Cosa dicono i documenti di Snowden della morte di Bin Laden
Non sostengono né smentiscono una volta per tutte la controversa tesi di Seymour Hersh, ma forniscono qualche dettaglio in più
Negli ultimi giorni si è molto parlato di un lungo e controverso articolo sulla morte di Osama bin Laden, scritto dal giornalista statunitense Seymour Hersh. In quell’articolo Hersh accusa l’amministrazione Obama di aver mentito, inventando una storia falsa su come nel maggio del 2011 Osama bin Laden fu trovato e ucciso ad Abbottabad, in Pakistan. Il 18 maggio il sito The Intercept – diretto da Glenn Greenwald e da altri giornalisti diventati famosi soprattutto grazie all’inchiesta sulla NSA e i documenti di Edward Snowden – ha pubblicato una serie di informazioni relative proprio all’uccisione di Bin Laden. Le informazioni vengono dai documenti di Snowden e riguardano proprio alcuni dei punti toccati da Hersh nel suo articolo.
I documenti, scrive The Intercept, «non confermano e nemmeno negano in maniera esplicita nessuna delle informazioni scritte da Hersh» ma «fanno riferimento a certe informazioni importanti per il dibattito». The Intercept precisa anche che i documenti in suo possesso sono solo una parte di quelli che riguardano la morte di Bin Laden.
Le due versioni
La versione ufficiale dell’amministrazione Obama è che gli Stati Uniti rintracciarono la posizione di Bin Laden attraverso un suo corriere. Una volta localizzato Bin Laden, fu organizzato un raid “unilaterale” (il Pakistan non ne era quindi a conoscenza) delle forze speciali che terminò con l’uccisione di Bin Laden, che poi durante il viaggio di ritorno fu sepolto in mare.
La versione di Hersh – scritta in un articolo di 10mila parole – è molto diversa e dichiara falsi e inventati gran parte degli elementi della ricostruzione ufficiale. Secondo Hersh già dal 2006 Bin Laden era prigioniero dei servizi segreti pakistani, che nel 2010 si accordarono con i servizi segreti statunitensi. Bin Laden non fu, secondo Hersh, trovato e arrestato dopo un blitz armato ma semplicemente consegnato dai pakistani agli statunitensi, in seguito a un accordo economico-militare tra i due stati.
Ned Price, portavoce della Casa Bianca, ha commentato l’articolo di Hersh dicendo che contiene «troppe inesattezze e asserzioni infondate» e ha ribadito che l’operazione è stata «unilaterale» e «confinata a uno stretto circolo di funzionari statunitensi». E anche molti altri giornali e siti d’informazione hanno accusato la versione di Hersh di essere debole, contraddittoria, incoerente e priva di qualsiasi prova, a parte il racconto di due persone, una senza informazioni dirette e una di cui non si conosce il nome. L’articolo, pubblicato dalla London Review of Books, sarebbe stato scritto per il New Yorker, che si sarebbe però rifiutato di pubblicarlo non valutandolo abbastanza attendibile.
I documenti di The Intercept
I documenti di The Intercept riguardano per prima cosa il “mezzo” grazie al quale i servizi segreti statunitensi sarebbero – secondo la versione ufficiale – arrivati al corriere di Bin Laden. Secondo The Intercept non ci sono – né nelle richieste di budget della CIA (necessarie per ottenere i finanziamenti per le sue operazioni) né nelle comunicazioni interne della NSA – chiari ed espliciti riferimenti a un corriere: «questa presunta mossa d’intelligence compare raramente nelle comunicazioni interne della NSA». Gli autori dell’articolo spiegano che dai documenti di The Intercept emerge che fu grazie a intercettazioni di quel tipo che si arrivò a Bin Laden, ma che comunque in quei documenti non è ben spiegato il come si arrivò a quel determinato corriere.
Nel suo articolo Hersh accusa anche gli Stati Uniti di aver appositamente messo nella casa in cui fu ucciso Bin Laden materiali poi usati come prove della sua pericolosità e della sua importanza in al Qaida. The Intercept scrive che i documenti a sua disposizione non mostrano – perlomeno fino al 2011 – l’evidenza di importanti informazione d’intelligence ottenute grazie ai materiali trovati in quella casa.
Restano due importanti questioni riguardo alle conseguenze della morte di Bin Laden: secondo l’amministrazione Obama nel 2011 Bin Laden era ancora un importante leader di al Qaida (per Hersh era invece già prigioniero – e quindi ininfluente – dal 2006). E poi, secondo Hersh il Pakistan fu per anni complice degli Stati Uniti, mentre secondo la ricostruzione ufficiale degli Stati Uniti il Pakistan non ebbe invece alcun ruolo nell’operazione militare che uccise Bin Laden. The Intercept cita in questo caso la NATO, che in una relazione del maggio 2011 scrisse che la forza dei talebani sarebbe rimasta fondamentalmente inalterata nonostante l’uccisione di Osama. Altri documenti mostrano invece che il Pakistan protestò e chiese spiegazioni per il raid degli Stati Uniti, avvenuto all’interno del suo territorio: cosa che supporterebbe la versione ufficiale.
Tutti i documenti citati e utilizzati da The Intercept sono liberamente consultabili: i link per leggerli sono riportati alla fine dell’articolo.