo sciopero, invece, la partecipazione ha superato il 50 per cento. La differenza tra queste due percentuali è dovuta ai metodi di calcolo utilizzati da entrambe le parti. Il sindacato è partito da un campione di 10 mila insegnanti in servizio nel giorno dello sciopero, mentre il ministero dal numero dei docenti in sciopero rapportati al numero totale dei docenti impiegati nelle scuole che sono oggetto della riforma: i collèges.
I collèges corrispondono in Italia al ciclo scolastico delle medie: durano però 4 anni e si articolano in sixième, cinquième, quatrième, troisième. Nella riforma –che dovrebbe entrare in vigore nel 2016 e riguarda 3,2 milioni di iscritti – si parla di maggiore autonomia alle scuole, di riduzione del numero degli studenti per classe, di riduzione dell’insegnamento del greco e del latino, di momenti di lavoro collettivo in piccoli gruppi, di sostegno e di interdisciplinarità. Ci sono diversi punti della riforma che sono contestati, non solo dagli insegnanti: da partiti di destra, da diversi ex ministri dell’istruzione sia di destra che di sinistra, da alcuni esponenti del Partito Socialista e da vari specialisti dell’educazione e sociologi. Dopo la protesta la ministra Najat Vallaud-Belkacem, che aveva definito degli «pseudo intellettuali» gli oppositori della riforma, ha ribadito con convinzione che la nuova legge «si farà».
Greco e latino
Al collège, l’opzione del latino era disponibile dal settembre del 1996 per gli studenti della classe quinta: all’inizio del 2000 gli studenti che avevano scelto latino erano circa il 20 per cento del totale, ma dal 2006 la percentuale aveva cominciato a diminuire soprattutto negli anni successivi alla quinta: nel 2013 era al 18 per cento e attualmente, tra gli studenti della terza, è al 15. Per quanto riguarda il greco, solo il 2,2 per cento degli studenti a partire dalla terza sceglie di studiarlo.
Il nuovo progetto di legge prevede che venga dato un minore spazio all’insegnamento del greco e del latino. Nella prima versione della riforma era prevista la cancellazione dello studio di queste lingue, giudicate dall’attuale ministra dell’Educazione Nazionale “troppo elitarie”. Di fronte alle proteste che già erano cominciate alla fine di marzo, il testo è però stato modificato: gli insegnamenti di greco e latino saranno diluiti in otto nuovi corsi chiamati “insegnamenti pratici interdisciplinari” (EPI), tra cui compare anche quello di “Lingue e culture dell’antichità” che sarà però facoltativo. È stato anche previsto un insegnamento supplementare per gli studenti che vogliono approfondire lo studio del latino: ma anche i più motivati si vedranno dimezzate le ore dedicate alla disciplina.
Storia
Il nuovo testo prevede che l’insegnamento della storia venga distinto in due: ci saranno degli argomenti obbligatori e altri scelti direttamente dagli insegnanti. La polemica, soprattutto politica, si è concentrata su quali temi rendere obbligatori e quali no. A destra e all’estrema destra, la norma è stata interpretata come una concessione all’insegnamento della storia dell’Islam tale da portare a una sua prevalenza su quella del Cristianesimo. I nazionalisti hanno denunciato il fatto che verrebbero sottolineate tematiche “del pentimento” legate alla tratta degli schiavi o alla colonizzazione, e non a sufficienza la storia dei Lumi e del “romanzo nazionale”.
Entrambe le polemiche, scrive Le Monde, hanno poco fondamento: l’insegnamento dell’Islam è già obbligatorio dalla quinta classe, cioè per gli alunni di età superiore ai 12 anni, mentre Illuminismo ed eredità cristiana sono già considerati argomenti obbligatori.
Maggiore autonomia
Il nuovo sistema prevede che circa il 20 per cento del programma scolastico possa essere gestito in autonomia dalle scuole. La ministra ha detto che questo permetterà maggiori iniziative da parte dei professori, una maggiore innovazione nell’insegnamento e una risposta educativa più vicina alle esigenze degli studenti. Molti insegnanti però interpretano questo principio come un modo per dare solo maggiori poteri ai presidi. Un altro pericolo segnalato da alcuni sindacati è che lo sviluppo di un piano di offerta educativa variabile accentui le differenze di qualità tra istituti, a scapito delle scuole di periferia.
Interdisciplinarità
La legge introduce le lezioni interdisciplinari, a cui potranno partecipare più docenti allo stesso tempo e che in alcune scuole sono già state attivate in via sperimentale. Si tratta di otto nuovi tipi di corsi che verranno proposti nel quinto, quarto e terzo anno: ci sono “lingue e culture dell’antichità”, “sviluppo sostenibile”, “salute e sicurezza”, “cultura e creazione artistica”. Secondo alcuni insegnanti i risultati di questo nuovo modello scolastico non sono ancora stati dimostrati ed è troppo presto per mettere in discussione il modello tradizionale “un’ora per ciascuna disciplina”, al quale verrebbe comunque sottratto del tempo.
Non c’è, precisa Le Monde, una contrarietà di principio degli insegnanti contro l’interdisciplinarità, ma parte di loro pensa che questo nuovo metodo che ha l’obiettivo di favorire la partecipazione degli studenti, «evitare la noia» e «creare un clima di fiducia», ma non faccia altro che promuovere una visione ludica della scuola e non insegni agli studenti lo sforzo e la concentrazione. Secondo alcuni, poi, durante questi corsi verrà sottratta a ciascun insegnante parte della sua “libertà didattica”.
Classi bilingue
La riforma prevede anche una modifica delle classi bilingue, che esistono nel sistema scolastico francese dei collèges da 10 anni e riguardano il 16 per cento degli studenti. Le due lingue più studiate in queste classi (che partono dalla sesta) sono inglese e tedesco. L’opzione è considerata dal governo troppo elitaria. La riforma prevede quindi l’apprendimento di una seconda lingua per tutti a partire dalla quinta piuttosto che dall’anno successivo. Distribuendo la seconda lingua su tre anni invece che su due si alleggeriranno inoltre i programmi, secondo la ministra, lasciando spazio per gli insegnamenti interdisciplinari.
I critici vedono in questa riforma una minaccia per lo studio della lingua tedesca, insegnata soprattutto a partire dalla creazione delle classi bilingue. Altri denunciano un sovraccarico per gli studenti alcuni dei quali non padroneggiano ancora la grammatica francese.