Com’è fatto il padiglione del Giappone di Expo
È tutto molto tecnologico e multimediale, dalle finte risaie al ristorante del futuro: da vedere
Il Giappone ha uno dei padiglioni posizionati più in fondo lungo la via principale del Decumano di Expo 2015, tra quelli di Monaco e Slovacchia, ma è anche uno di quelli in cui c’è più coda per entrare. Se non volete perderlo vi conviene andarci appena entrati a Expo, perché in alcuni momenti della giornata l’attesa può arrivare intorno all’ora e il percorso all’interno dura circa 40-45 minuti.
Il padiglione giapponese – progettato dall’architetto Atsushi Kitagawara – è sicuramente uno dei più ragionati, a partire dal tema che affronta: “Diversità Armoniosa”, poiché spiegano le guide all’ingresso “nelle diversità coltivate nel nostro paese vi è una grande potenzialità per contribuire alla risoluzione di questioni globali, come le risorse nutrizionali”. Anche il simbolo del padiglione, un logo con il motivo dell’Iwaibashi – un tipo di bastoncino che viene usato a tavola per le occasioni di festa, con le estremità più sottili – è stato disegnato per richiamare la E della scritta Expo. La struttura del padiglione è in pratica una griglia tridimensionale in legno, come richiamo alle risorse rinnovabili, ed è stato costruito con una fusione di tecniche tradizionali, analisi strutturali moderne e il metodo di tensione compressiva (in cui i singoli elementi sono collegati con sistemi di aggancio e giuntura per ottenere un sostegno resistente anche ai terremoti, frequenti in Giappone).
Il percorso all’interno della struttura è suddiviso in varie stanze, collegate tra loro per creare un percorso continuo per i visitatori. Si comincia entrando in una stanza che contiene alcune tipiche stampe giapponesi (ukiyo-e), rappresentanti le quattro stagioni, e uno schermo su cui viene proiettato un breve filmato. Poi si prosegue in un altro ambiente, completamente buio, che viene illuminato da immagini e luci proiettate sulle pareti formate da specchi (tramite una nuova tecnologia di projection mapping), in cui viene ricreato in modo molto scenografico l’ambiente tipico delle risaie giapponesi.
Andando avanti con la visita si entra in una stanza che contiene “la Cascata della Diversità”, un’installazione che simula l’effetto di una cascata blu di acqua che cade dal soffitto, contenente informazioni su agricoltura, cibi e cultura alimentare giapponese. I visitatori potranno toccare le immagini che scendono con la finta cascata d’acqua per leggere le informazioni sul loro cellulare. C’è poi un corridoio in cui sono appese numerose vetrine contenenti i vari cibi tipici della cucina giapponese, come il sushi, il sashimi, i granchi e molte varietà di pesce. Nella stanza successiva ci sono le soluzioni creative proposte dal Giappone, per affrontare i problemi del mondo in modo innovativo: ci sono quattro “terre interattive” (dei mappamondi illuminati) su cui scorrono i dati e le immagini dei problemi da risolvere, con le relative soluzioni.
Per finire i visitatori entreranno in un finto ristorante, dove si svolge lo spettacolo finale (molto carino per i bambini, simpatico per gli adulti, ma si può anche scegliere di uscire prima). Qui due “camerieri” spiegheranno agli “ospiti” il significato delle parole giapponesi “Itadakimasu” e “Gochisousama” (sono due espressioni che si usano prima e dopo i pasti, che significano più o meno “grazie per il cibo che ricevo” e “grazie per il cibo ricevuto”) e guideranno il pubblico attraverso una serie di giochi interattivi per raccontare il cibo come viene vissuto in Giappone. Prima di uscire si passa davanti ai ristoranti tipici, in cui vengono proposte molte delle specialità già conosciute, ma anche qualcuna meno famosa in Italia: i prezzi sono quelli di un giapponese classico di Milano, intorno ai 15-20 euro, ma ci sono anche menù speciali che arrivano fino a 220 euro.