La storia del “caso Carretta”
È iniziato nel 1989 con la scomparsa di quattro persone: è stato risolto 9 anni dopo grazie a "Chi l'ha visto?", è tornato attuale con una sentenza del 9 maggio
Il 9 maggio 2015 il tribunale di sorveglianza di Bologna – il tribunale che regola le richieste di pena alternative al carcere – ha deciso che Ferdinando Carretta potrà tornare in libertà e andare a vivere in una casa di Forlì. Dalla fine degli anni Ottanta in poi, con vari intervalli, Carretta è stato al centro di un caso di cronaca molto famoso, dagli sviluppi notevoli e sorprendenti.
La storia comincia nell’agosto del 1989, quando quattro persone sparirono dalla loro casa di Parma: il contabile Giuseppe Carretta, sua moglie, la casalinga Marta Chezzi, e i loro due figli: Ferdinando, che aveva 26 anni, e suo fratello Nicola, di quattro anni più piccolo. La quasi totale assenza d’indizi portò quello che ben presto fu noto come il “caso Carretta” a diventare il più discusso fatto di cronaca degli ultimi mesi di quella estate. A interessarsi al caso fu, tra gli altri, Chi l’ha visto?, un programma televisivo oggi molto famoso ma che andò in onda per la prima volta proprio nel 1989. Nel novembre del 1989 arrivò proprio a Chi l’ha visto? una telefonata che permise poi di ritrovare, in un parcheggio di Milano, il camper – vuoto e senza indizi al suo interno – di Giuseppe Carretta e Marta Chezzi.
Nonostante il ritrovamento del camper non si riuscì però a ricostruire cosa fosse successo alla famiglia Carretta. L’idea che si diffuse per alcuni mesi era che i Carretta fossero vivi: fuggiti all’estero, probabilmente in Sud America, in seguito a un’intricata storia che per i giornali italiani arrivava a riguardare anche il narcotraffico colombiano. Tra quelli che indagavano sul “caso Carretta” c’era anche Antonio Di Pietro, un magistrato milanese non ancora diventato famoso per l’inchiesta Tangentopoli e che in quegli anni fu tra quelli che pensarono a un omicidio, non credendo all’ipotesi della fuga in Sudamerica.
Nonostante le molte false notizie e i tanti tentati scoop le informazioni sui Carretta erano pero poche e portarono, nel 1992, alla chiusura delle indagini. Nel 1995 le indagini furono riaperte, soprattutto grazie a un articolo del Resto del Carlino che sostenne di avere le prove della presenza in Venezuela di Ferdinando Carretta. Carretta, invece, senza che nessuno lo sapesse, viveva a Londra tra lavori occasionali e sussidio di disoccupazione, semplicemente usando il suo secondo nome anziché il primo (e mantenendo lo stesso cognome). Nell’ottobre 1998 fu fermato dalla polizia di Londra per una normale infrazione stradale e venne così segnalato – e di conseguenza “ritrovato” – dagli investigatori e dai giornalisti italiani.
Poco dopo essere stato ritrovato, Carretta – che in quei giorni aveva detto di non vedere i suoi familiari da 9 anni e di non sapere dove si trovassero – venne intervistato da Chi l’ha visto?, di nuovo al centro del “caso Carretta”. In quell’intervista, fatta nel novembre 1998, Ferdinando Carretta improvvisamente confessò i tre omicidi: «Ho preso quella pistola, quell’arma da fuoco, e ho sparato ai miei genitori e a mio fratello. Un atto di follia. Un atto di follia completa». Il 30 novembre 1998 Repubblica scrisse: «La troupe, che l’ha incontrato a Londra e ha registrato la sua confessione, lo ha poi convinto a rientrare in Italia. Appena giunto a Fiumicino lo aspettava un ordine di cattura della procura di Parma».
La confessione inizia a 3 minuti e 10 secondi
Dopo la confessione televisiva, Carretta fece – seppur con alcune differenze su date e eventi – la sua confessione anche in un interrogatorio. Vittorio Zanichelli, il giudice per le indagini preliminari che ascoltò l’ammissione di Carretta, commentò: «Non vedeva l’ora di confessare. Ha confessato subito. L’obiettivo era il padre, era in uno stato di esasperazione nei confronti del genitore, una situazione di vero e proprio odio».
Carretta disse di aver passato giorni a pulire la casa, di aver trasportato i cadaveri dei familiari in una discarica di Viarolo, una località in provincia di Parma, di aver poi ritirato 5 milioni di lire falsificando la firma del padre e essere fuggito a Londra. Né i corpi né l’arma furono mai trovati, ma la versione di Carretta fu parzialmente confermata da tracce di sangue e altri segni nella casa di Parma. Nel 1999 iniziò il processo: il 25 novembre la Corte d’assise di Parma lo dichiarò colpevole ma “non imputabile per vizio totale di mente”, incapace di intendere e volere. Carretta fu quindi condannato a cinque anni di reclusione da scontare a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, in un ospedale psichiatrico giudiziario.