La Camera ha approvato la riforma della scuola
Il disegno di legge passerà ora all'esame del Senato: è stato approvato, senza modifiche sostanziali, con 316 favorevoli e 137 contrari
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge sulla riforma della scuola chiamato dal governo “La Buona Scuola”. Hanno votato sì 316 deputati, no 137. Davanti a Montecitorio sono in corso manifestazioni e proteste. Il disegno di legge passa ora all’esame del Senato.
Il ddl “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” era stato presentato lo scorso 27 marzo in Parlamento, dopo una consultazione pubblica che era durata diversi mesi e aveva coinvolto quasi due milioni di persone, secondo i dati del governo. Dopo l’approvazione alla Camera la proposta passa ora all’esame del Senato dove il percorso potrebbe essere più complicato soprattutto a causa dei numeri su cui conta la maggioranza. Al Senato, inoltre, i tempi saranno molto stretti. Scrive il Sole 24 Ore: «Per essere a regime dal prossimo anno scolastico la riforma – che sconta anche la pausa della prossima settimana ai lavori parlamentari per dare spazio alle elezioni amministrative – dovrà essere licenziata dal Parlamento entro la metà di giugno».
La novità più importante dopo la discussione alla Camera rispetto al testo originario riguarda la cancellazione dell’articolo 17 e cioè della possibilità per i contribuenti di finanziare la scuola, pubblica o paritaria, con il 5 per mille. Dopo lo stralcio, nato da una mediazione tra minoranza e governo, la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini ha comunque spiegato: «Non si accantona né si abbandona l’idea di introdurre il meccanismo molto utile e produttivo: il governo si impegna comunque, ritenendo valido il principio che introduceva questo articolo, cioè la possibilità anche per la scuola di ricorrere al 5 per mille, a riproporre, una volta trovati fondi diversi cercando una copertura aggiuntiva rispetto a quelle già stanziate, la norma in un successivo provvedimento che magari affronti temi di natura fiscale».
Oltre all’emendamento sul 5 per mille non ci sono state modifiche sostanziali al testo e sono stati approvati tutti i punti su cui si sono concentrate le proteste degli ultimi giorni. Sono stati approvati gli articoli che contengono le finalità del provvedimento e che parlano di autonomia scolastica cioè di una maggiore libertà nella gestione degli edifici, della didattica, dei progetti formativi e dei fondi a disposizione di ogni singola scuola; il bonus di 500 euro per l’aggiornamento dei professori, il bonus (di 200 milioni l’anno) per la valutazione del merito dei docenti, il curriculum dello studente previsto dall’articolo 3 con la soppressione però della contestata norma che prevedeva tra i finanziamenti esterni dei percorsi formativi anche quelli derivanti dalle sponsorizzazioni.
Nei giorni scorsi la Camera aveva approvato le detrazioni (per un massimo di 400 euro all’anno per studente) delle rette per la frequenza delle scuole paritarie di ogni ordine e grado, il rafforzamento del collegamento fra scuola e mondo del lavoro, nuovi stanziamenti per il piano digitale e i laboratori e il piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato che riguarderà i vincitori del concorso del 2012 e gli iscritti nelle graduatorie fino a esaurimento. Si tratta dei famosi 100 mila precari.
Inoltre è stato approvato l’articolo che attribuisce ai presidi il potere della ‘chiamata diretta’ e senza più graduatorie degli insegnanti dei propri istituti. Su quest’ultimo punto sono passati due emendamenti leggermente correttivi: il primo, del PD, per favorire la trasparenza che introduce l’obbligo di mettere on line sul sito della scuola il curriculum dei professori. Il secondo, del M5S, stabilisce che non ci possa essere parentela tra preside e professore della scuola. Sono in molti, comunque, a continuare a sostenere che ai presidi sarà dato un eccessivo potere e che questo potrebbe danneggiare non tanto i docenti che non hanno, secondo le valutazioni di quello stesso preside, un curriculum adeguato, ma per esempio – come già funziona nel settore privato – le giovani donne. Quello dei presidi sarà molto probabilmente il punto di cui si discuterà maggiormente al Senato.
Infine è stato approvato il limite della durata dei contratti di lavoro a tempo determinato: la norma non è retroattiva, quindi i 3 anni inizieranno dall’entrata in vigore della riforma, e prevede che i contratti del personale docente, educativo e amministrativo, per i posti vacanti e disponibili, non possano superare i 36 mesi anche non continuativi. Non è chiaro che cosa succederà una volta terminati questi 36 mesi. In passato sembrava che l’orientamento fosse garantire un contratto al termine dei 36 mesi, ma nel testo attuale della legge questa possibilità non è esplicitamente ribadita – e quindi c’è il rischio che dopo 36 mesi il personale non possa più lavorare.