Le diete non funzionano?
Nel breve periodo sì, ma nel lungo periodo sono tutte destinate al fallimento: una ricercatrice esperta di abitudini alimentari ne ha spiegato le ragioni al Washington Post
di Roberto A. Ferdman – Washington Post
Per secoli donne e uomini si sono dati da fare per ottenere un fisico adeguato agli standard del loro tempo. Le diete, che vanno da quelle semplici a quelle originali fino a quelle stupide, producono un ampio spettro di risultati: soprattutto dopo che vengono interrotte.
Non molto tempo fa la dieta Atkins ha maltrattato i carboidrati e convinto milioni di persone a evitare amidi di ogni tipo. Oggi la dieta “paleo”, che sostiene di voler emulare le abitudini alimentari e digestive di uomini primitivi che vivevano molto ma molto meno degli uomini contemporanei, è probabilmente la più popolare e discussa. Presto ci sarà un’altra dieta innovativa da provare e di cui parlare, e poi un’altra ancora.
La domanda alla base di tutto questo è: una di queste miriadi di diete ha mai funzionato? Se una di queste avesse funzionato, non dovrebbe essere sopravvissuta e rimasta attuale nonostante il passare del tempo? E se fin qui nessuna si è mai dimostrata funzionante – scientificamente funzionante, non funzionante secondo i suoi promotori – ce ne inventeremo mai una funzionante?
La risposta breve è no: almeno secondo Traci Mann, che insegna psicologia all’università del Minnesota e studia da più di vent’anni abitudini alimentari, diete e autocontrollo. Nel corso delle sue ricerche, Mann ha fatto più volte queste domande, e si è vista rivolgere quasi sempre le stesse risposte. Le sue scoperte, raccontate nel nuovo libro “Secrets from the Eating Lab”, offrono un affascinante punto di vista che mostra perché, nel lungo termine, restare a dieta è effettivamente impossibile.
Ho parlato con Mann per capire esattamente la sua tesi e parlare di peso, forza di volontà e cibo.
Hai lavorato in un “laboratorio nutrizionale” per qualche tempo. Che cos’è? Cosa si fa?
È banalmente un laboratorio in cui si studia l’alimentazione. Questo studio io lo faccio in due modi. Il primo è uscire e studiare le persone normali che vedo mangiare in giro; il secondo è portarle nel laboratorio e metterle in situazioni controllate con molta attenzione, così che possa vedere come le loro abitudini cambiano al cambiare del contesto. Questi due tipi di esperimento sono le due facce della stessa medaglia e sono necessari entrambi.
Il tuo lavoro però non consiste solo nell’attività che svolgi al laboratorio; hai scritto anche un libro, in cui spieghi come mangiano le persone. In qualche modo questo libro è il risultato dei casi che hai visto e hai studiato al laboratorio, giusto?
Esatto. Il prossimo libro lo scriverò tra 20 anni perché ho bisogno di altri dati da analizzare.
E qual è il risultato principale a cui ti ha condotto il tuo lavoro in laboratorio? Nel libro parli molto delle diete e di come non funzionano. Cosa hai scoperto?
Quello che ho capito in tutti questi anni di lavoro è che le persone sono quasi sempre convinte che le diete non funzionino a causa loro, perché sono loro a non avere abbastanza forza di volontà, ma la verità è che le cose non stanno così. Nella maggior parte dei casi chi conclude una dieta riprende peso perché le diete non funzionano: sono destinate a fallire.
Perché le diete non funzionano?
La gente è convinta che la dieta dipenda solo ed esclusivamente dalla propria forza di volontà, ma non è così. Una dieta comporta una serie di cambiamenti biologici e fisici che non dipendono in alcun modo dall’autocontrollo.
Quali sono questi cambiamenti?
Ci sono tre cambiamenti biologici fondamentali.
Il primo è un cambiamento neurologico. Il cervello di una persona a dieta non solo nota più facilmente il cibo, ma lo desidera anche di più. Il cibo diventa più appetibile e resistergli diventa ancora più difficile.
Il secondo è un cambiamento ormonale, e funziona più o meno come quello neurologico. Quando si perde peso l’equilibrio ormonale cambia. Gli ormoni che di solito contribuiscono a darci una certa sensazione di “pienezza” diminuiscono, e aumentano quelli che invece ci fanno sentire affamati. Quindi, a parità di quantità di cibo, siamo più propensi a sentirci affamati che pieni.
Il terzo tipo di cambiamento infine è quello più scontato, cioè quello metabolico. Durante la dieta il metabolismo rallenta. Il corpo si abitua a bruciare le calorie più lentamente. Si mangia di meno ma si brucia anche di meno. Questa sarebbe una buona cosa se si stesse morendo di fame, ma non lo è affatto se si sta cercando di perdere peso, perché il corpo inizia a leggere le calorie in eccesso come grassi: che è esattamente quello che chi sta facendo una dieta non vuole che accada.
Messa così sembra veramente una cosa ingiusta.
Lo è. Chi è a dieta deve affrontare tutte queste cose. Di fatto essere a dieta significa mettersi nella stessa condizione di chi sta morendo di fame. E non è vita.
Esiste un intero settore farmaceutico che convince le persone del contrario però.
Beh, ma non si può credere a tutto quello che dicono. Il loro lavoro non è dire la verità ma fare soldi. In un certo senso sono autorizzati a mentire. I guadagni delle case farmaceutiche derivano principalmente dal fallimento dei loro clienti: hanno bisogno che il cliente fallisca, perché così tornerà di nuovo da loro a cercare un’altra soluzione. Chi realizza gli obiettivi in una botta sola non è un buon cliente per loro.
Quindi chi fa una dieta, pensa che stia funzionando e si sente soddisfatto, cosa non sta cogliendo del tuo ragionamento?
La prima fase di una dieta è quella che io chiamo “luna di miele”: tutto sembra semplice e fantastico. Poi però le cose si rivelano difficili e faticose. Durante il primo anno di dieta le persone perdono in media il 10 per cento del loro peso. Ma il breve periodo non è indicativo di quello che viene dopo. Il problema però è che le persone sono convinte che quello che viene dopo non dipenda dalla dieta in sé, ma dalla loro volontà. Non è vero: gli effetti di tutti i cambiamenti biologici di cui abbiamo parlato prima si vedono proprio nel lungo periodo.
Nel tuo libro spieghi che uno dei problemi principali è la nostra propensione a pensare che le diete abbiano successo. Dove sta l’errore?
Quando le persone perdono peso, pensano subito che sia merito della dieta e che la dieta abbia successo. Quando poi iniziano a riprendere peso, pensano che sia colpa loro. Ma è sbagliato, perché in realtà fa tutto parte della dieta.
Ho portato in laboratorio persone a dieta e persone non a dieta e ho studiato il loro modo di rapportarsi al cibo in situazioni di relax. Ho notato che se non devono prestare attenzione al cibo, i soggetti a dieta mangiano di più di quelli non a dieta. Questo dimostra che quando si è a dieta basta anche una piccola distrazione per rovinare tutto. Le diete falliscono anche per queste piccole cose. Ho passato anni a cercare il lato positivo delle diete, ma non ce l’ho fatta: ho trovato solo difficoltà e insidie.
La forza di volontà che ruolo ha in tutto ciò? Spesso le persone fanno della forza di volontà la linea di confine tra chi ha successo con una dieta e chi invece fallisce.
Vorrei cercare di sfatare questo mito della forza di volontà. La forza di volontà è sicuramente molto importante per diversi aspetti della vita, ma quando si parla di alimentazione non è l’unico fattore, e soprattutto non è la soluzione al problema. Immaginiamo per esempio di essere a una riunione di lavoro e che ci sia una scatola piena di brioche. Ovviamente se siamo a dieta dobbiamo resistere e questo atto di resistenza richiede una capacità di autocontrollo che dovrà essere esercitata ripetutamente, ogni volta che il nostro occhio ricade sulle brioche. Se all’ennesimo sguardo cediamo e mangiamo la brioche, improvvisamente ci dimentichiamo di tutte le precedenti volte in cui siamo stati in grado di resistere e pensiamo di non avere forza di volontà. Un solo momento di debolezza cancella lo sforzo prolungato che l’ha preceduto. Non è giusto. Questo è il motivo per cui di fatto la forza di volontà e il peso di una persona non sono due elementi correlati.
Stai dicendo che cercare di perdere peso è inutile o che lo facciamo nel modo sbagliato?
In generale penso che le persone non dovrebbero cercare di perdere eccessivamente peso. L’idea di dimagrire oltre la propria costituzione di base è una follia ed è una cosa insana. Ed è proprio questa follia a scatenare tutti i cambiamenti biologici di cui abbiamo parlato: quando si finisce sottopeso il corpo cerca di proteggersi e di tornare al suo peso standard. Io capisco che le persone vogliano apparire in un certo modo, ma l’importante è cercare di avvicinarsi il più possibile al proprio peso-forma, in linea con la propria costituzione, perché quello è il modo più sano e più semplice di vivere.
Quindi le persone dovrebbero sentirsi a loro agio così come sono? Sembra una cosa non così facile da accettare.
Alcune persone riescono a fare le diete. Una piccola percentuale di quelli che scelgono di fare una dieta, diciamo il 5 per cento circa, ce la fanno. Ma lo fanno impiegando gran parte del loro tempo – e delle loro energie – per non ingrassare e mantenere il loro peso. In sintesi, passano la loro vita sempre affamati, andando contro la biologia e l’evoluzione. E questo per me è sbagliato.
Le persone che possono permettersi di mangiare, dovrebbero mangiare. Fare il contrario è sbagliato. Quello che mi rattrista è che non è solo la società a far sentire in colpa chi non riesce a mantenere una certa dieta. Quelli che fanno le diete incolpano se stessi, e anche questo è sbagliato. Si trovano in una situazione in cui il cibo li tenta sempre più, hanno sempre più fame di quanta non ne dovrebbero avere e vivono con meno calorie di quante gliene servirebbero. Eppure la gente è sempre pronta a darsi tutte le colpe. Lo trovo sbagliato, frustrante. La colpa è dell’intero contesto, non è solo loro. Ci sono così tante cose che influenzano le scelte relative al cibo, che diventa impossibile controllarle tutte. Se potessi far capire una sola cosa, sarebbe proprio questa.
© Washington Post 2015