Gli stupri in Germania, 70 anni fa
Alla fine della Seconda guerra mondiale quasi due milioni di donne tedesche furono violentate dai soldati russi in quello che è ricordato come «il più grande stupro di massa della storia»
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
La Seconda guerra mondiale in Europa terminò i primi giorni di maggio del 1945: tra il 2, quando si arrese Berlino, e l’8, quando venne ufficialmente firmato l’atto di resa dell’esercito tedesco. Ma per molti tedeschi la fine della guerra non significò affatto la fine delle sofferenze: in quei giorni tantissime donne, bambine e anziane vennero violentate dai soldati dell’esercito sovietico. I numeri sono difficili da verificare con certezza, ma si parla centomila nella sola Berlino e due milioni in tutto. È una storia che si legge raramente nei libri di storia e che anche in Germania ha cominciato a emergere soltanto negli ultimi anni.
Preludio
Era chiaro almeno dal 1943 che la Germania avrebbe perso la guerra: era solo questione di capire quanto tempo ci sarebbe voluto e chi avrebbe occupato per primo il suolo tedesco. In particolare, gran parte dei tedeschi era terrorizzata all’idea che i primi ad arrivare in Germania fossero i russi: per anni la propaganda nazista aveva infatti dipinto gli “slavi” e i “bolscevichi” come capaci di qualunque barbarie.
I tedeschi ebbero il primo assaggio di cosa sarebbe accaduto alla Germania dopo il crollo del regime nazista nell’ottobre del 1944, quando un piccolo reparto di soldati russi riuscì a oltrepassare il confine tedesco e a occupare per alcune ore il villaggio di Nemmersdorf, nella Prussia Orientale. Quando i tedeschi rioccuparono il villaggio trovarono i corpi di 74 persone tra donne, anziani e bambini. Le donne, tra gli 8 e gli 84 anni, erano state tutte stuprate e torturate. Alcuni corpi furono trovati inchiodati alla porta di un fienile. I nazisti scattarono delle foto del massacro e le diffusero in tutta la Germania. Abituati alle esagerazioni della propaganda, molti si rifiutarono di credere a quello che era accaduto, ma lo avrebbero sperimentato in prima persona di lì a poco.
La Prussia
Le prime unità dell’esercito russo che entrarono in Germania pochi mesi dopo Nemmersdorf avrebbero sorpreso la popolazione locale per la loro gentilezza e umanità, ma gli ufficiali diedero ai civili un avvertimento: «Possiamo garantire per i nostri uomini, non per quelli che verranno dopo». Dietro ai soldati disciplinati che guidavano l’avanzata, infatti, avanzava la massa caotica delle truppe di seconda linea: soldati stanchi o annoiati, indisciplinati e cronicamente ubriachi. Quando questi uomini oltrepassarono il confine della Prussia Orientale, ha scritto lo storico Max Hastings, «lo stupro di donne da parte dei soldati russi raggiunse una scala che oltrepassava il desiderio sessuale e rifletteva soltanto l’atavico desiderio di violare un’intera società».
Secondo un altro storico, Antony Beevor, che ha potuto consultare gli archivi aperti dopo la caduta dell’Unione Sovietica, nelle regioni orientali della Germania furono violentate 1,4 milioni di donne tedesche. Altre stime portano il totale fino a due milioni. I soldati russi non risparmiarono bambine e anziane e nemmeno le prigioniere di guerra russe trovate nei campi di lavoro, colpevoli di essersi fatte catturare vive dai nazisti. Secondo gli storici, alla base di quello che Beevor ha definito «il più sistematico stupro di massa della storia», c’era un insieme esplosivo di fattori: la stanchezza per la lunga guerra, il desiderio di vendicarsi delle atrocità tedesche e l’abuso costante di alcolici.
Ma più di tutti, probabilmente, contribuì alle violenze la propaganda sovietica. Ogni reparto dell’esercito era affiancato da ufficiali politici che avevano il compito di motivare i soldati. Questi commissari del partito comunista indottrinavano le truppe sulla necessità di odiare i tedeschi e di far pagare loro un alto prezzo per aver invaso la Russia. I commissari non dicevano che era necessario violentare le donne tedesche, anzi: la linea ufficiale del partito era che il soldato russo sarebbe stato troppo gonfio di odio nei confronti del nemico per pensare di toccare una donna tedesca. Ma di fatto non venne introdotta nessuna misura punitiva. Come ha scritto Alexandr Solzhenitsyn, autore di Arcipelago Gulag e ufficiale di artiglieria durante la campagna di Prussia, «tutti sapevano molto bene che potevano stuprare le ragazze tedesche e poi sparargli».
Mentre i generali inglesi e americani pensarono di reintrodurre la pena di morte nei loro eserciti soltanto per lo stupro, l’atteggiamento delle autorità russe è perfettamente esemplificato dalla risposta che venne data a un leader jugoslavo che si lamentava di come i soldati russi avessero violentato alcune donne nonostante il suo paese fosse alleato dell’Unione Sovietica. Stalin gli rispose:
«Hai idea di che cosa complicata sia la mente umana? Bene, immagina un uomo che ha combattuto da Stalingrado a Belgrado attraversando oltre mille chilometri della sua terra devastata, cosparsa dei corpi dei compagni e dei suoi familiari più cari. Come può un uomo del genere comportarsi in maniera normale? E che cosa c’è di così terribile nel divertirsi con una donna dopo tutti questi orrori? La cosa che conta è combattere la Germania. Tutto il resto non è importante»
Si calcola che l’arrivo dell’esercito sovietico causò la fuga dalle regioni orientali della Germania – Prussia, Silesia e Pomerania – di più di due milioni di persone negli ultimi mesi di guerra. Centinaia di migliaia di questi rifugiati arrivarono a Berlino, dove portarono con sé i racconti delle atrocità commesse dai russi. Molti berlinesi accolsero con scetticismo quei racconti. Non sembrava loro possibile che i profughi potessero descrivere una realtà peggiore di quella che avevano vissuto fino a quel momento, con la guerra: la loro città era stata bombardata quasi ogni giorni per quasi due anni, mentre i profughi arrivavano da una zona che fino a quel momento era stata sostanzialmente risparmiata dai combattimenti. In città circolava anche una battuta: «Preferisco avere sopra un russo che una bomba».
Berlino
La giornalista Lucy Ash ha scritto un lungo e documentato articolo per BBC sul comportamento dell’esercito sovietico in Germania. Tra i materiali non ancora pubblicati che ha potuto utilizzare c’è il diario di Vladimir Gelfand, un giovane tenente ucraino dell’Armata Rossa: un documento straordinario per la sincerità e la brutalità con cui viene descritta la routine dei soldati russi nel corso degli ultimi giorni di guerra. Alla fine dell’aprile del 1945 Gelfand si trovava con la sua unità nei dintorni di Berlino. In un’annotazione datata 25 aprile, pochi giorni prima della caduta della città, Gelfand racconta di come durante un giro in bicicletta sulle rive del fiume Sprea incontrò un gruppo di donne tedesche piene di valigie e fagotti.
«Con le facce sconvolte dall’orrore mi raccontarono che cosa era accaduto la prima notte in cui era arrivata l’Armata Rossa». Erano state tutte violentate: una di loro da venti soldati diversi, un’altra aveva visto sua figlia stuprata davanti ai suoi occhi. Tutte erano terrorizzate all’idea che altri russi potessero tornare e ricominciare. Una di loro era così sconvolta che si gettò nelle braccia di Gelfand: «Dormi con me! Fammi quello che vuoi, basta che sia solo tu a farlo!».
Per molte berlinesi l’orrore e la paura erano così forti che si consegnarono agli ufficiali russi nella speranza di essere protette. In un altro documento raccolto da Ash, una donna tedesca racconta di come un gruppo di russi fece irruzione nella sua casa; disperata, usando il poco russo che conosceva, cercò di persuadere il loro ufficiale a risparmiarle. L’ufficiale ordinò ai suoi uomini di fermarsi ma uno di loro protestò: «Dopo tutto quello che i tedeschi hanno fatto alle nostre donne? Si sono presi mia sorella e mia madre!». L’ufficiale riuscì a calmarlo e a portarlo fuori. Poco dopo la donna uscì nel corridoio per controllare che i soldati se ne fossero andati. Non se ne erano andati e la stavano aspettando. Quando ebbero finito scrisse sul suo diario: «Capii che avevo bisogno di un lupo per tenere lontane le altre bestie». La donna iniziò una relazione ambigua con un ufficiale russo e nel suo diario si interrogava se quello che faceva con lui poteva considerarsi uno stupro.
Quando nel 1959 il suo diario venne pubblicato in forma anonima nella Germania occidentale, la donna venne criticata dai suoi stessi connazionali: il patto che lei e altre centinaia di donne avevano stretto con i russi era considerato una macchia per l’onore tedesco. Nella Germania orientale controllata dall’Unione Sovietica parlare delle violenze dei soldati russi era semplicemente impensabile: qualunque accusa nei confronti dei soldati russi che avevano liberato la Germania era punita con la prigione (pochi mesi fa il parlamento di Putin ha approvato una legge che punisce con una multa e con il carcere fino a cinque anni chiunque denigri il comportamento dell’esercito russo nel corso della Seconda guerra mondiale).
In tutto almeno centomila donne furono stuprate nella sola Berlino. Abbiamo un’idea abbastanza precisa dei numeri grazie ai registri degli aborti. All’epoca abortire era un reato in Germania, ma nell’estate del 1945 le autorità sanitarie decisero di fare un’eccezione per le donne vittime di violenza sessuale. Ash ha visitato uno degli archivi in cui sono contenuti questi registri. Oggi è ospitato in un’ex fabbrica di munizioni nel distretto di Neukölln, uno dei 24 che compongono Berlino. All’interno di faldoni blu, racconta Ash, sono contenuti dei fragilissimi fogli di carta gialla. In uno di questi, una ragazza appena maggiorenne, descrive con una scrittura infantile come venne violentata da un gruppo di soldati russi nel soggiorno della sua casa, davanti agli occhi dei suoi genitori. Soltanto a Neukölln ci sono altri mille di questi fogli.