Vita da Mourinho
Lo scrittore Francesco Pacifico ha raccontato la carriera di uno dei più famosi e vincenti allenatori di calcio in un lungo articolo interattivo sull'Ultimo Uomo
Francesco Pacifico ha scritto per l‘Ultimo Uomo un lungo articolo che racconta la carriera del celebre allenatore portoghese José Mourinho, pieno di aneddoti e analisi tratte dalle numerose biografie su Mourinho scritte di recente. L’articolo che mette insieme due grandi tendenze recenti del giornalismo statunitense, la pubblicazione di articoli molto lunghi (il cosiddetto long-form journalism) e quella dei reportage interattivi: lo aveva già fatto in occasione di un lungo articolo su Luis Suárez scritto da Fabrizio Gabrielli e di un articolo su Gareth Bale di Daniele Manusia. Oltre al testo di Pacifico, ci sono le illustrazioni di Nigel Buchanan: l’intero lavoro è stato disegnato da Nicola Gotti, sviluppato da Gianmarco Simone e prodotto da Alkemy.
Mourinho è uno degli allenatori più famosi e vincenti nella storia del calcio, benché abbia solo 52 anni: ha allenato Porto, Chelsea, Inter e Real Madrid, vincendo in tutto 22 trofei. Secondo Pacifico Mourinho, oltre a essere «l’unico vero allenatore personaggio», ha un modo tutto suo di allenare le squadre, ancora poco imitato: per lui «gli allenamenti sono concepiti per creare una tensione psicofisica e un rapporto con la squadra e il suo leader», di modo da “creare” il senso della competizione prima ancora che del gioco. Un esempio: il 20 aprile 2011, prima di Real Madrid-Barcellona, Mourinho riuscì a creare un’atmosfera per cui «i nazionali spagnoli di entrambe le squadre, che vengono dalla vittoria all’europeo e quella al mondiale, a malapena si salutano».
Abel Rodriguez è un addetto alle pulizie della metropolitana di Los Angeles. Quando il primo Chelsea di Mourinho viene per la prima volta in tour estivo in America e si assicura le strutture di UCLA per l’allenamento, Rodriguez, poco più che trentenne e molto appassionato di calcio europeo, ottiene, grazie un amico impiegato all’università, l’onore di lavorare gratis per la squadra: lui e il fratello attaccano alle cinque, aiutano a sistemare i coni, le bandierine, le porte, i palloni. Rimangono a disposizione tutto il giorno anche come raccattapalle. A fine allenamento mettono a posto tutto e verso le undici tornano a casa, per ricominciare il giorno dopo.
La cosa funziona e si ripete ogni estate: due col Chelsea, due con l’Inter, tre col Real.
A questo punto, ormai quarantunenne, Rodriguez decide di realizzare il suo sogno di vedere del calcio europeo dal vivo, in Europa. Mette i soldi da parte, ma avendo moglie e due figli non se la sente di usare tutto quel denaro per un viaggio da solo in Europa.
“Ero indeciso, ma mia moglie mi ha dato il coraggio, ha detto Devi andare, è sempre stato il tuo sogno. Anche mia figlia mi ha detto Devi andare”.
28 febbraio, due giorni prima del Clàsico di campionato del 2 marzo, arriva a Madrid con l’aereo e come prima cosa prende un taxi per andare alla cittadella sportiva di Valdebebas. Purtroppo, gli allenamenti sono già cominciati, non può sperare di essere riconosciuto da giocatori e tecnici che entrano al centro. Viene allontanato dalla sicurezza.
“Menomale che avevo un giaccone che mia moglie mi aveva detto di portare. Avevo le dita congelate… O aspettavo o me ne andavo a cercare un albergo. Aspetto cinque ore. So che si allenano dalle undici all’una. Si attardano un po’… I giocatori escono rapidi”.
Poi esce il mister nel Range Rover di Rui Faria. “Mister Mister Mister!… Mi guarda, dice a Rui Faria Fermati!”
Mourinho lo riconosce. L’allenamento per lui è il cuore del calcio. Gli prenota una stanza nell’albergo dove si riunisce la squadra, lo invita all’allenamento alle undici il giorno dopo. Rodriguez riceve i biglietti per la partita e la fascetta per la zona vip. Scatta le foto ricordo con Maradona, ospite speciale, e Cristiano Ronaldo.
Dopo, chiacchierando, JM gli dice: “Amico, vuoi venire a Manchester?” Poi si mette al telefono: “Pablo, voglio che organizzi tutto. Voglio che il mio amico venga con la squadra, mi prendo la responsabilità”.