Gli sbagli della Corte Costituzionale sulle pensioni
Alessandro Penati spiega su Repubblica perché i "diritti acquisiti" sono un "triplo salto mortale logico"
Sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima una norma della “legge Fornero” che annullava l’adeguamento di alcune categorie di pensioni all’inflazione, i temi di discussione sono soprattutto due, anche se spesso vengono confusi. Uno è se la stessa Corte abbia preso una decisione “corretta” secondo i termini previsti dalla Costituzione, e l’altro è – preso atto comunque della sentenza avvenuta – con quali interventi rispondere a ciò che la sentenza stabilisce: se con un nuovo intervento legislativo (questa volta accettabile in base alla sentenza) che mantenga solo in parte quello che diceva la legge Fornero, o se ritenendo invece quella norma completamente annullata dalla sentenza. In sostanza – ed è quello di cui si discute di più adesso – quanti e quali pensionati siano interessati dai criteri esposti dalla Corte.
Sulla prima questione, invece, torna oggi l’economista Alessandro Penati su Repubblica, per spiegare come secondo lui la Corte abbia sbagliato e quello del mantenimento dei “diritti acquisiti” sia un luogo comune infondato e una scusa fragile.
Da più di vent’anni gli interessi dei giovani, di chi lavora, degli imprenditori, sono sacrificati sull’altare dei Diritti Acquisiti. E ogni volta che un governo cerca di contenere la spesa pensionistica, basta invocare i Diritti Acquisiti.
ESI blocca tutto. Così ha fatto la recente sentenza della Corte Costituzionale, dichiarando illegittimo il blocco temporaneo dell’indicizzazione. «È un discorso di Diritti Acquisiti che vengono violentati » ha dichiarato il signor Cardinale, il cui ricorso è alla base della sentenza della Corte. La pensione è diventata un diritto economico garantito per sempre dalla Costituzione: neppure lo Stato, una volta che l’abbia concesso, lo può più toccare. Sembra ineccepibile. Invece è incoerente.
Lo Stato concede a chi sottoscrive il suo debito pubblico il diritto a incassare gli interessi e ricevere il rimborso del capitale alla scadenza. Se lo Stato rischia l’insolvenza perché non ha risorse sufficienti per onorare il proprio debito, i Diritti Acquisiti, costituzionalmente garantiti o meno, devono essere subordinati a quelli dei creditori. Non è una questione giuridica, ma di buon senso: se per onorare i Diritti Acquisiti dei pensionati, rispettando la volontà della Corte Costituzionale, agli occhi degli investitori rischia l’insolvenza, lo Stato dovrà prima pagare più interessi, aumentare le tasse e ridurre le spese, scaricando il costo dei Diritti Acquisiti sul resto del Paese. Se poi si arrivasse al default, non ci sarebbero più i soldi neanche per le pensioni. La norma dichiarata illegittima dalla sentenza era proprio tesa a scongiurare il rischio (allora reale) di default.
In che cosa consista, in pratica, la violazione dei Diritti Acquisiti, l’ho capito ascoltando casualmente alla radio il signor Cardinale: a fronte dei contributi versati, lo Stato gli aveva promesso un certo tenore di vita in età pensionistica; se avesse saputo che la promessa non sarebbe stata mantenuta, avrebbe fatto altre scelte in età lavorativa, per esempio risparmiare di più per costituire una pensione integrativa.
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